Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

04/11/2020 - Il credito d’imposta “revolving” nelle accise

argomento: Imposte sui trasferimenti e altri tributi - Giurisprudenza

La sentenza conferma la natura “revolving” del credito d’imposta nelle accise sull’energia elettrica e il gas naturale. Secondo la Cassazione, il credito di accisa si rinnova annualmente, sicché, in costanza del rapporto tributario, non trova applicazione la decadenza biennale prevista dall’art. 14, T.U.A. per l’esercizio del diritto al rimborso.

» visualizza: il documento (Cass, sez. trib, 6 ottobre 2020, n. 21372 ) scarica file

PAROLE CHIAVE: accise - rimborso - credito di imposta - decadenza - conto corrente


di Damiano Peruzza

  1. La sentenza in commento affronta la tematica del rimborso delle accise sull’energia elettrica e il gas naturale, soffermandosi sulla natura del credito d’imposta e sulla (non) applicabilità in relazione ad esso del termine di decadenza biennale previsto per il rimborso delle accise dall’art. 14, D.Lgs. n. 504/1995, cd. Testo Unico Accise.

La questione interpretativa concerne la portata dell’art. 14 TUA, disposizione che prevede la facoltà di esercitare il diritto al rimborso delle accise, a pena di decadenza, entro due anni dal versamento indebito: «L’accisa è rimborsata quando è indebitamente pagata. Il rimborso deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dal pagamento» (in senso analogo, l’art. 56 TUA relativo all’accisa sull’energia elettrica).

La formulazione generica della disposizione non permette di individuare con chiarezza il momento di decorrenza del termine biennale di decadenza, e più in generale la sua applicabilità, nelle ipotesi in cui il rimborso abbia ad oggetto i cd. crediti di imposta emergenti dalle dichiarazioni di consumo presentate dai soggetti passivi dell’accisa.

Tali crediti, in effetti, non derivano da pagamenti “indebiti”, ma scaturiscono dal meccanismo di versamento delle accise imposto dalla legge, che prevede il pagamento di acconti mensili commisurati sulla base dei consumi dell’anno precedente, con un eventuale versamento o l’emersione di un credito a conguaglio  nel mese di marzo dell’anno successivo, nel quale viene presentata la dichiarazione di consumo annuale.

In queste ipotesi, l’eventuale versamento in eccesso degli acconti fa emergere alla chiusura del periodo annuale un’eccedenza d’imposta che, sulla base degli artt. 26, comma 13 e 56, comma 1, TUA (rispettivamente, per il gas e l’energia elettrica), va utilizzata per i successivi versamenti in acconto: «Le somme eventualmente versate in più del dovuto sono detratte dai successivi versamenti di acconto».

In relazione a tale quadro normativo, la Corte ha riconosciuto che il credito d’imposta in materia di accisa non è originato da un “pagamento indebito” ed ha pertanto affermato che per il rimborso dell’eccedenza d’imposta non si applicano la disciplina e il termine decadenziale di cui all’art. 14, TUA, riservati ai soli casi di versamento “indebito” ab origine.

  1. La sentenza in commento, che conferma il più recente orientamento della Corte di Cassazione formatosi nell’ultimo biennio, consente di ritenere ormai del tutto superato il precedente indirizzo, nel quale la Corte aveva ritenuto che il termine di decadenza biennale per il rimborso delle accise fosse applicabile nella generalità delle ipotesi, «qualunque sia la causa per la quale il pagamento non sia dovuto, e perfino nel caso in cui l’accisa sia stata debitamente pagata, e sia sopravvenuta una causa di non debenza del tributo» (Cass., Sez. trib., 12 settembre 2008, n. 23515; Cass., Sez. VI-T, 2 marzo 2012, n. 3363; Cass., Sez. trib., 31 maggio 2017, n. 13724).

L’impostazione tradizionale del Giudice di legittimità, che non distingueva tra rimborso dell’indebito e rimborso del credito d’imposta maturato per effetto del meccanismo di versamento anticipatorio dell’accisa, appare definitivamente abbandonata dalla Corte, che, nella sentenza in commento, conferma  l’interpretazione di segno opposto. Quest’ultima, rimasta a lungo ampiamente minoritaria (con l’unico precedente contrario rappresentato da Cass., Sez. trib., 17 aprile 2013, n. 9283), è divenuta prevalente, e oramai unanime, nell’ultimo biennio (ex multis, Cass., Sez. trib., 1° febbraio 2019, n. 3051; Cass., Sez. trib., 18 giugno 2019, nn. 16261, 16262, 16263 e 16264; Cass., Sez. trib., 22 settembre 2020, n. 19970).

  1. L’orientamento in rassegna, nel valorizzare la distinzione tra crediti da indebito e crediti d’imposta derivanti dal meccanismo di anticipazione dei tributi (in dottrina v. Tesauro, Rimborso delle imposte, D.I., Appendice, VI, 1986, Torino, 826; Fregni, Crediti e rimborsi d’imposta, in Cassese, S., diretto da, Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, 1672), riconosce che l’art. 14 TUA, riferendosi espressamente ai soli versamenti “indebiti”, non può trovare applicazione al versamento eccedentario dell’imposta dovuto per effetto della fisiologica modalità di versamento dell’accisa prevista dal Testo Unico.
  2. Il principio dettato dalla Corte muove da una corretta ricostruzione delle peculiari modalità di versamento delle accise, che prevedono – ed anzi obbligano – il soggetto passivo ad assolvere i successivi versamenti in acconto mediante utilizzo, con detrazione ex lege, del credito d’imposta maturato.

Ed invero, il Testo Unico prevede che «l’accertamento e la liquidazione dell’accisa sono effettuati dal competente Ufficio dell’Agenzia delle Dogane sulla base della dichiarazione di consumo annuale» (cfr. art. 55, comma 1, T.U.A.), configurando quindi un sistema in cui la contabilità del credito di imposta del contribuente è tenuta dall’amministrazione finanziaria, che annota l’eventuale pagamento mediante compensazione delle rate di acconto mensili e decurta il credito di imposta derivante dalla dichiarazione di consumo dell’anno precedente (v. Aldeghi, L’accisa sull’energia elettrica, in AA.VV., Diritto doganale, delle accise e dei tributi ambientali, Milano, 2014, 764).

Il sistema legislativo, quindi, delinea un obbligo da parte del contribuente di compensare il proprio credito di imposta con gli acconti successivi, senza porre alcuna limitazione temporale alla compensazione del credito d’imposta.

Nel caso in cui il contribuente non abbia usufruito della compensazione e abbia corrisposto tutti i ratei, oppure non abbia potuto compensare interamente il credito in quanto l’ammontare dei ratei era inferiore al credito stesso, il Testo Unico non stabilisce se il credito residuo non compensato integralmente vada a sommarsi con il nuovo credito di imposta relativo all’anno successivo, diventando un tutt’uno con esso, oppure rimanga distinto e conviva con il nuovo credito, sicché il contribuente possa scegliere se chiedere il rimborso diretto di detto credito oppure continuare a compensarlo con i ratei di acconto dell’anno successivo.

La Corte ha a tal proposito chiarito che il credito emergente dalla differenza tra acconti versati in eccedenza e imposta dovuta sui consumi effettivi sia un credito di imposta cd. “revolving”, che si rinnova cioè di anno in anno, divenendo sempre un credito nuovo e diverso rispetto a quello dell’anno precedente per effetto dell’operazione di saldo debitorio o creditorio operata dall’Ufficio nella liquidazione delle imposte dovute.

Tenuto conto che la contabilità del dovuto è tenuta per legge dall’amministrazione finanziaria, il rapporto che si instaura con il contribuente, è stato invero configurato dalla Corte alla stregua di un rapporto di conto corrente, nel quale sono annotati i reciproci crediti e di cui viene annualmente effettuato il saldo.

In un sistema così strutturato, il credito emergente dal conguaglio annuale viene immesso nei rapporti dare/avere relativi all’anno successivo (come obbliga a fare la norma di cui all’art. 56, comma 1, T.U.A.), ed in tale atto di conguaglio si determina la confusione del nuovo credito con quello residuo relativo all’anno precedente, poiché il saldo dei rapporti dare e avere è unico.

La conclusione che trae la Corte è che, in materia di accisa, «il saldo creditorio non è reclamabile prima della chiusura del rapporto tributario, con conseguente decorrenza del termine biennale di decadenza ex art. 14, TUA per il rimborso dell’eventuale credito di imposta dal momento della presentazione dell’ultima dichiarazione di consumo annuale».

Solo alla fine del rapporto tributario, nel caso in cui permanga un credito, quest’ultimo darà luogo ad un indebito e il contribuente, come nel rapporto di conto corrente al momento della chiusura del conto ex art. 1283 c.c., potrà esigere il credito medesimo con decorrenza del termine di decadenza biennale previsto per il diritto al rimborso.

  1. Il principio di diritto formulato dalla Corte muove da una ricostruzione delle accise in termini di tributi per i quali vige un sistema di liquidazione da parte dell’amministrazione, e non di tributi “autoliquidati”, in linea con il tenore letterale delle disposizioni del Testo Unico sopra menzionate. La giurisprudenza ha dunque conferito dignità giuridica al “conto corrente accise”, valorizzando il sistema “contabile” delle accise oltre la sua rilevanza interna di carattere operativo.

Tuttavia, al medesimo risultato concreto circa la non applicabilità del termine di decadenza al rimborso dei crediti da dichiarazione, si sarebbe potuti pervenire sulla base di una lettura alternativa, aderente a quanto si va affermando da parte della dottrina (v. Verrigni, Le accise nel sistema dell’imposizione sui consumi, Torino, 2017, 278) e della stessa giurisprudenza in ordine al ruolo sempre più significativo, nel campo delle accise, della fase di “autoliquidazione” da parte del contribuente.

Secondo tale lettura, l’accisa «si attua attraverso adempimenti del contribuente, obbligatori per legge, rispetto ai quali l'intervento dell'Amministrazione risulta solo eventuale» (Cass., Sez. trib., 23 settembre 2020, n. 19922), dunque il soggetto passivo assume la responsabilità dell'attuazione del tributo e l’azione successiva dell'amministrazione è una mera attività di controllo: si configurerebbe pertanto un sistema prossimo all’autoliquidazione in senso stretto del tributo.

Se così fosse, il corollario di questa centralità dell’attività del contribuente anche in fase di liquidazione dell’accisa potrebbe portare al riconoscimento che l’esposizione del credito di accisa  nella dichiarazione annuale di consumo, al pari di quanto accade per l’Iva o le imposte sui redditi (La Rosa, Accertamento tributario e situazioni soggettive del contribuente, in Riv. dir. trib., 2006, I, 753), è idonea ex se a determinare il consolidamento del credito d’imposta, nel caso di mancata rettifica della dichiarazione.

In tale prospettiva, l’esposizione del credito nella dichiarazione di consumo potrebbe essere riconosciuta come una richiesta di rimborso idonea ad impedire la decadenza di cui all’art. 14 del Testo Unico Accise. La Corte, su questo aspetto, non si è ancora soffermata.

In ogni caso, la decadenza per il rimborso dei crediti d’imposta non trova applicazione secondo la Suprema Corte: in materia di accisa, il credito d’imposta è “revolving”.