Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

28/09/2020 - I differenti trattamenti impositivi derivanti da una convenzione contro le doppie imposizioni non violano i principi eurounitari

argomento: Profili europei e Internazionali - Giurisprudenza

Il regime tributario italiano risultante dalla Convenzione italo-portoghese contro le doppie imposizioni sui redditi, che si riferisce al Modello OCSE, non viola i principi fondamentali di libera circolazione e di non discriminazione. Pertanto, i pensionati italiani del settore privato e del settore pubblico, residenti in altri Paesi, possono essere assoggettati a normative tributarie differenti che portano a una diversa tassazione degli assegni ricevuti

» visualizza: il documento (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, CGUE, 30 aprile 2020, cause C-168/19 e C-169/19, H.B. e I.C. c. Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS)) scarica file

PAROLE CHIAVE: ripartizione potere impositivo - convenzione contro le doppie imposizioni - libertà fondamentali - divieto di discriminazione - divieto di restrizione


di Giorgio Emanuele Degani

  1. Con la recente sentenza relativa alle cause riunite C-168/19 e C-169/19 (CGUE, 30 aprile 2020, cause C-168/19 e C-169/19, B. e I.C. c. Istituto Nazionale della Previdenza Sociale INPS), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è tornata a pronunciarsi in ordine ai criteri di ripartizione della potestà impositiva, ovvero alle cause di giustificazione che consentono a uno Stato membro di introdurre delle misure discriminatorie e derogatorie delle libertà fondamentali, confermando i precedenti giurisprudenziali resi sul tema (tra le tante, v. CGUE, 12 maggio 1998, causa C-336/96, Coniugi Gilly e CGUE, 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks& Spencer. Inoltre, v. anche CGUE, 29 marzo 2007, causa C-347/04, Rewe Zentralfinanz; CGUE, 15 maggio 2008, causa C-414/06, Lidl Belgium; CGUE, 18 luglio 2007, causa C-231/05, Oy AA; CGUE, 21 gennaio 2010, causa C-311/08, SGI; CGUE, 17 dicembre 2015, causa C-388/14, Timac Agro Deutschland GmbH; CGUE, 21 dicembre 2016, causa C-593/14, Masco Denmark; CGUE, 31 maggio 2018, causa C-382/16, Hornbach; CGUE, 12 giugno 2018, causa C-650/16, A/S Bevola e Jens W. TrockApS; CGUE, 4 luglio 2018, causa C-28/17, NN A/S).

In particolare, i Giudici del Lussemburgo hanno affrontato il caso di due cittadini italiani, ex dipendenti del settore pubblico, i quali, dopo aver trasferito la propria residenza in Portogallo, hanno richiesto all’INPS di ricevere l’importo delle loro pensioni senza che venisse operato il prelievo alla fonte dell’imposta.

Tuttavia, l’INPS ha respinto tali domande sulla base di quanto statuito nella Convenzione contro le doppie imposizioni in essere tra l’Italia e il Portogallo.

Ed invero, ai sensi degli artt. 18 e 19, par. 2, della citata Convenzione, solo l’assegno dei pensionati italiani del settore privato che acquisiscono la residenza di tale ultimo Stato possono essere erogati “al lordo”, scontando così la minor tassazione del Paese iberico.

Difatti, per usufruire di tale erogazione lorda, vi sono diversi requisiti a seconda che gli ex dipendenti appartengano al settore privato o pubblico: per i primi, è sufficiente l’acquisizione dello status di residente; per i secondi, è necessaria la cittadinanza.

In altri termini, la norma convenzionale dispone che, con riguardo ai pensionati “pubblici”, la potestà impositiva appartiene in via esclusiva all’Italia, salvo che questi acquisiscano la cittadinanza del Paese ospitante.

Secondo i cittadini italiani ex dipendenti pubblici, tale Convenzione determinerebbe una manifesta disparità di trattamento tra pensionati italiani a seconda che questi provengano dal settore privato o dal settore pubblico, in quanto solo i primi sarebbero ammessi a godere di un trattamento fiscale più vantaggioso.

  1. La questione è stata impugnata innanzi alla Corte dei Conti, i cui Giudici hanno deciso di formulare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea stante la sussistenza di una possibile disparità di trattamento tra le predette parti, che avrebbe potuto determinare “una discriminazione basata sulla cittadinanza e vietata dall’art. 18 TFUE, dal momento che per poter essere soggetti a imposizione in Portogallo, il requisito della residente basterebbe per i secondi (pensionati privati, NdR), laddove i primi (pensionati pubblici, NdR) dovrebbero acquisire la cittadinanza portoghese”.

I Giudici del Lussemburgo, rilevato che in assenza di armonizzazione nell’ambito delle imposte dirette gli Stati membri sono “liberi di stabilire i fattori di collegamento ai fini della ripartizione della loro competenza tributaria” e che “una convenzione bilaterale volta a prevenire la doppia imposizione (…) è intesa ad evitare che lo stesso reddito sia soggetto ad imposta in ciascuna delle due parti di tale convenzione, non già a garantire che l’imposizione alla quale è soggetto il contribuente di una parte contraente non sia superiore a quella alla quale egli sarebbe soggetto nell’altra parte contrarente”, ha concluso che “la disparità di trattamento, che i ricorrenti nei procedimenti principali lamentano di aver subito, discende dalla (equilibrata, NdR) ripartizione del potere impositivo tra le parti della convenzione italo portoghese e dalle disparità esistenti tra i rispettivi regimi tributari delle parti contraenti”.

Ebbene, appare evidente come la Corte di Giustizia abbia inteso rilevare che la lamentata lesione del principio di parità di trattamento (art. 18, TFUE) e della libera circolazione delle persone (art. 21, TFUE), non sussistano in concreto, stante l’assenza di alcuna discriminazione o restrizione ai principi eurounitari (sul tema del divieto di discriminazione e di restizione a livello europeo, v. Bizioli, I principi di non discriminazione fiscale in ambito europeo e internazionale, in Principi di diritto tributario europeo e internazionale, Sacchetto (a cura di), Torino, 2016, 112; Bizioli, Il processo di integrazione dei principi tributari nel rapporto fra ordinamento costituzionale, comunitario e diritto internazionale, Milano, 2008, 102 e ss.; Cordewener, The Prohibitions of Discrimination and Restriction within the Framework of the Fully Integrated Internal Market, in EU Freedoms and Taxation, Vanistendael (ed.), Amsterdam, 2006, 26 e ss.).

Ciò, in quanto, secondo i Giudici del Lussemburgo, in primo luogo, gli Stati membri sono liberi di decidere i criteri da utilizzare nelle Convenzioni sovrannazionali per ripartire in modo equilibrato e bilanciato il proprio potere impositivo; in secondo luogo, che detti accordi tra gli Stati membri non hanno l’obiettivo di garantire al contribuente l’imposizione più bassa tra quelle applicate dalle due parti contraenti, ma ha lo scopo di consentire, appunto, la suddivisione del potere impositivo tra i vari Stati ed evitare che lo stesso reddito venga tassato due volte; in terzo luogo, le diversità tra i regimi tributari applicabili sono frutto della mancata armonizzazione a livello eurounitario dell’imposizione diretta.

Sicché, conclude la Corte, non è ravvisabile alcuna discriminazione basata sulla cittadinanza, ovvero nessuna restrizione di sorta a livello dell’esercizio delle libertà fondamentali – nella specie quella di circolazione delle persone – attesa la superiore esigenza di ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati coinvolti (sulla “balanced allocation of taxing rights”, v. Gutmann, The Marks & Spencer case: proposal for an alternative way of reasoning, in EC Tax Review, 2003, 154 e ss.; nello stesso senso: Della Valle, L’utilizzazione cross-border delle perdite fiscali: il caso Marks & Spencer, in Rass. trib., 2006, 994 e ss.; Hinnekens, The Marks and Spencer Case: UK Special Comissioners Find UK Group Relief Rules Compatible with Freedom of Establishment, in European Taxation, 2003, 175 e ss.; Lang, Recent Case Law of the ECJ in Direct Taxation: Trends, Tensions, and Contradictions, in EC Tax Review, 2009, 98 e ss.).

  1. La pronuncia appare essere pienamente condivisibile ed in linea con l’orientamento giurisprudenziale eurounitario sul tema e, in particolare, con il precedente Gilly (CGUE, 12 maggio 1998, causa C-336/96, Coniugi Gilly; per un approfondimento dottrinale, v. Kofler, Double Taxation and European Law: Analysis of the Jurisprudence, in Double Taxation within the European Union, Rust (ed.), 2011, 97), nella quale, in un caso analogo a quello in commento, è stato precisato che il metodo prescelto per eliminare la doppia imposizione determina una mera disparità, e non una discriminazione o restrizione alle libertà fondamentali.

Appare evidente che la conclusione raggiunta dalla Corte, derivi dalla consapevolezza che vi è un diverso livello di armonizzazione perseguito tra le imposte dirette (Bizioli-Sacchetto, European constitutional integration: the case of Direct Taxation, in Comparative Fiscal Federalism, Avi Yonah-Lang (eds.), Alphen aan den Rijn, 2016, 11 e ss.. Gli Autori precisano che: “The regulation of taxation within the European Union (“EU”) has been influenced by two features: the functional approach of the construction of Europe adopted by the framers in the 1950s and national tax sovereignty. The former is clearly summarized by the Schuman declaration: (…). The Founding Fathers of the EEC were clearly aware that taxes create negative effects, in terms of obstacles and barriers, on the circulation of the production factors and on the concurrence”. I due aspetti citati hanno influenzato l’evoluzione, introducendo una distinzione tra il settore impositivo indiretto e quello diretto) e quelle indirette (per un approfodimento, v. Adonnino, Armonizzazione fiscale nell’Unione Europea, in Enc. dir., Agg. III, 1999, 276; Uckmar, Progetti e possibili soluzioni dell’armonizzazione fiscale dell’UE, in Dir. prat. trib., 1995, 9).

Tale differenza è riconducibile, da un lato, al fatto che le imposte dirette hanno una diversa pregiudizialità nella realizzazione del mercato unico rispetto a quelle indirette, in quanto queste ultime sono in grado di incidere maggiormente sulla realizzazione e sul corretto funzionamento del mercato unico (così Gallo, Mercato unico e fiscalità: aspetti giuridici del coordinamento fiscale, in Rass. trib., 2000, 725 e ss.; nello stesso senso: Cordeiro Guerra, Diritto tributario internazionale – Istituzioni, Milano, 2016, 199); dall’altro, gli Stati membri sono ostili nel cedere delle porzioni di sovranità in materia tributaria diretta, e, più in generale, di politica fiscale interna.

Sicché, in assenza di armonizzazione, i Paesi UE sono, in linea di principio, liberi di individuare gli elementi essenziali dei tributi diretti, con la conseguenza che il metodo prescelto per  eliminare la doppia imposizione non determina alcuna limitazione alla libertà di circolazione delle persone, bensì una mera disparità (così Weber, In Search of a (New) Equilibrium Between Tax Sovereignty and the Freedom of Movement Within the EC, in Intertax, 2006, 591. Autorevole dottrina ha comunque evidenziato che sia difficile distinguere tra una mera disparità e una misura discriminatoria. Sul tema, v. Bizioli, Il processo di integrazione dei principi tributari nel rapporto fra ordinamento costituzionale, comunitario e diritto internazionale, op. cit., 154).

  1. Ne deriva che, in assenza di armonizzazione a livello unionale nelle imposte dirette e di indicazioni normative per contrastare la doppia imposizione, gli Stati membri restano competenti a definire i criteri di tassazione per eliminarla, ovvero di fare riferimento alle Convenzioni internazionali stipulate a tal fine.

Così facendo, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea tende a tutelare in modo sempre più accentuato e rafforzato la sovranità fiscale dei singoli Stati membri (così, Schon, Neutrality and Territoriality – Competing or Converging Concepts in European Tax Law?, in Bulletin for International Taxation, 2015, 279), valorizzando il principio di territorialità (per una ricostruzione del principio, v. Terra-Wattel, Europen Tax Law, Alpheen aan den Rijn, 2012, 915-921) e contrastando i comportamenti abusivi ed elusivi posti in essere dai c