argomento: IRAP e tributi locali - Legislazione e prassi
Il c.d. ‘decreto rilancio’ contiene, tra l’altro, una significativa modifica della disciplina dell’imposta di soggiorno. I nuovi assetti sono destinati a ridurre l’autonomia periferica nella disciplina degli adempimenti a carico del gestore della struttura ricettiva. Al tempo stesso, dovrebbero assegnare contorni più nitidi alle conseguenze giuridiche del tardivo o omesso riversamento al Comune del tributo prelevato dall’utente-ospite della struttura. Si tratta di un profilo particolarmente delicato attese le conseguenze abnormi cui ha fino ad oggi condotto il particolare rigore della risposta sanzionatoria, sia amministrativa che penale, al ritardato o omesso (ri)versamento alle casse comunali delle somme riscosse dal gestore della struttura ricettiva.
PAROLE CHIAVE: imposta di soggiorno - ne bis in idem - depenalizzazione
di Gianluca Selicato
Se confermate, le novità contenute del ‘decreto rilancio’ sono destinate a ridurre l’autonomia periferica nella disciplina degli adempimenti a carico del gestore della struttura ricettiva; al tempo stesso, dovrebbero assegnare contorni più nitidi alle conseguenze giuridiche del tardivo o omesso riversamento al Comune del tributo prelevato dall’utente-ospite della struttura. Si tratta di un profilo particolarmente delicato attese le conseguenze abnormi cui ha fino ad oggi condotto il particolare rigore della risposta sanzionatoria, sia amministrativa che penale, al ritardato o omesso (ri)versamento alle casse comunali delle somme riscosse dal gestore della struttura ricettiva. Come sarà meglio illustrato nel seguito, infatti, la qualificazione della condotta omissiva in termini di peculato ad opera di un robusto orientamento giurisprudenziale, da un lato ha contaminato la materia dei tributi con istituti penali che non trovano spazio nelle altre ipotesi in cui il contribuente o il differente soggetto comunque coinvolto dell’attuazione del prelievo (generalmente il responsabile o il sostituto d’imposta) violino i termini legislativamente previsti per il loro adempimento; dall’altro ha generato conseguenze irragionevoli nella risposta sanzionatoria dell’ordinamento giuridico a condotte connotate da un differente livello di lesività, finendo per colpire più duramente un lieve ritardo nel versamento di poche decine di euro rispetto alla totale omissione del versamento dell’Iva da parte dell’impresa che l’abbia comunque incassata in funzione del successivo versamento all’erario. In disparte ogni considerazione sulla dubbia proporzionalità della risposta sanzionatoria rispetto all’illecito, l’interferenza tra i distinti regimi sanzionatori (penale e amministrativo) destinati a sommarsi ha alimentato non pochi dubbi in ordine alla coerenza dell’antecedente sistema rispetto alle più recenti declinazioni del ne bis in idem e individua, adesso, un ulteriore profilo di interesse del recente intervento legislativo.
Ma conviene ripercorrere brevemente la rete di ruoli preposta all’accertamento e riscossione dell’imposta di soggiorno per stimare il potenziale impatto della novella sui profili appena indicati.
Nessuna norma, invece, pone in capo al soggetto ausiliario una solidarietà dipendente per l’omesso versamento del tributo da parte del suo ospite, né il legislatore ha mai fatto ricorso ad espressioni legislative che lasciassero intravedere la volontà di qualificarlo come sostituto d’imposta e di assegnargli, dunque, l’obbligo di pagare il tributo ‘in luogo di altri’, secondo l’impostazione dell’art. 64 del d.P.R. n. 600/73. Cionondimeno, alcune leggerezze nella stesura dei regolamenti, sfociate nell’inappropriato utilizzo dell’espressione ‘sostituto d’imposta’, avevano alimentato un’iniziale confusione sul ruolo e sulla veste giuridica del gestore, costringendo la Giustizia amministrativa ad emendare l’errore dagli atti comunali (tra le tante si vedano le sentt. T.a.r. Puglia, 30 aprile 2012, nn. 748 e 736).
Eppure, la differenza tra le due figure è sostanziale atteso che il sostituto d’imposta risponde in proprio dell’adempimento dell’obbligazione tributaria, sia pure in relazione a un presupposto collegato a fatti, atti e situazioni ad altri riferibili; il gestore della struttura ricettiva, invece, è tenuto soltanto a ricevere e riversare al Comune le somme in questione nonché, nell’ipotesi residuale dell’inadempimento del suo ospite (unico soggetto passivo del tributo), ad identificarlo e a segnalarne le generalità, così innescando il recupero coattivo da parte dell’ente impositore. Di modo che, negli assetti legislativi vigenti dell’imposta di soggiorno, né l’omesso versamento del tributo da parte del contribuente né il suo eventuale mancato recupero da parte della civica amministrazione determinano conseguenze patrimoniali di alcun tipo nella sfera giuridica del soggetto gestore.
Coerente con quest’impostazione è la più recente disciplina fiscale delle locazioni brevi che specifica ulteriormente i profili di responsabilità del gestore della struttura turistica proprio in funzione dell’avvenuto incasso o meno delle somme. L’art. 4 del d.l. 24 aprile 2017, n. 50, al comma 3-ter, stabilisce infatti che: ‘il soggetto che incassa il canone o il corrispettivo, ovvero che interviene nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi, è responsabile del pagamento dell'imposta di soggiorno di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e del contributo di soggiorno di cui all'articolo14, comma 16 lettera e), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nonché degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale’. Ne dovrebbe discendere l’esclusione di ogni responsabilità patrimoniale in tutte quelle ipotesi in cui il gestore, pur avendo rispettato le residue prescrizioni legislative e regolamentari, non sia comunque riuscito ad incassare il tributo dal proprio ospite.
Orbene, il comma 3 dell’art. 4 del d.lgs. n. 23/2011, facendo corretta applicazione del carattere relativo della riserva di legge in questione, rinviava ad un successivo regolamento governativo la definizione della ‘disciplina generale di attuazione dell’imposta di soggiorno’, prediligendo un approccio differente da quello adottato per l’imposta di sbarco che è disciplinata dal successivo comma 3-bis e in relazione alla quale il legislatore statale ha invece provveduto direttamente ad individuare i ruoli, i compiti e gli adempimenti strumentali al prelievo. Nel caso dell’imposta di soggiorno, inoltre, il regolamento ministeriale - che si sarebbe dovuto adottare entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della norma - non ha mai visto la luce, così restando priva di armonizzazione la disciplina di maggior dettaglio (da ‘concertare’ con le associazioni di categoria) disposta dai regolamenti comunali. Complice la previsione contenuta nella parte finale del comma 3 (‘nel caso di mancata emanazione del regolamento previsto nel primo periodo del presente comma nel termine ivi indicato, i Comuni possono comunque adottare gli atti previsti dal presente articolo’), l’odierna produzione regolamentare ha di fatto fruito di una vera e propria ‘delega in bianco’ che ha indotto i Comuni ad imporre prestazioni personali di vario genere a carico dei soggetti gestori delle strutture ricettive, talvolta travalicando il ruolo che la legislazione statale parrebbe voler affidare loro. Per di più, in non pochi casi, la disciplina comunale di attuazione del prelievo non è stata nemmeno condivisa con le associazioni ‘maggiormente rappresentative dei titolari delle strutture ricettive’ che, nell’impostazione accolta dal legislatore, avrebbero dovuto essere quantomeno audite. Si tratta di anomalie che non incidono sulla legittimità del prelievo ma che potrebbero invece determinare l’illegittimità di alcune prestazioni autonomamente imposte dai regolamenti comunali a carico dei soggetti gestori delle strutture turistico ricettive con possibili conseguenze sul presupposto di irrogazione delle sanzioni. Del resto, non appare convincente la tesi spesso sostenuta dalla Suprema corte in ordine all’assenza di gravosità per gli adempimenti che i regolamenti pongono a carico dei gestori (cfr. sentenza 7 febbraio 2019, n. 6130, par. 2.5., della Sez. Penale della Cassazione). L’attrazione involontaria del privato alle regole di contabilità pubblica avrebbe suggerito, infatti, una fase transitoria, la responsabilizzazione degli operatori – nuovi ausiliari del Comune – e una congrua informazione sulle conseguenze delle proprie omissioni. Per di più, basterebbe verificare uno tra i tanti portali di gestione degli adempimenti dell’imposta di soggiorno implementati dai Comuni per comprendere che, col passare del tempo, gli adempimenti a carico dei loro novelli ausiliari, la loro frequenza e il livello di tecnicismo sono decisamente cresciuti.
Eppure, ove si confrontassero le espressioni utilizzate dai regolamenti comunali, emergerebbero non poche incertezze, in primo luogo proprio sull’individuazione del soggetto destinatario del regime sanzionatorio in questione. Nella maggior parte dei casi, infatti, il riferimento all’ordinario regime dell’illecito amministrativo tributario è riferito indistintamente a chiunque ritardi il versamento delle somme. A ben vedere, però, tale condotta potrebbe ascriversi sia al contribuente-ospite, nei cui confronti appare ineccepibile imputare conseguenze sanzionatorie simmetriche a quelle che discendono dal ritardato versamento di altri tributi, sia al gestore della struttura ricettiva che, per motivazioni varie (e finanche involontariamente) potrebbe comunque ritardare il riversamento alle casse comunali delle somme trattenute. Si osservino, ad esempio, le differenze esistenti tra il regolamento comunale della Città di Fasano (BR) secondo cui: “Le violazioni al presente regolamento a carico dei gestori delle strutture ricettive e delle altre tipologie indicate nell’art. 3 sono punite con le sanzioni amministrative irrogate sulla base dei principi generali dettati, in materia di sanzioni tributarie, dai Decreti Legislativi 18 dicembre 1997, n.471, n.472 e n.473, nonché secondo le disposizioni del presente articolo; 2. per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta, si applica la sanzione amministrativa pari al trenta per cento dell'importo non versato, ai sensi dell’art. 13 del Decreto Legislativo n. 471 del 1997. Al procedimento di irrogazione della sanzione di cui al presente comma si applicano, altresì, le disposizioni previste dall’art. 16 del Decreto Legislativo n. 472 del 1997” (così l’art. 12); e quello del Comune di Verona che stabilisce, invece, conseguenze differenti per le violazioni commesse dal contribuente-utente e dall’albergatore (art. 9), prevedendo solo nei confronti del primo le sanzioni amministrative tributarie.
L’ampiezza delle espressioni che vengono generalmente utilizzate – solo in pochi casi i regolamenti comunali riferiscono chiaramente ed esplicitamente all’ospite le conseguenze in questione – può renderne difficile il raccordo con gli ulteriori trattamenti sanzionatori richiamati e variamente coordinati dalle discipline comunali. Ci si riferisce alle sanzioni specificatamente previste sul versante del gestore della struttura ricettiva e che vengono invece attinte dal Tuel (testo unico degli enti locali) e, più precisamente, dall’art. 7 bis del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, così sostanziandosi in violazioni della disciplina regolamentare. Tali sanzioni s’avvalgono del distinto procedimento d’irrogazione stabilito dalla legge 24 novembre 1981, n. 689 e riguardano, soprattutto, l’omessa, incompleta o infedele dichiarazione cui corrisponde una sanzione in misura fissa tra i 25 e i 500 euro. Analogo regime sanzionatorio dovrebbe trovare applicazione per le violazioni di ogni altro obbligo previsto da regolamento per i soggetti gestori delle strutture ricettive. Invece, non tutti gli enti reagiscono, per esempio, alla violazione dell’obbligo di informazione o al mancato utilizzo del sistema telematico eventualmente adottato dal Comune ovvero, ancora, al ritardato o omesso aggiornamento dei dati attraverso gli oramai diffusissimi portali comunali dell’imposta di soggiorno.
Se ne ricava un mosaico di regimi connotati da tratti comuni riflessi dalle discipline legislative di riferimento ma resa complessa e instabile delle opzioni espresse da ciascun ente nella selezione delle condotte da assumere a presupposto dell’illecito amministrativo e, in taluni casi, finanche nella scelta del trattamento sanzionatorio più appropriato.
A tali divergenze si oppone un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità nell’inquadramento delle conseguenze penali dell’omesso o ritardato riversamento nelle casse comunali del tributo da parte del gestore della struttura ricettiva. Com’è sufficientemente acclarato in giurisprudenza, infatti, questa condotta integra il reato di peculato che l’art. 314 c.p. reprime con la pena della reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi, dovendosi qualificare il gestore quale incaricato di pubblico servizio in applicazione di una tesi ormai consolidata nella giurisprudenza civile, penale e contabile. Si ricorda il recente arresto delle Sezioni Unite civili che, nell’ordinanza 24 luglio 2018, n. 19654, ha riconosciuto sussistente, tra il gestore della struttura ricettiva ed il Comune, un rapporto di servizio pubblico con compiti eminentemente contabili che implicano il maneggio di denaro pubblico. Conseguentemente, ogni controversia intercorrente con l’ente impositore avente ad oggetto la verifica dei rapporti di dare e avere, e il risultato finale di tali rapporti, darebbe luogo ad un giudizio di conto, sul quale sussiste, pertanto, la giurisdizione della Corte dei Conti. Per ciò che concerne la giurisprudenza penale, invece, si segnalano, tra le molte le sentenze della Sesta Sezione della Cassazione, 25 ottobre 2017, n. 53467, 12 luglio 2018, n. 32058, e 9 maggio 2019, n. 19925. Infine, sul versante della giustizia contabile, merita di essere ricordata la sentenza resa a Sezioni riunite dalla Corte dei Conti il 22 settembre 2016 (n. 22/QM), che ha riconosciuto l’obbligo per il gestore di una struttura ricettiva della ‘resa del conto’, in quanto chiamato a svolgere una funzione strumentale (non già strutturale) ai fini dell’esazione dell’imposta, così entrando nella materiale disponibilità materiale delle somme riscosse. La natura pubblica di queste ultime ha indotto la Corte dei Conti a qualificare detto gestore ‘agente contabile’, con ogni conseguenza in punto di correlate responsabilità (art. 74, c. 1, R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, ed art. 178 del R.D. 23 maggio 1924, n. 87). Del resto, anche il Tuel, all’art. 93, comma 2, prevede la responsabilità contabile per ogni agente contabile, in aggiunta al tesoriere comunale, che maneggi denaro pubblico o sia incaricato della gestione dei beni degli enti locali (in senso analogo anche il Consiglio di Stato, Sezione V, sent. n. 5545/2017 del 28 novembre 2017).
Le conseguenze della qualificazione in termini di peculato dell’appropriazione, definitiva o finanche meramente temporanea, del denaro pubblico da parte dell’incaricato di pubblico servizio sono state ulteriormente aggravate dall’entrata in vigore della c.d. ‘legge spazzacorrotti’ (l. 9 gennaio 2019, n. 3) che annovera l'art. 314 c.p. tra i reati "ostativi" di cui all'art. 4-bis, comma 1, dell'ordinamento penitenziario, così risultando preclusa la sospensione di trenta giorni della pena conseguente all’eventuale condanna per peculato, con evidente elisione della possibilità del condannato di richiedere tempestivamente l’applicazione delle misure alternative. Per di più, sempre per effetto e a seguito di questo intervento legislativo, la concessione al condannato delle misure alternative alla detenzione è stata subordinata alla collaborazione con la giustizia.
L’innegabile severità della reazione ordinamentale al ritardato (ri)versamento al Comune di somme finanche modestissime ha perciò indotto a domandarsi se potesse considerarsi ragionevole e compatibile con i principi cardine del sistema tributario la previsione di un simile regime sanzionatorio a fronte di condotte che, per di più, fino a poco tempo addietro non erano nemmeno ascritte con certezza al reato di peculato. Non solo, infatti, il combinato disposto del 314 c.p. e della ‘legge spazzacorrotti’ individuava un trattamento complessivo, in punto di immediata applicazione della pena, non dissimile al regime dell’associazione per delinquere di stampo mafioso (v. G. Flora, Dalla “spazza corrotti” alla “spazza evasori”. Brevi note critiche sulle recenti innovazioni legislative in materia di reati tributari, in Rass. Trib., 2020, 252, ss.) ma, per di più, l’evasione fiscale più insidiosa, quale può essere per esempio quella in materia di Iva, le frodi fiscali e numerose altre condotte socialmente inaccettabili venivano (e tutt’ora vengono) perseguite con l’irrogazione di sanzioni assai più tenui, anche a prescindere dall’importo del tributo in concreto evaso. Con l’irragionevole conseguenza che, alla deliberata sottrazione al Fisco di milioni di euro di tributi differenti, il legislatore parrebbe rispondere con un trattamento sanzionatorio ben più mite di quello previsto per l’omesso o finanche ritardato versamento di poche centinaia di euro di imposta di soggiorno. A fronte di condotte analoghe, invece, l'ordinamento prevede sanzioni assai meno gravi e, soprattutto, ricorre alle soglie di punibilità: per l'omesso versamento dell'IVA è attualmente prevista una soglia di 250.000 euro; per l'omesso versamento dei contributi previdenziali la soglia è oggi fissata a 100.000 euro.
Può entrare in crisi, in questo modo, la proporzionalità della misura della pena, intesa come applicazione del canone della ragionevolezza in ambito penale (cfr. G. Ingrao, Appunti sull’applicazione del principio di proporzionalità per la revisione delle sanzioni amministrative tributarie, in Riv. Dir. Trib., 2014, I, 973, ss.). Il che avrebbe dovuto indurre il legislatore ad introdurre un’apposita disciplina speciale, di rango penale, per l’omesso o ritardato versamento dell’imposta di soggiorno, con un’anticipata, quanto necessaria, ponderazione delle prevedibili conseguenze della recente espansione di una disciplina così complessa - e di un regime sanzionatorio così severo - alle locazioni brevi (fino a 30 gg.) effettuate dal privato che, in molti casi, potrebbe essere del tutto impreparato alla comprensione e all’assolvimento degli obblighi normalmente gravanti sull’albergatore.
La prima versione della norma, contenuta nell’art. 187 della prima bozza del ‘decreto rilancio’, prevedeva l’integrazione dell’art. 4 del d.lgs. 23/2011, con l’inserimento del comma 1-ter, e la parziale modifica del comma 5-ter dell’art. 4 del d.l. 24 aprile 2017, n. 50. In entrambi i casi, dopo aver ribadito la responsabilità del gestore della struttura ricettiva per il pagamento dell’imposta di soggiorno e il suo diritto di rivalsa sui soggetti passivi, nonché per gli altri adempimenti previsti dalla legge e dai regolamenti comunali, veniva precisato che “per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471”. Tali previsioni si ponevano a valle del meccanismo di ristoro dei Comuni per le mancate entrate da imposta di soggiorno, quest’ultimo confermato nella versione finale della norma che è oggi contenuta nell’art. 180 del d.l. 20 maggio 2020, n. 34.
Nella versione finale della norma, invece, il nuovo comma 1-ter viene così riformulato: “Il gestore della struttura ricettiva è responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno di cui al comma 1 e del contributo di soggiorno di cui all’articolo 14, comma 16, lettera e), del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione della dichiarazione, nonché degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale. La dichiarazione deve essere presentata cumulativamente ed esclusivamente in via telematica entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo, secondo le modalità approvate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la conferenza Stato-città ed autonomie locali, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento. Per l’omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile si applica la sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento dell’importo dovuto. Per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno, si applica una sanzione amministrativa di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471”.
Il comma 5-ter dell’art. 4 del d.l. 24 aprile 2017, n. 50, invece, a seguito delle modifiche contenute al comma 4 dell’art. 180 del d.l. ‘rilancio’, è adesso riformulato in questi termini: “5-ter. Il soggetto che incassa il canone o il corrispettivo, ovvero che interviene nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi, è responsabile del pagamento dell'imposta di soggiorno di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e del contributo di soggiorno di cui all'articolo 14, comma 16, lettera e) , del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, con diritto di rivalsa di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione della dichiarazione, nonché degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale. La dichiarazione deve essere presentata cumulativamente ed esclusivamente in via telematica entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo, secondo le modalità approvate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la conferenza Stato-città ed autonomie locali, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Per l’omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile si applica la sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento dell’importo dovuto. Per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno, si applica una sanzione amministrativa di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471”.
Al di là di alcuni evidenti errori commessi dall’estensore delle due norme (il comma 3 dell’art. 180 fa decorrere il termine di adozione del decreto attuativo dall’adozione del d.l. dalla data di entrata in vigore ‘del presente provvedimento’, mentre il comma 4 lo fa decorrere dalla data di entrata in vigore ‘della presente legge’) e di piccoli refusi che potranno essere agevolmente corrette in sede di conversione, la novella persegue due distinti obiettivi: anzitutto rimuove la discrezionalità comunale sui termini e sulle modalità con cui va resa la dichiarazione tributaria del gestore e del locatore, così delimitando ulteriormente l’autonomia dei Comuni ma rendendo certamente più stabile e meno oscuro il contesto normativo a beneficio di un più puntuale assolvimento degli obblighi accessori dei soggetti tenuti a tale adempimento; in secondo luogo, inquadra in termini finalmente chiari – e ancora una volta uniformandole su basi nazionali – le conseguenze dell’omessa o infedele presentazione della dichiarazione (sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento) che vengono adesso differenziate da quelle dell’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta e del contributo di soggiorno (sanzione amministrativa di cui all’articolo 13 del d.lgs. 471/1997).
In questa prospettiva, l’intervento merita di essere apprezzato, poiché è diretto a rimuovere alcune delle incertezze emerse nella prassi applicativa del tributo e che sono state indubbiamente alimentate, come si è visto, dalla giungla di regolamenti e dalle variegate espressioni utilizzate da alcuni Comuni nell’individuazione delle conseguenze delle omissioni in questione.
Ma anche sotto un diverso profilo il decreto rilancio parrebbe perseguire la depenalizzazione della condotta omissiva del gestore della struttura ricettiva. Ci si riferisce all’avvenuta introduzione di una disciplina apposita (e speciale) delle conseguenze sanzionatorie dell’omessa o infedele presentazione della dichiarazione e dell’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta e del contributo di soggiorno, entrambe poste in antitesi con l’irrogazione di una sanzione penale. Infatti, l’esplicita previsione della sanzionabilità di tali illeciti in sede amministrativa porrebbe problemi di non agevole soluzione ove si assistesse alla contestuale irrogazione di una sanzione penale, per la possibile lesione del principio del ne bis in idem. Inoltre, anche il principio di specialità dovrebbe indurre a ritenere che le nuove previsioni individuino una ‘disciplina afflittiva speciale’ suscettibile, dunque, di prevalere rispetto a quella associata al più ampio e generale reato di peculato (cfr. F. Amatucci, Doppio binario e “connessione sufficiente” tra procedimento tributario e penale, in Riv. Trim. Dir. Trib., 2017, 271, ss.; S. Dorigo, Il “doppio binario” nella prospettiva penale: crisi del sistema e spunti per una riforma, in Rass. Trib., 2017, 453).
Non v’è dubbio che gli stratificati contributi giurisprudenziali sulla questione, di cui si è già parlato, e il controverso perimetro applicativo del principio del ne bis in idem nell’ordinamento tributario (A. Giovannini, Il principio del ne bis in idem sostanziale, in AA.VV., Trattato di diritto sanzionatorio tributario, diretto da Id., Tomo I, 1265, ss.; Viotto, Evoluzione del sistema sanzionatorio penale tributario e prospettive di riforma in Riv. Trim. Dir. Trib., 2015, 557, ss.) siano destinati ad alimentare un dibattito su questi aspetti che potrebbe condizionare la conversione in legge delle norme. Ci si limita per adesso a segnalare che risulta solo parzialmente risolto il conflitto della precedente disciplina con il principio di proporzionalità, che sarebbe stato preferibile comporre prevedendosi conseguenze ulteriori - stavolta si, di natura penale - per le più gravi ipotesi di omesso versamento del tributo oltre determinate soglie. Cionondimeno, sono state poste le basi per la rimozione, dal nostro ordinamento, di una smisurata reazione al ritardo, a volte quasi fisiologico, del gestore della struttura ricettiva nel (ri)versamento di somme di esigua entità, fino ad oggi inquadrato nel gravissimo reato di peculato con l’eventuale aggravante della continuazione.
Sotto un terzo ed ultimo profilo il legislatore statale ha scelto un momento storico di grande confusione per coordinare e, così facendo, semplificare almeno alcuni degli adempimenti a carico dei novelli responsabili d’imposta, stabilendo che la loro dichiarazione annuale sia presentata in via telematica entro termini fissi e finalmente stabili (30 giugno dell’anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo) e rimettendone le modalità di compilazione ad un apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze che dovrebbe essere a breve adottato. L’applicazione dell’imposta di soggiorno viene, in questo modo, recuperata a schemi concettuali e modelli attuativi propri della materia tributaria, così prefigurandosi le condizioni per una opportuna ‘normalizzazione’ dei rapporti tra enti impositori e gestori delle strutture ricettive, all’egida di un prelievo destinato a sostenerne i comuni sforzi di valorizzazione del sistema turistico locale.