Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

07/03/2025 - “Sugar tax”, tributi con scopi extrafiscali e tutela della salute

argomento: Principi generali e fonti - Giurisprudenza

La Corte Costituzionale conferma la legittimità della “sugar tax”, imposta sul consumo di bevande edulcorate introdotta con la legge di bilancio per il 2020, ritenendo ragionevole l’individuazione del suo presupposto, alla luce del recepimento degli indirizzi espressi dalle organizzazioni sovranazionali in tema di tutela della salute e contrasto alle abitudini di consumo dannose. La decisione permette tuttavia di ipotizzare che possa essere individuata quale scopo del tributo la tutela della salute pubblica, e delle capacità, necessariamente limitate, di sua tutela da parte dello Stato.

» visualizza: il documento (Corte Costituzionale, sentenza 26 marzo 2024, n. 49) scarica file

PAROLE CHIAVE: tributi extrafiscali - accise - indici di capacità contributiva


di Edgardo Marco Bartolazzi Menchetti

1. Come è noto, vi sono situazioni in cui il diritto tributario viene utilizzato per finalità extra-fiscali, e in particolare allo scopo di scoraggiare comportamenti ritenuti socialmente dannosi (su cui la letteratura è ampia, ma tra i più recenti: G. Salanitro, Sugar tax e plastic tax, quando il tributo litiga con la capacità contributiva, in Riv. Dir. Trib., 2023, 339 e ss.; P. Barabino, La “salute” nel diritto tributario tra agevolazioni e regimi fiscali, in Riv. Dir. Trib., 2020, 421, F. Fichera, Le penalizzazioni fiscali, in Rass. Trib., 2017, 589 e ss.; T. Tassani, C’è spazio per una fiscalità degli stili di vita?, in Studi trib. eur., 2016, 4, 66 e ss.; il tema è peraltro attinto anche in E. Marello, Pulsioni oscure: l’imposta come sanzione, in Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 2021, 205 e ss.).

La Corte costituzionale ha quindi dovuto valutare [sentenza 26 marzo 2024, in Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 2024, 65 con nota di A. Mondini, Il fine extrafiscale giustifica i mezzi (con la virtù della scienza). Considerazioni intorno alla costituzionalità della sugar tax e della fiscalità comportamentale, ivi, 71 e ss.; D. Mendola, La Sugar Tax: un tributo con fini extrafiscali con cui il legislatore si allinea agli obiettivi di tutela del diritto alla salute in ambito unionale, internazionale e comparato, in Dir. prat. trib. int., 2024, 963] la legittimità dell’imposta sulle bevande edulcorate, introdotta con l’art. 1, commi da 661 a 676, della legge di bilancio per il 2020 (L. 27 dicembre 2019, n. 160), con cui vengono assoggettate ad un nuovo tributo definito “sui consumi”, in forma di accisa, la cessione, il condizionamento o l’importazione di bevande caratterizzate per l’aggiunta di edulcoranti, ossia “qualsiasi sostanza, di origine naturale o sintetica, in grado di conferire sapore dolce alle bevande” (art. 1, comma 662. L. n. 160/2019), oltre limiti specificati dalla normativa. Le bevande colpite dal tributo sono quelle riconducibili alle categorie della nomenclatura combinata dell’Unione Europea NC 2009 (succhi di frutta o di ortaggi) e NC 2202 (acque con aggiunta di zuccheri o di altri dolcificanti) destinate al consumo alimentare umano, addizionate di edulcoranti, sia naturali che artificiali, in misura superiore a 25 grammi al litro (o 125 grammi per chilogrammo per i prodotti da usare previa diluizione), e “analcoliche”, in quanto dotate di un titolo alcolometrico inferiore o uguale a 1,2 per cento in volume. La misura dell’imposta si determina in funzione della quantità di bibita edulcorata “finita”, a prescindere dal quantitativo di dolcificante in essa presente, purché superiore alle predette soglie.

Il T.A.R. del Lazio, adito da un’associazione di categoria e da alcuni produttori per l’impugnazione del decreto attuativo del Ministero dell’economia e delle finanze del 12 maggio 2021, recante “Imposta di consumo sulle bevande edulcorate”, ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione inerente la legittimità della disciplina del tributo in discorso, individuando quale profilo di contrasto, ritenuto non manifestamente infondato dal Giudice amministrativo, quello della violazione del principio di “uguaglianza tributaria”, desumibile dagli artt. 3 e 53 della Carta fondamentale, secondo il quale, come noto, “a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario diseguale” (Corte Cost., sent. 6 luglio 1972, n. 120; su tale principio, per tutti, F. Gallo, L’uguaglianza tributaria, Napoli, 2012).

La normativa è stata censurata per la scelta di assoggettare ad accisa le sole bevande addizionate di edulcoranti, peraltro solo a partire da una minima “soglia di dolcezza”, e non anche altri prodotti alimentari aggiunti di sostanze analoghe. Tale decisione, nella prospettazione del T.A.R., non sarebbe adeguatamente giustificata da parte del legislatore, in un contesto in cui il dichiarato fine della normativa sarebbe quello di “contrastare l’obesità, il diabete e il consumo di sostanze edulcoranti sintetiche”, che “ben avrebbe potuto realizzarsi incidendo anche sui prodotti alimentari diversi dalle bevande analcoliche” (così l’ordinanza di rimessione, n. 14918/2022 del 14.11.2022, in giustizia-amministrativa.it).

La Corte costituzionale ha confermato la necessità che il legislatore, nell’esercizio dell’ormai riconosciuta “ampia discrezionalità in relazione alle varie finalità alle quali s’ispira l’attività di imposizione fiscale” (con testuale richiamo alla sentenza 1 giugno 2023, n. 108), operi comunque “secondo criteri di coerenza interna, non contraddittorietà, adeguatezza e non arbitrarietà”, e su tali presupposti ha ritenuto legittima la “sugar tax”, escludendo il prospettato contrasto con il principio di uguaglianza tributaria. La Consulta ha infatti notato che la relazione illustrativa al disegno di legge di bilancio per il 2020 rende espressamente ragione dell’intenzione del legislatore di adeguarsi alle indicazioni fornite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità fin dal 2015, e dell’espresso invito ad introdurre una specifica tassazione delle bevande analcoliche zuccherate, data la loro riconosciuta attitudine a provocare diabete, obesità e altre patologie non trasmissibili. Tutta la disciplina del tributo viene pertanto riconosciuta come tesa ad applicare le indicazioni provenienti dalla comunità internazionale. Su tali presupposti, la questione di legittimità costituzionale è stata dichiarata non fondata e ne è risultata confermata la disciplina dell’imposta, la cui entrata in vigore è stata quindi posticipata al 1 luglio 2025 per effetto dell’art. 9-bis, comma 7, D.L. 29 marzo 2024, n. 39.

 

2. La sugar tax può certamente essere qualificata come tributo avente finalità extra-fiscali, ossia un’entrata pubblica, coattiva, che oltre allo scopo di fornire sostentamento alle spese della collettività si pone quello di orientare - in questo caso disincentivandoli - specifici comportamenti (qui specifiche abitudini di consumo) dei contribuenti, sulla base di  considerazioni di ordine sociale e della tutela di esigenze riconosciute dall’ordinamento (cfr. A. Fedele, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, 31-32; in termini analoghi F. Gallo, Nuove espressioni di capacità contributiva, in Rass. Trib., 2015, 779). La configurabilità di tale tipologia di tributi è risalente (come mostra la prospettiva storica tracciata da S. Donatelli, Dovere fiscali e tributi extrafiscali, in Rass. Trib., 2019, 312 e ss., e i rinvii a fondamentali contributi di B. Griziotti, I principi delle entrate extrafiscali, in Riv. dir. fin., 1951, pag. 368 ss.; F. Maffezzoni, Il principio di capacità contributiva nel diritto tributario italiano, Torino, 1970, pag. 320 e ss. e G.A. Micheli, Profili critici in materia di potestà di imposizione, in Riv. Dir. Fin., 1964, I, 28; in tema F. Fichera, Imposizione ed extrafiscalità nel sistema costituzionale, Napoli, 1973). La loro legittimità è peraltro riconosciuta nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, ove si ritiene che “al legislatore spetta un'ampia discrezionalità in relazione alle varie finalità alle quali s'ispira l'attività di imposizione fiscale” (Corte Cost., sent. 15 novembre 2017, n. 240, su cui A. Fedele, L’imposta di consumo sulle “sigarette elettroniche” e la “ratio” dell’accisa sui tabacchi, in Riv. Dir. Trib., supp. online, 2017, il quale evidenzia che dalla decisione pare emergere una dilatazione dei limiti posti all’attività del legislatore), e così nell’individuazione de “i singoli fatti espressivi della capacità contributiva che, quale idoneità del soggetto all'obbligazione di imposta, può essere desunta da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza” (Corte Cost., sent. 22 aprile 1997, n. 111).

Con il conforto di tali affermazioni del Giudice delle leggi, parte della Dottrina (A. Fedele, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, 30-31; F. Gallo, Le ragioni del Fisco, Bologna, 2007, 79 e ss.) ha proposto una configurazione del principio della capacità contributiva in senso relativo, richiedendosi al legislatore soltanto che l’individuazione degli indici, pur sempre espressivi di capacità economica, avvenga in senso razionale. Entro quest’ottica diviene legittima, e rispondente ai principi dell’art. 53 della Costituzione, l’identificazione quali manifestazioni di capacità contributiva, a cui correlare la tassazione, di “indici di potenzialità economica rappresentati da posizioni e valori [..] solo socialmente rilevanti, purché espressivi, in termini di vantaggio, di una capacità differenziata economicamente valutabile” (F. Gallo, Le ragioni del Fisco, cit., 84), ovvero facoltà la cui “misura” in denaro “esprime diversificate posizioni di vantaggio nel contesto sociale, che giustificano la diversa partecipazione di ciascuno ai carichi pubblici” (A. Fedele, Appunti dalle lezioni, cit., 31). Secondo tale visione, infatti, nella ripartizione dei carichi pubblici intervengono “scelte di origine sociale fatte dal legislatore nella sua discrezionalità” (F. Gallo, Nuove espressioni di capacità contributiva, in Rass. Trib., 2015, 779).

In questo contesto si colloca certamente l’individuazione, quali indici di capacità contributiva, di fatti attinenti il consumo di beni ritenuti dannosi per la salute (su questo tema P. Barabino, La “salute”, cit., passim., ma anche, diffusamente, F. Fichera, Le penalizzazioni, cit., 593 e ss.), situazione che conosce origini risalenti nel nostro ordinamento. Un esempio per tutti è quello della tassazione dei prodotti da fumo, che “trova la sua giustificazione nel disfavore nei confronti di un bene riconosciuto come gravemente nocivo per la salute e del quale si cerca di scoraggiare il consumo” (Corte Cost., sent. 2015, n. 83). Detto disvalore è tale che si è previsto di colpire, con una “imposta di consumo sui prodotti da inalazione senza combustione costituiti da sostanze liquide”, introdotta con l’art. 1, comma 1, lett. f), n. 1, del decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188 (fatta salva dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 240/2017 e su cui si rinvia a P. Barabino, La “salute”, cit.), anche prodotti espressamente qualificati come “succedanei” di quelli riconosciuti effettivamente nocivi (così testualmente nella rubrica del D.Lgs. n. 188/2014: “Disposizioni in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonchè di fiammiferi, a norma dell'articolo 13 della legge 11 marzo 2014, n. 23”). In tali casi, la volontà di scoraggiare un determinato “comportamento” quale abitudine di vita risulta palese, ed è certificata in termini espressi dalla Corte costituzionale, che ha rilevato come, secondo indicazioni provenienti dall’Unione Europea (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, 2014/40/UE, “sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati e che abroga la direttiva 2001/37/CE”), il tributo fosse giustificato anche dall’intenzione di disincentivare “il consumo di prodotti che potrebbero costituire un tramite verso il tabacco” (Corte cost., sent. n. 240/2017, cit.).

In questo preciso ambito si collocano pertanto anche i tributi “nutrizionali”, i quali nascono “con l’intento dichiarato di sottoporre a tassazione cibi dannosi per la salute soprattutto perché causa di malattie non trasmissibili come quelle cardiovascolari, i tumori, il diabete” (A. Uricchio, La tassazione sugli alimenti tra capacità contributiva e fini extrafiscali, in Rass. Trib., 2013, 1268). A tale genere è sicuramente riconducibile la “sugar tax” qui in discussione, con la quale il legislatore intende scoraggiare il consumo di bibite contenenti edulcoranti oltre una specifica quantità ma anche, al pari di quanto avvenuto per l’imposta sui succedanei dei tabacchi lavorati, i prodotti addizionati di dolcificanti sintetici, individuando il comportamento da disincentivare proprio nell’abituale utilizzo di bevande dal sapore zuccherino. La finalità extrafiscale della sugar tax è resa evidente, peraltro, dai risultati di alcuni studi (per un esempio: H. Allcott – B. Lockwood – D. Taubinsky, Sin taxes: Good, better, best, in NBER Reporter, 2023, 22-26), i quali hanno messo in luce che il consumo di bevande zuccherate risulta maggiore nelle fasce di popolazione con i redditi più bassi, sicché il risultato di una tassazione volta a colpirli, senza essere in grado di scoraggiarne l’uso, si risolverebbe in un’imposizione di tipo regressivo, difficilmente giustificabile nel nostro sistema costituzionale (il rischio concreto di regressività di questa imposizione è peraltro segnalato da A. Mondini, Il fine extrafiscale, cit., 88).

 

3. La necessaria razionalità delle scelte del legislatore richiede peraltro una specificazione oggettiva sicché, nell’interpretazione costituzionale, è ormai recepita l’idea che qualsiasi decisione normativa non possa prescindere da una previa verifica dello stato delle conoscenze scientifiche sul punto (L. Busatta, Tra scienza e norma: il fattore scientifico come oggetto, strumento e soggetto della regolazione, in Costituzionalismi.it, 2021, 155; in materia tributaria, l’esigenza di disporre di risultanze scientifiche sugli effetti per la salute degli alimenti che si intende penalizzare con lo strumento fiscale è segnalata da A. Uricchio, La tassazione sugli alimenti, cit., 1272).

La presenza di indicazioni provenienti da organizzazioni internazionali permette al legislatore di fare a meno di ulteriori indagini in ordine alla pericolosità degli alimenti, come il T.A.R. del Lazio evidenzia, per il caso in esame, nella sua ordinanza di rimessione, ove indica che “la correlazione causale tra eccesso di zuccheri aggiunti e patologie come diabete e obesità - nonché tra eccesso di zuccheri sintetici ed effetti collaterali dannosi ad essi collegati (gli stessi effetti per i quali il Regolamento UE n. 1333/2008 ha già fissato dosi massime di edulcoranti sintetici) - costituisce un fatto notorio”. Gli indirizzi internazionali fungono nei fatti da effettiva giustificazione della misura adottata, se si considera che lo stesso T.A.R. del Lazio rileva che “non esiste alcuna «equazione» automatica tra minor consumo di bevande zuccherate e riduzione delle patologie associate a tali bevande” (A. Mondini, Il fine extrafiscale, cit., 87, evidenzia che la capacità delle health taxes di migliorare la salute della popolazione è ancora da verificare). Lo scopo dell’iniziativa dello Stato italiano è anzi, dichiaratamente - come emerge dalla relazione illustrativa al disegno di legge di bilancio 2020 - quello di recepire gli inviti ad introdurre un’imposizione specifica sulle bevande zuccherate provenienti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che individua nel consumo delle bevande zuccherate una delle principali cause di malattie non trasmissibili. Nel suo rapporto “Le politiche fiscali per la dieta e la prevenzione delle malattie non trasmissibili” (2015, in who.int), l’Organizzazione mette infatti in evidenza che “la riduzione del consumo di bevande zuccherate determinerebbe un calo nell’assunzione di zuccheri liberi e calorie complessive e potrebbe generare, nel tempo, una riduzione dei tassi di sovrappeso e obesità oltre che di carie e di diabete”. Oltre a tale elemento, per giustificare dal punto di vista tecnico l’applicazione dell’imposta anche alle bevande contenenti edulcoranti sintetici, viene valorizzata l’avvenuta introduzione, con il Reg. UE n. 1333/2008, di limiti nelle dosi massime anche di tali dolcificanti all’interno delle bevande.

La Corte costituzionale, nella sentenza in commento, sottolinea quindi quanto sia ormai stretto il legame tra le indicazioni scientifiche e l’individuazione dell’oggetto e delle modalità della tassazione con cui si intende raggiungere un determinato scopo di salute pubblica. I Giudici notano infatti che “È proprio tale specifica attestazione scientifica a porsi all’origine sia del presupposto dell’imposta, individuato nella cessione e/o immissione in commercio sul territorio nazionale delle bevande analcoliche edulcorate; sia della base imponibile, individuata nel quantitativo di bevanda immessa in commercio per il consumo (e non della sostanza edulcorante in quanto tale); sia, infine, dei soggetti passivi della medesima imposta, individuati nei produttori (condizionatori o acquirenti o importatori) delle medesime bevande”.

Parametri e indicazioni scientifiche divengono quindi sempre più rilevanti nell’individuazione dei beni “dannosi” contro cui è legittimo rivolgere lo strumento fiscale, tenuto conto che, con il progredire delle conoscenze, è possibile individuare, con sempre maggiore precisione, le conseguenze effettive di determinati comportamenti e abitudini di consumo, e così centrare l’attenzione proprio verso i beni suscettibili di determinare le conseguenze più gravi, o quelli colpendo i quali possono essere raggiunti i risultati più incisivi. La tendenza appare anzi estesa oltremodo nella sentenza in commento, tanto che, come è stato rilevato, la Corte costituzionale sembrerebbe aver qui ritenuto inutile svolgere lo scrutinio di uguaglianza e coerenza sollecitato dal T.A.R. del Lazio, individuando nel mero riferimento ai richiamati elementi scientifici una giustificazione sufficiente delle scelte di politica fiscale compiute (A. Mondini, Il fine extrafiscale, cit., 90).

4. Su un piano ulteriore, la sentenza in commento individua il fondamento del tributo esaminato nella volontà di limitare il consumo, talvolta inconsapevole, di particolari bevande a fronte delle capacità lesive della salute ad esse riconosciute. Assumere zuccheri in eccesso tramite il consumo di bibite risulta infatti ancora più semplice – e certamente più piacevole – che mandare giù il proverbiale “bicchiere d’acqua”. La Corte indica che “la giustificazione dell’introduzione della imposta sulle bevande analcoliche edulcorate discende dalla attitudine delle stesse, per la loro particolare composizione, a provocare diabete, obesità e altre patologie non trasmissibili: attitudine puntualmente attestata da studi scientifici riversati in raccomandazioni di organismi internazionali specificamente volti a suggerire l’imposizione fiscale sulle medesime bevande”. Lo scopo del tributo quale intenzione di colpire specifiche abitudini di consumo emerge anche dalla giustificazione della mancata inclusione, nell’ambito della specifica misura tributaria, delle cessioni di alimenti differenti dalle bibite, benché contenenti edulcoranti. La Corte Costituzionale, infatti, nota che tali prodotti presentano “caratteristiche funzionali e nutrizionali assai eterogenee fra loro, oltre che del tutto differenti da quelle delle bevande edulcorate”, e che pertanto, a fronte della diversità basilare dei beni comparati, non è possibile operare una valutazione in funzione del principio di uguaglianza tributaria. Viene altresì evidenziato che la scelta del legislatore è ritenuta corretta anche sul rilievo per cui “la nuova imposta non grava sulle sostanze edulcoranti in sé considerate, ma propriamente sulle bevande edulcorate e in funzione della quantità di edulcoranti aggiunti evidentemente calcolata in base alla tipologia di prodotti alimentari (liquidi) interessata”. Tali indicazioni, oltre al fatto che il tributo si applichi anche sulle bevande contenenti dolcificanti artificiali, mostrano che ad essere avversato è proprio il modello in cui il consumo voluttuario di zuccheri superflui è reso inconsapevole, e così promosso dai produttori delle bibite, con il rischio che, nel consumatore inconsapevole, si ingenerino le condizioni per l’insorgenza di malattie perlopiù prevenibili semplicemente con l’adozione di stili di vita più sani.

In questo contesto, l’imposizione sulle bevande edulcorate può essere vista come un caso pratico in cui il legislatore individua un nuovo indice di capacità contributiva (consistente in tutto «ciò che può costituire oggetto del tributo in aggiunta alla ricchezza “tradizionale”», come osserva F. Gallo, Le ragioni del Fisco, Bologna, 2007, 82), certamente correlato alla potenzialità economica espressa dalla immissione in consumo di tali bevande ed al carattere voluttuario del relativo acquisto (come già evidenziato, ad esempio, nella sentenza n. 240/2017 della Corte Costituzionale), ma più direttamente centrato sulle conseguenze sociali che da tali fatti ragionevolmente derivano, sulla base delle evidenze scientifiche disponibili. In proposito, con gli opportuni adattamenti, sembra possibile ipotizzare che, in questo caso in particolare, la necessaria misurabilità economica del presupposto possa essere correlata alla “determinazione dell’entità degli svantaggi” (F. Gallo, Le ragioni del Fisco, cit.) che l’introduzione sul mercato di zuccheri di così facile assunzione è capace di generare. Infatti, la “sugar tax”, come visto, si determina in proporzione alla quantità di bevanda edulcorata (art. 1, comma 665, L. n. 160/2019) ed è dovuta da tutti coloro che, a vario titolo, rendono disponibili tali prodotti per l’acquisto da parte dei consumatori (fabbricante nazionale; soggetto nazionale che provvede al condizionamento; soggetto per conto del quale le medesime bevande sono ottenute dal fabbricante o dall'esercente l'impianto di condizionamento; acquirente, o infine importatore, secondo l’art. 1, comma 664, L. 160/2019). Secondo questa prospettiva, lo scopo extra-fiscale dell’imposta in questione può essere individuato nella tutela della salute pubblica, che si assume “messa a rischio” in ragione delle quantità di bibite dolcificate diffuse tra i consumatori. Ciò porta a riconoscere nella tutela della salute “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della comunità”, ad opera dell’art. 32 Cost., quelle “ulteriori e specifiche esigenze, riconosciute e tutelate dall’ordinamento, con le quali la funzione fiscale può essere coordinata” (A. Fedele, Appunti dalle lezioni, cit., 32).

Nella “sugar tax” risulta quindi evidente la volontà di gravare del tributo il soggetto che si avvantaggia della introduzione sul mercato delle bevande a cui sono riconosciute proprietà dannose, per la presenza di edulcoranti, naturali o sintetici, in misura superiore ad un certo livello, a prescindere dalla successiva traslazione del peso del tributo, coerente con la sua qualifica di imposta indiretta sul consumo (cfr. P. Boria, Il sistema tributario, Assago, 2008, 815; il carattere meramente economico della traslazione del tributo che si verifica sul consumatore, data l’assenza di previsioni in tema di rivalsa, è rilevato da A. Mondini, Il fine extrafiscale, cit., 103). Ciò si pone in armonia con quell’ipotesi (di cui dà conto A. Fedele, La nozione di tributo nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Riv. Dir. Trib., 2018, I, 8) per cui, in casi analoghi a quello in discorso, il presupposto dei tributi in forma di accisa andrebbe rinvenuto nell’attività del produttore e del dettagliante, i quali si avvantaggiano economicamente di consumi ritenuti sotto specifici profili dannosi (quella in discorso è infatti ricostruita in termini di imposta di fabbricazione, il cui presupposto andrebbe individuato nell’immissione in consumo dei beni colpiti, da A. Mondini, Il fine extrafiscale, cit., 103). Contribuisce a tale configurazione (peraltro conforme al brocardo cuius commoda, eius et incommoda sint) il fatto che la Corte costituzionale abbia sempre sottolineato la necessità di contemperamento tra l’iniziativa economica privata e la tutela della società imposto dall’art. 41 della Costituzione (sent. 10 luglio 1975, n. 200, ma si rinvia alle osservazioni di S. Donatelli, Dovere fiscale e tributi extrafiscali, in Rass. Trib., 2019, 339), in base alla quale l’introduzione di tributi con finalità extrafiscali trova come limite la necessità che all’operatore sia comunque lasciato un margine minimo di profitto che mantenga conveniente l’avvio e la prosecuzione della specifica attività di impresa.

Si può quindi ipotizzare che, ai fini qui in discussione, la salute pubblica rilevi sia direttamente che indirettamente: direttamente, perché le bevande zuccherate possono nuocere ai consumatori; indirettamente, perché la lesione della salute del singolo determina la necessità di apprestare, a spese del sistema sanitario nazionale, delle cure che avrebbero potuto essere evitate. La fattispecie considerata può pertanto essere ricondotta a quelle “situazioni o attività perniciose che possono, a loro volta, dare luogo ad un aggravio di spese pubbliche, qualificando così la capacità contributiva manifestata dalla fattispecie tassata” (A. Uricchio, La tassazione sugli alimenti, cit., 1277).

5. Riconoscendo, sulle basi di cui si è dato conto, la legittimità della “sugar tax”, la Corte Costituzionale contribuisce pertanto a definire una prospettiva in cui l’adozione di stili di vita non salubri determina un danno per la collettività, in termini di più probabile maggiore necessità di utilizzo delle risorse di cura e diagnosi del sistema sanitario pubblico, e di conseguente minore disponibilità di tali beni collettivi, approntati in misura necessariamente finita con risorse pubbliche, oltre che di maggiori costi per la collettività. L’imposizione in questione sembra pertanto rientrare tra quelle nuove forme di contribuzione “che assumono a presupposto il fatto «in sé» del consumo di beni «comuni»” (A. Fedele, Ancora sulla nozione di capacità contributiva nella Costituzione italiana e sui “limiti” costituzionali all’imposizione, in Riv. Dir. Trib.,  2013, I, 1042). L’immissione sul mercato di bevande zuccherate esprime quindi, in definitiva, un’attitudine allo sfruttamento, per interesse proprio, di beni di godimento pubblico, escludendone gli altri consociati (A. Fedele, Appunti dalle lezioni, 31). Tale situazione manifesta peraltro una capacità differenziata (cfr. F. Gallo, Le ragioni del Fisco, cit., 84), valutabile in termini economici in correlazione alla quantità di bevande zuccherate immesse sul mercato, e quindi al reddito che da tali beni può trarre il produttore, direttamente proporzionale al danno potenziale per i consumatori.

In questi termini, il presupposto della “sugar tax” può essere interpretato alla luce delle nuove esigenze di tutela di beni pubblici a disponibilità limitata, oltre che nella tradizionale visione che individua nella produzione e nel consumo di beni voluttuari, e quindi superflui, un indice tipico di capacità contributiva.

Resta tuttavia il dubbio sul fatto che la mera adesione ad indicazioni provenienti da organismi “tecnici” possa effettivamente essere sufficiente, nel vigente sistema costituzionale, a giustificare l’introduzione di tributi con finalità extra-fiscali laddove ciò costituisca, nei fatti, semplicemente espressione di una scelta politica di adesione a vie di azione proposte dalla comunità internazionale.

Pur nel vigente contesto di crescente relativizzazione del principio di capacità contributiva, di cui si è detto, le scelte del legislatore fiscale necessitano infatti di essere compiutamente giustificate sotto il criterio della razionalità e ragionevolezza, in relazione alle esigenze di tutela ed ai sacrifici imposti in ordine a valori costituzionali confliggenti, senza che su tale aspetto possa intendersi sufficiente un mero rinvio a valutazioni compiute in seno ad organismi estranei al dibattito ed alla responsabilità politica delle misure tributarie (come rilevato da A. Mondini, Il fine extrafiscale, cit., 100). Sotto questo profilo, si auspica che la Corte costituzionale potrà avere occasione di chiarire che quanto deciso in tema di sugar tax non costituisce un salvacondotto per tutti gli eventuali tributi con finalità extra-fiscali che originino da indirizzi tecnici, per quanto espressi in sedi autorevoli.