Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

04/03/2025 - La presunzione di distribuzione ai soci di Utili extracontabili nelle Società di capitali a ristretta base

argomento: Sanzioni e contenzioso - Legislazione e prassi

Nelle società di capitali a ristretta base ci si avvale di una presunzione, di matrice giurisprudenziale, con cui si ipotizza la distribuzione tra i soci di utili extracontabili. A fondamento della presunzione vi è un fatto noto, quale l’esiguità della base societaria, dal quale si inferisce tra i componenti della compagine un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo nella gestione sociale. Tuttavia, questa presunzione non è priva di ambiguità, a causa del suo uso indiscriminato e della difficoltà per il contribuente di fornirne prova contraria. Il presente lavoro mira ad evidenziare le criticità e le prospettive future alla luce del nuovo comma 5-bis inserito nell’art. 7 del decreto 546/92 e della portata innovativa dell’art. 17 comma 1, lett. h), n.4, della L. 111/2023.

PAROLE CHIAVE: presunzione di distribuzione - trasparenza per presunzioni - ristretta base sociale partecipativa


di Maria Sole De Chiara

1. La presunzione di distribuzione di utili extracontabili, nelle società di capitali a ristretta base, è impiegata dall’Amministrazione finanziaria per inferire la distribuzione tra i soci degli utili non dichiarati dalla società. La ristrettezza della base sociale è l’elemento centrale che giustifica l’applicazione della presunzione: la stretta relazione tra i soci e il loro coinvolgimento diretto nella gestione della società rendono dunque plausibile una distribuzione occulta di utili. Tuttavia, recenti riforme normative rendono quantomeno auspicabile un approccio più rigoroso ed equilibrato nella individuazione dei parametri di operatività della presunzione, nonostante ciò la giurisprudenza prevalente parrebbe continuare a non apportare sostanziali modifiche al proprio granitico orientamento. In tal commento si proverà quindi a sottoporre a prova di resistenza logica e giuridica il consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili nelle società di capitali a base ristretta.

2. Un primo punto discusso è la possibilità di applicare tout court la dizione “trasparenza per presunzioni”, tipica delle le società di persone, anche alle società di capitali a ristretta base partecipativa.

Prima della riforma IRES del 2003, la trasparenza fiscale era sicuramente applicabile solo alle società di persone.

Con l'art. 4, lett. h), della Legge 7 aprile 2003, n. 80, e il successivo Decreto Legislativo n. 344/2003, che ha introdotto gli articoli 115 e 116 del TUIR, è stata disciplinata l’“opzione per trasparenza fiscale” e l’“opzione per la trasparenza fiscale delle società a ristretta base proprietaria” (si veda, su tutti, Fedele, Le “piccole società di capitali nel diritto tributario, in studi in tema di forma societaria servizi pubblici locali circolazione della ricchezza imprenditoriale, Torino, 2007, p. 10; Rasi, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria, Milano, 2022, p. 6). Ove non si sia esercitata l’opzione di cui sopra, tuttavia, è necessario considerare come la riforma IRES abbia enfatizzato l’autonomia contributiva delle società, tassando il reddito direttamente in capo alla società, distinguendo la stessa dai soci, quali persone fisiche.

Il legislatore tributario nell’ipotesi di opzione sembra invece posizionare le società di capitali a ristretta base proprietaria a metà strada tra il modello delle società di capitali, soggette ad imposta, e quello delle società di persone, naturalmente trasparenti. La dottrina del resto evidenzia come un eventuale adesione rigida ad uno solo dei due schemi impositivi non avrebbe fornito una adeguata ed idonea soluzione normativa (Rasi, La tassazione per trasparenza, cit., p. 11).

In tal contesto vale evidenziare come sussistano due interpretazioni sull’orientamento giurisprudenziale a fronte degli utili extracontabili delle società di capitali a base ristretta (Rasi, L’inarrestabile “lotta” della Cassazione contro le società a ristretta base proprietaria: nuove difese dalla riforma del processo tributario?, in Riv. tel. dir. trib., 17.12.2022, p. 10): secondo alcuni, essa rappresenterebbe un semplice “meccanismo tecnico” per evitare la doppia imposizione; altri la vedono come un “modello impositivo teorico di trasparenza”, applicabile anche alle società di capitali secondo l’intento manifestato dal legislatore anche negli artt. 115 e 116 del TUIR.

Parte della dottrina (Schiavolin, La giurisprudenza sulla distribuzione presunta di utili nelle società di capitali a base ristretta si allontana sempre più dai dati normativi, in Diritto prat. trib., 2023, 4, p. 1264 ss.) considera non corretto l’utilizzo dell’espressione “trasparenza per presunzioni” e questo per almeno due ragioni principali: codesta formula trova fondamento nei regimi di trasparenza fiscale, come gli artt. 5, 115 e 116 TUIR, i quali prevedono di tassare il reddito societario solo in capo ai soci, esonerando così la società dal pagamento dell’IRES, ma ciò contrasta con la normativa che impone il recupero delle imposte evase sia dai soci che dalle società; la seconda è che la presunzione di distribuzione di utili extracontabili si basi sull’idea che l’Amministrazione finanziaria non debba provare l’effettivo incasso dei dividendi, contraddicendo il principio della trasparenza, che presuppone l’imputazione degli utili indipendentemente dalla distribuzione. In tale ottica si potrebbe parlare di trasparenza “solo in senso atecnico” (Schiavolin, op. cit., p. 1246. p. 1266 ss.).

Altra parte della dottrina (Rasi, L’inarrestabile “lotta” della Cassazione contro le società a ristretta base proprietaria, cit., p. 3 ss.; Bartolazzi Menchetti, "Multilivello" La presunzione di distribuzione degli utili nelle società a ristretta base partecipativa, in Tax news, 10.02.2023, 1 ss.) invece, ritiene che si possa parlare di una ormai consolidata imputazione per trasparenza, sebbene l’orientamento giurisprudenziale sia ritenuto criticabile. L’amministrazione finanziaria, infatti, effettua una rettifica sul reddito imponibile di società di capitali a ristretta base, come nelle società di persone, basandosi sul presupposto che vi sia una “complicità” tra i soci che consente loro di disporre degli utili senza necessità di una delibera formale di distribuzione per poterlo possedere fiscalmente. Questo perché nella prassi sono i soci a dover essere tassati in quanto dispongono del reddito e manifestano capacità contributiva, superando l’idea di tali società quali naturali soggetti passivi dell’obbligazione tributaria.

3. La giurisprudenza in esame, attualmente, fa dunque perno sul fatto noto per risalire sino al fatto ignoto. In tale ottica, proprio dalla ristretta base sociale partecipativa, quale fatto noto, (ex multis: Cass., 14 febbraio 2020, n. 3735; Cass., 29 luglio 2016, n. 15824) si ricava per presunzione la distribuzione degli utili extra-bilancio tra i soci, quale fatto ignoto. Si arriva così ad affermare che la ridotta compagine sociale rappresenti la chiave di volta che consente all’Amministrazione finanziaria di presumere la distribuzione di utili in capo ai soci (Muffato, La presunzione di distribuzione di utili occulti nel caso di rettifiche a società di capitali a base ristretta o familiare, in Riv. dir. trib., 1999, II, p. 357). Il fatto noto, non è dato dunque dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì proprio dalla ristrettezza dell’assetto societario (Scanu, La presunzione di distribuzione degli utili nelle “piccole” società di capitali tra ragione fiscale e difesa del contribuente, in Riv. trim. dir. trib., 2012, 2, p. 433). Questo implica che non si configuri alcuna doppia imposizione, d'altronde, vietata dalla legge.

La presunzione in esame, inoltre, almeno secondo quanto dichiarato dalla giurisprudenza, è relativa e non assoluta, potendo essere vinta con la prova contraria del contribuente, il quale è tenuto a dare prova delle contraddizioni in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione finanziaria (Beghin, L’occulta distribuzione dei dividendi nell’ambito delle società di capitali a “ristretta base” tra automatismi argomentativi e prova per presunzioni, in Giur. trib., 2004, p. 431).   

La giurisprudenza ritiene dunque integrati i requisiti della “presunzione semplice” (id est: gravità, precisione e concordanza) sulla base della sola ristrettezza della base sociale. Proprio la ristrettezza dell’assetto societario consente infatti di presumere che eventuali utili non dichiarati siano stati ripartiti tra i soci, ciò in ragione della maggiore conoscibilità degli affari societari, nonché del normale reciproco controllo, a differenza di quanto di regola avviene nelle compagini a base non ristretta (cfr., ex multis, Cass., 12 novembre 2020, n. 25501).

Sicché, a differenza delle altre società di capitali, in quelle a ristretta base si accentua l’elemento della “personalizzazione”, quasi a produrre una parziale immedesimazione tra soci e società. I soci sono considerati “imprenditori” interessati all’attività ed alla gestione della società, piuttosto che meri investitori interessati solo alla remunerazione del loro investimento. Ciò consente di poter presume che i maggiori redditi accertati in capo alla società siano automaticamente imputati ai soci, senza dover dimostrare necessariamente un effettivo trasferimento degli utili. Di talché si può concludere che la ristrettezza della base proprietaria nella prassi comporta una mancata distinzione (rectius: una vera e propria parziale confusione) tra società e soci. 

4. In vero, la dottrina ha da tempo sollevato numerose critiche avverso tali orientamenti giurisprudenziali.

In primo luogo, ha affermato (Paparella, La presunzione di distribuzione degli utili nelle società di capitali a ristretta base sociale, in Dir. prat. trib., 1995, II, p. 457 ss.) che non è oggettivamente individuata una definizione precisa di società a base ristretta dal punto di vista numerico dei soggetti partecipanti.

In secondo luogo, a tale presunzione difetta il requisito della concordanza, in quanto tale criterio richiede una pluralità di elementi. Come noto, invece, la presunzione di matrice giurisprudenziale in esame è fondata su un solo elemento (id est: la ristretta base sociale).

In terzo luogo, si afferma che la ristretta base non sarebbe un dato da cui poter trarre, in modo univoco (e forse nemmeno più probabile), la distribuzione degli utili non dichiarati, sicché tale presunzione generale ed astratta di matrice giurisprudenziale potrebbe finanche considerarsi una “invasione di campo” contraria alla previsione di cui all’art. 2729 c.c. (Ciarcia, La presunzione di distribuzione di utili ai soci, in Tax news, 21.04.2022., passim).

Inoltre, si evidenzia come sia piuttosto difficoltoso per il contribuente fornirne una prova contraria alla presunzione di distribuzione di utili extracontabili. Infatti, è quasi impossibile dimostrare (Coppola, La questione dell’onere della prova contraria (vincolata) in capo ai soci di società a ristretta base azionaria, in Riv. tel. dir. trib., 15 novembre 2021, p. 4 ss.), come pretende la giurisprudenza prevalente (Cass., 29 dicembre 2010, n. 26248; Cass., 10 aprile 2014, n. 8473; Cass., 23 ottobre 2019, n. 27049), che gli utili extracontabili non siano stati distribuiti ma accantonati o reinvestiti nella società, proprio per la carenza di documentazione contabile che attesti la destinazione degli utili. La presunzione così intesa, a dispetto di quanto sostenuto dalla giurisprudenza, finisce per essere, solo formalmente relativa ma sostanzialmente “de facto assoluta”, in spregio dell’art. 53 Cost.  (Contrino, Ancora sulla presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società di capitali a “ristretta base proprietaria”, in Rass. trib., 2013, 5, p. 1115), poiché non superabile se non attraverso una “probatio diabolica”, richiedendosi al contribuente la dimostrazione di un fatto negativo. La qual cosa risulta particolarmente gravosa ove il socio per il periodo d’imposta considerato, non faccia più parte della compagine sociale già da diversi anni (ex multis, Cass., 30 gennaio 2024, n. 2752).

Per attenuare l’attrito con i principi generali di tale approccio giurisprudenziale, un orientamento, seguito da una certa parte dalla dottrina (Prosperi, Sull’orientamento della Cassazione secondo cui la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili nelle “società a ristretta base azionaria” si applica anche nell’ipotesi di soci-società, in Riv. tel. dir. trib., 31 gennaio 2022, p. 6), sostiene sia il Fisco a dover reperire gli elementi che avvalorino, secondo l’id quod plerumque accidit, la distribuzione di utili occulti tra i soci. Tale posizione è condivisa di recente da una parte della giurisprudenza di merito (cfr. Cgt I° di Salerno, 15 aprile 2024, n.1680), la quale si discosta dalla posizione della Suprema Corte, sostenendo che spetti al Fisco ricercare ulteriori “fatti indice” di distribuzione dell’utile.  Ciò si giustifica per il fatto che, diversamente opinando, la presunzione di distribuzione, nata come “semplice”, finirebbe per trasformarsi e funzionare come una presunzione “legale” (Prosperi, op. cit., p. 7). Appare del resto unanimemente condiviso che tale presunzione non rinvenga le sue radici nella normativa tributaria (Marcheselli, Le presunzioni nel diritto tributario, Torino, 2008), avendo matrice giurisprudenziale (Schiavolin, op. cit., p. 1246).

 

5. Si deve considerare, tuttavia, che la Suprema Corte, per agevolare il contribuente nella dimostrazione della prova contraria alla presunzione di distribuzione, ammette, oltre alla prova che i maggiori utili siano stati reinvestiti o accantonati, anche la possibilità per il socio di dimostrare la sua estraneità alla gestione e conduzione societaria (cfr., ex multis, Cass.,23 dicembre 2019, n. 34282; Cass., 29 ottobre 2019, n. 27639; Cass. 17 luglio 2019, n. 19171), così come sancito, da ultimo, nell’Ordinanza n. 2464, del 3 febbraio 2025 (Lovecchio, Nelle società a ristretta base allentate le maglie della presunzione, in Il sole 24 ore, 04 febbraio 2025). Con tale ordinanza la Corte di Cassazione ammette la prova di estraneità del socio rispetto alla gestione sociale, dimostrando di non aver potuto partecipare ai controlli di gestione consentiti dall’art. 2476 c.c., riguardanti diritti sociali, quali ad esempio il potere di accesso a documenti e libri della società. Di talché, in simili ipotesi, dovrebbe venir meno il requisito della complicità tra i soci su cui si fonda la presunzione.

Tale ulteriore appiglio, seppur non sembra capace di risolvere del tutto le difficoltà del contribuente nel dimostrare un’estraneità assoluta dalla gestione ed alla conduzione societaria, parrebbe perlomeno superare la necessità di dover dare dimostrazione dell’accantonamento o del reinvestimento in società dei maggiori utili, onere a dir poco complesso per impossibilità di basare le argomentazioni difensive su documenti contabili (Ciarcia, op. cit., passim).

6. Composto un tal quadro d’insieme, occorre ancora interrogarsi sull’eventuale impatto di alcune recenti modifiche normative.

In epoca antecedente al 2022 si riteneva che l’unico elemento a carico del Fisco, ai fini dell’operatività della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, fosse solo la ristrettezza della compagine sociale. Successivamente, con il nuovo comma 5-bis, dell’art.7, del D. Lgs. n. 546/1992, introdotto dall’art. 6 della Legge n. 130/2022, una parte della dottrina ha sostenuto che il disposto normativo imporrebbe ora un “quid pluris” a carico del Fisco necessario affinché possa operare la presunzione semplice (Antico e Genovesi, Nuovo onere della prova e ristretta base: tutto cambia perché nulla cambi?, in Il fisco, 2023, 13,  p. 1248). Facendo leva sul dato testuale, secondo questa tesi, sarebbe possibile ritenere che la norma introduca un onere probatorio più rigoroso a carico del Fisco perché il giudice dovrebbe annullare l’atto impositivo non solo in caso di mancanza di prova o contraddittorietà, ma anche in ipotesi di carenza nella dimostrazione, in modo circostanziato e puntuale, delle regioni oggettive su cui si fonda la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Ciò comporterebbe per il Fisco, salvo le ipotesi di presunzioni legali, non solo la dimostrazione della ristrettezza della compagine sociale, ma anche la prova che gli utili extra-contabili accertati e generati dalla società siano stati distribuiti e percepiti dai soci (Tundo, La tela di Penelope delle riforme fiscali, tra Giustizia e legge delega: epicedio della certezza del diritto? (Parte prima), in Riv. tel. dir. trib.,7 novembre 2023, p. 15 ss.).

La Suprema Corte (Cass., 27 ottobre 2022, n.31878; Cass., 27 ottobre 2022, n.31880) ha ridimensionato tale interpretazione innovativa del comma 5-bis, con due ordinanze, nelle quali si afferma che la nuova formulazione normativa non sancisce un onere probatorio più gravoso rispetto a quello già esistente in materia, ma si limita ad essere coerente con le modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale (Antico e Genovesi, op. cit., p. 1250).

Con altro provvedimento (Cass., 9 luglio 2024, n. 18781) la Corte ha ribadito che il nuovo comma 5-bis non innova il tradizionale riparto dell’onere della prova, confermando la validità delle presunzioni semplici di cui all’art. 2729 c.c., ritenendole compatibili con l’istruttoria dibattimentale, senza incidere sul tipo di prove con cui avviene l’onore probatorio (Borgoglio, La presunzione di distribuzione ai soci sopravvive al nuovo onere probatoria in capo al fisco, in Il fisco, 34/2024, p. 3186).

Secondo la Cassazione (Cass., 9 luglio 2024, n. 18781), alla luce del nuovo comma 5-bis, le regole sul riparto dell’onere della prova non mutano rispetto agli accertamenti fondati su presunzioni di distribuzione di utili extracontabili ai soci nelle società di capitali a ristretta base; la presunzione così come concepita rimane operante, in quanto fondata sulla ristrettezza della base e conseguente complicità dei soci, salvo la prova contraria fornita dal contribuente. Tale presunzione, essendo di tipo giurisprudenziale e non legale, continua ad opera anche in assenza di un’espressa previsione normativa, come quella contenuta nell’art. 5, comma 1, del TUIR per le società di persone.

La perdurante utilizzabilità delle presunzioni semplici troverebbe anche conforto nell’introduzione della testimonianza scritta nel processo tributario con cui il socio può opporre prova contraria alla presunzione, tra cui la sua estraneità dalla gestione societaria.

Secondo la giurisprudenza, la norma si limita a confermare in modo espresso che, in ambito tributario, valgono le regole sul riparto dell’onere probatorio già vigenti in ambito civilistico e non pone limiti al modo in cui l’Amministrazione finanziaria deve dare prova della fondatezza della pretesa, in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, come citato testualmente dal comma 5-bis.

Quindi in conclusione, secondo questo orientamento giurisprudenziale, il nuovo comma 5-bis non ha la forza per poter abrogare l’utilizzo delle presunzioni semplici, quali gravi precise e concordanti ex art. 2729 c.c. dai mezzi di prova utilizzabili in giudizio da parte del giudice.

Ulteriore novità risiede nella Legge delega sulla riforma del sistema fiscale, (L.111/2023) che, con l’art. 17, comma 1, lett. h) n. 4, individua quale criterio direttivo per il legislatore delegato l’introduzione di un limite all’utilizzo della presunzione di distribuzione di utili extracontabili. Si intende infatti limitare la possibilità di presumere la distribuzione ai soci del reddito accertato nei riguardi delle società di capitali a ristretta base partecipativa ai soli casi in cui è accertata, sulla base di elementi certi e precisi, l'esistenza di componenti reddituali positivi non contabilizzati o di componenti negativi inesistenti, ferma restando la medesima natura di reddito finanziario conseguito dai predetti soci.

Ciò conferma che l’intento del legislatore non è quello di soppressione della presunzione ma di riconoscerla entro certi limiti. Del resto, la dottrina da tempo sostiene che la presunzione come fino ad oggi concepita dalla giurisprudenza non è illogica ma solo incompleta (Perrone, Perché non convince la presunzione di distribuzione di utili “occulti” nelle società di capitali a ristretta base proprietaria, in Riv. dir. trib., 2014, I, p. 587). Si è inoltre discusso dell’applicabilità immediata dell’art. 17 ai giudizi pendenti, supportando l’argomentazione con il fatto che il contenuto chiaro e preciso possa rendere immediatamente applicabile tale disposizione nonostante non sia stata ancora attuata nei decreti delegati ad oggi emanati. Questa opportunità potrebbe esser supportata dalla sentenza n. 224 del 1990 della Corte costituzionale, in cui è statuito che la legge delega non è un atto dotato di una dimensione meramente interna ma è “un vero e proprio atto normativo”, in quanto diretto a porre, con efficacia erga omnes, norme legislative costitutive dell'ordinamento giuridico. Di talché potrebbe affermarsi che ove i principi e i criteri direttivi abbiano una densità prescrittiva particolarmente intensa e pervasiva essi pongono già autonomamente una disciplina sostanziale dell'oggetto delegato (De Lungo, L’efficacia normativa delle deleghe inattuate, in Osservatorio costituzionale, 2015, p. 5; Id., Le deleghe legislative inattuate, Napoli, 2017, p. 149 ss.), quindi sono idonei a produrre effetti nell'ordinamento, in modo del tutto autonomo rispetto al successivo esercizio della delega da parte del Governo. Tuttavia l’interrogazione parlamentare n.5-02650 del 24 luglio 2024 ha chiarito sul punto che, nonostante la norma risulti abbastanza chiara e precisa, non è immediatamente applicabile ma sarà attuata in futuro nel rispetto delle tempistiche della delega. Tale esegesi si conforma alla tesi secondo cui l’ontologica natura delle norme di delega implica che il solo destinatario è l’esecutivo, sicché l’entrata in vigore del precetto dipende esclusivamente dalla adozione del decreto delegato. Occorre però precisare che tale posizione non è totalmente condivisa da una parte della dottrina (De Lungo, L’efficacia normativa delle deleghe inattuate, cit., p. 13 ss.; Id., Le deleghe legislative inattuate, Napoli, 2017, p. 149 ss.). Allorquando una disposizione sia già compiuta, del resto, la portata precettiva non dovrebbe poter esser condizionata dalla discrezionalità del Governo. Ove si aderisse a questa diversa tesi esegetica, posto il tenore letterale dell’art. 17, comma 1, lett. h), n. 4 della L. 111/2023, dotato di una portata dispositiva chiara, precisa e puntuale, ed alla luce della finalità del legislatore delegante di privare di discrezionalità l’esecutivo nel recepimento, potrebbe essere sostenuta la soluzione dell’immediata applicazione del principio ivi contenuto.

Inoltre, di recente, una parte della giurisprudenza (Corte Giust. Trib., I grado, di Reggio Emilia, 14 febbraio 2024, n. 50, in GTRiv. giur. trib., 2024, p. 718 ss. con nota di Buffoni e Tomassini in Utili extracontabili ai soci della Srl a base ristretta: servono indizi puntuali), sembrerebbe mettere in discussione la solidità dell’approccio giurisprudenziale sin ad ora prevalente affermando che la ristrettezza della base societaria, quale unico elemento presuntivo fondante l’atto impositivo, non può avere di per sé valenza probatoria, rappresentando un mero indizio da valutare unitamente agli altri acquisiti dall’Agenzia delle Entrate. Ciò alla luce del fatto che il contribuente non può fornire la prova della mancata percezione degli utili occulti, configurando questa una prova negativa. Sul punto, di recente, la Cgt I° di Salerno, 15 aprile 2024, n. 1680 (cfr. Cgt I° di Salerno, 15 aprile 2024, n. 1680, e richiamata da Tundo, op. cit., p. 16, nt. 48), seguendo quanto già statuito dalla Cgt I° di Milano, 24 agosto 2023, n. 2969, afferma che la mera ristrettezza della compagine societaria, ex se, non legittima la presunzione di distribuzione di utili extracontabili accertati in capo alla società di capitali. La presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili deve dunque essere suffragata da validi elementi probatori, anche di matrice indiziaria, relativi alla loro effettiva percezione, diversamente tale presunzione non risultava dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge. L’effettiva percezione degli utili è un fatto costitutivo della pretesa tributaria che deve essere dimostrato in modo circostanziato e puntuale, viceversa, non può ritenersi assolto l’onere della prova rafforzato dall’articolo 7, comma 5-bis

Si conforma a questo orientamento anche la Cgt II° della Lombardia con la sentenza n.133 del 14 gennaio 2025 in cui si statuisce che, per potersi applicare la presunzione in caso di società a ristretta base partecipativa, in ipotesi di controllo indiretto, non opera automaticamente e sono necessarie prove concrete da parte del Fisco che dimostrino il coinvolgimento diretto dei soci della controllante indiretta nella gestione della società partecipata.

Di contro, l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 23149/2022, depositata il 02/02/2025, riafferma che la ristrettezza della base sociale è sufficiente a giustificare la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai soci, salvo che il contribuente fornisca una prova contraria quale che gli utili siano stati reinvestiti o accantonati nella società o ancora l’estraneità assoluta del socio alla gestione societaria, ma deve essere provato in modo rigoroso e preciso.

7. In conclusione, la presunzione di distribuzione di utili extracontabili nelle società di capitali a ristretta base è oggetto di dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Le recenti riforme normative, come l’introduzione del comma 5-bis all’art. 7 del D. Lgs. 546/92 e la disposizione dell’art.17, comma 1, lett. h) n. 4 della L. 111/2023, non hanno spinto però la giurisprudenza di legittimità a rivalutare le condizioni di operatività della presunzione. Per il vero, anche in virtù del complesso onere derivante dall’inversione della prova ad oggi gravante sul socio di una società di capitali a base ristretta, non dovrebbero sottovalutarsi le molteplici argomentazioni potenzialmente idonee, perfino nella perduranza della inattuazione della delega, a porre in dubbio la tesi giurisprudenziale fondata sul diniego di riconoscimento d’efficacia precettiva diretta della norma delegante.