Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

07/02/2025 - Fisco e twin transition: prospettive di tassazione attraverso gli algoritmi

argomento: IRAP e tributi locali - Legislazione e prassi

Un esempio di proficua interazione tra transizione ecologica e digitalizzazione potrebbe essere quello dell’utilizzo dei cosiddetti algoritmi verdi, ossia di algoritmi progettati per incrociare enormi quantitativi di dati e al contempo per individuare attività, operazioni e soluzioni ambientalmente sostenibili. Le potenzialità di questi sistemi si prestano a essere accolte anche in ambito tributario, in particolare nella tassazione sui rifiuti e sul turismo, come funzionali a un prelievo più mirato e al contrasto di comportamenti ecologicamente meno virtuosi dei contribuenti.   Contributo nell’ambito del Progetto di ricerca Prin PNRR “Fiscalità e finanza pubblica nella transizione verso uno sviluppo economico sostenibile” finanziato con fondi del Ministero dell’Università e della Ricerca e nell’ambito del Programma finanziato dall’Unione Europea NextGenerationEU, PRIN PNRR 2022 prog. n. P20229KAX2.

PAROLE CHIAVE: transizione ecologica - transizione digitale - twin transition


di Miriam Pontillo

1. Che fenomeni complessi e apparentemente molto distanti finiscano con l’intrecciarsi, o addirittura con l’interferire significativamente l’uno sul corso dell’altro, è un’evenienza tutt’altro che rara nell’epoca attuale, se si considera quanto intricata sia divenuta la trama dei fattori che pressano per un radicale ripensamento della nostra società in ogni suo contesto di riferimento e quanto difficile sia realizzare tale ristrutturazione mantenendo in equilibrio diritti, esigenze, prerogative, dei singoli e della collettività. A livello energetico, ecologico, sanitario, demografico, tecnologico, sono oramai innumerevoli le trasformazioni che trovano oggi contemporaneo svolgimento e, data la necessità di una gestione armonica di tali processi, si comincia a cogliere pure l’esigenza di una visione quanto più unitaria possibile di problemi e/o di fenomeni nell’organizzazione delle risposte per fronteggiarli (sul concetto di transizione, F. Fracchia, Transizioni: il punto di vista del diritto amministrativo, Napoli, 2024, 2, ove si osserva che l’utilizzo di questo termine è così diffuso «da suscitare l’impressione che si stia assistendo al sorgere di una nuova “categoria” diffusamente impiegata per interpretare (o descrivere) alcuni problemi della contemporaneità».)

Transizione ecologica e transizione digitale sembrano rispecchiare perfettamente tale logica: incardinate su presupposti diversi – l’una, sull’urgenza di tutelare l’ambiente in maniera più incisiva rispetto al passato e, l’altra, sulla naturale evoluzione della tecnologia – entrambe queste dinamiche trasformative, benché si sviluppino su binari divergenti, cominciano a palesare però tratti sempre più numerosi di reciproca forte interferenza, ponendosi l’una a ostacolo o ad accelerazione dell’altra, e viceversa.

Quanto al freno che le due forme di transizione sono reciprocamente in grado di esercitare, è ormai assodato che il momento di maggiore frizione tra digitalizzazione e sostenibilità sia da ricondurre all’idoneità delle tecnologie di ultima generazione a dare luogo a forme particolarmente insidiose di inquinamento, il cosiddetto inquinamento digitale, che si presenta innanzitutto sotto forma di innalzamento delle emissioni di anidride carbonica ma anche di esaurimento delle risorse naturali, come energia e acqua, e di accumulo di rifiuti, quelli elettronici appunto, ricchi di sostanze tossiche. Recenti studi dimostrano infatti quanto illusorio sia considerare ambientalmente neutre attività od operazioni che si consumano in una dimensione ‘virtuale’ (per avere un’idea, si veda E. Strubell, A. Ganesh, A. McCallum, Energy and Policy Considerations for Deep Learning in NLP, College of Information and Computer Sciences, University of Massachusetts Amherst, 2019, in cui si dimostra come il solo sviluppo di una intelligenza artificiale determini l’emissione di 284 tonnellate di anidride carbonica, pari a cinque volte l’impatto ambientale medio di un’automobile durante il suo intero ciclo di vita).

È per questa ragione che, al margine delle politiche di promozione delle nuove tecnologie digitali, crescono anche le apprensioni per l’impatto negativo che queste ultime possono avere sull’ambiente.

Più che sugli effetti ecologicamente non sostenibili della tecnologia, problema senz’altro di grande rilievo ma che non trova al momento precisi riscontri dal punto di vista fiscale, si cercherà in questa sede di accennare invece al profilo della potenziale proficua interazione tra digitalizzazione e tutela ambientale e a come tale tematica possa essere introiettata dalla materia tributaria al fine di agevolare quella twin transition (doppia transizione o transizioni gemelle) di cui già nel 2019, in un suo discorso dinanzi al Parlamento europeo, Ursula von der Leyen ne auspicava lo svolgimento congiunto, per una società futura più sostenibile e digitalmente avanzata (sul concetto di twin transition, si vedano, ad esempio, A. Maucorps, R. Römisch, T. Schwab, N. Vujanović, The Future of EU Cohesion. Effects of the Twin Transition on Disparities across European Regions, Bertelsmann Stifrung, Berlin, 2023; F. Camisa, Ambiente e tecnologia: l’interconnessione tra le ‘transizioni gemelle’, in Federalismi.it, 12 giugno 2024, 55 ss.; M. Passalacqua, Green deal e transizione digitale. Regolazione di adattamento a un’economia sostenibile, in Analisi Giuridica dell’Economia, n. 1, 2022, 27 ss. Su questi temi, si veda pure F. De Leonardis, Lo Stato Ecologico, Torino, 2023, 277, dove, nel ravvisare i presupposti per la trasformazione del modello di Stato da quello tradizionale a uno ‘ecologico’, si sostiene che «si tratta […] di indirizzare e coordinare l’economia verso un “fare di più con meno”, anche grazie alla tecnologia, all’innovazione, alla ricerca e alla digitalizzazione, ma tale “fare di più con meno” deve essere chiaramente “funzionalizzato alla sopravvivenza del Pianeta e dell’umanità”»).

2. Guardando alle caratteristiche delle tecnologie di ultima generazione, una in particolare sembra costituire il tratto distintivo e ‘rivoluzionario’ attorno al quale ruota l’attenzione generale, ma che solleva anche delle perplessità, verso il fenomeno della digitalizzazione, vale a dire la capacità di questi sistemi di raccogliere e di processare dati in proporzioni e velocità nettamente superiori rispetto al passato.

Relativamente a tale profilo, se il legislatore tributario ha già cominciato a prendere in considerazione la transizione digitale, come dimostrano ad esempio l’introduzione dell’imposta sui servizi digitali (avvenuta con la legge 30 dicembre 2018, n. 45, modificata poi dalla legge del 27 dicembre 2019, n. 160) oppure, dal lato dell’Amministrazione finanziaria, le recenti discipline in tema di digitalizzazione dell’azione pubblica (pensiamo ad esempio all’impiego di algoritmi nell’analisi del rischio fiscale, come previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 12 febbraio 2024, n. 13, oppure per fornire risposte ai contribuenti in sede di interpello, ai sensi dell’art. 10-nonies dello Statuto del contribuente, introdotto dall’art. 1 del d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219), piuttosto timidi appaiono invece i tentativi di una rivisitazione del sistema tributario in chiave sia green che digitale, in un’ottica, cioè, che tenga conto unitariamente delle potenzialità della digitalizzazione per fini di tutela ambientale. È vero anche che l’ordinamento offre già un’ampia gamma di strumenti agevolativi per i contribuenti che intendano allinearsi agli obiettivi di sostenibilità mediante l’uso di tecnologie, potendo gli stessi fruire di bonus, crediti di imposta, detrazioni e deduzioni varie, ma si tratta di misure frammentate, per lo più temporanee, mentre all’interno della disciplina dei singoli tributi, dove si potrebbe posizionare una spinta acceleratoria di tali fenomeni sistematicamente più ordinata, non si rinvengono ancora scelte significative in tema di fiscalità sia digital che green.

Eppure, in quest’ultima prospettiva, potrebbero già individuarsi diversi ambiti pronti ad accogliere la tecnologia digitale; in particolare, gli algoritmi impostati per effettuare calcoli ambientalmente favorevoli, cosiddetti algoritmi verdi, potrebbero già consentire in alcuni settori – e a questi si farà riferimento nel proseguo – una tassazione più efficiente, ma anche più efficace, dal punto di vista del contrasto di condotte ecologicamente non sostenibili, una tassazione, cioè, che soggettivizzi meglio il prelievo collegandolo ad attività o a comportamenti più o meno virtuosi dei contribuenti, tramite l’ausilio appunto di strumenti digitali (sugli algoritmi ‘verdi’, v. A. Marano, La rivoluzione degli algoritmi verdi nella fiscalità ambientale: dall’esperienza spagnola alle novità italiane, in Riv. dir. trib., n. 6, 2023, 687 ss.).

3. Una prima ipotesi in cui l’utilizzo di algoritmi sembrerebbe prestarsi a finalità di efficientamento della tassazione in un’ottica di maggiore sostenibilità ambientale è quella relativa alla tassa sui rifiuti, segnatamente alla TARI, anche se – per le ragioni che presto si diranno – non è escluso che analoghe considerazioni si possano estendere alla TEFA o al Tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi.

Quanto alla TARI, è noto come l’evoluzione della disciplina in materia di rifiuti urbani risulti piuttosto articolata (dalla TARSU del 1993 si passa alla TARI nel 2014, dopo la TIA1, la TIA2 e la TARES), variando negli anni la denominazione (anche se la sostanza non è mai cambiata), ma soprattutto i parametri per la commisurazione dell’importo.

Sintetizzando al massimo, e solo per giungere al cuore del problema, v’è da dire che è altrettanto noto che per molto tempo la ripartizione delle spese ricollegate al servizio di gestione dei rifiuti è avvenuta esclusivamente sulla base dell’attitudine alla produzione dei rifiuti, valutata dal legislatore mediante la definizione di coefficienti di produzione di rifiuti differenziati a seconda dell’uso delle superfici occupate (TARSU) e della numerosità del nucleo familiare (TIA).

Abbiamo avuto di fronte, dunque, una fattispecie nata per garantire agli enti locali uno specifico gettito che fosse sufficiente a finanziare i servizi di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti urbani, e certamente non per disincentivare l’inquinamento, considerato che l’obbligo tributario non risultava affatto parametrato alla verificazione di un effetto deleterio per l’ambiente ma al massimo per il risanamento ambientale, se così si può definire, legato alla produzione di rifiuti, in una misura che non teneva conto della virtuosità del comportamento del contribuente (si pensi, ad esempio, al proprietario di un monolocale che produce una ingente quantità di rifiuti e, proprio perché la tassa è parametrata sulla superficie dei locali di abitazione, finisce col pagare meno del proprietario di una villa che invece ne produce di meno).

Se prestiamo attenzione all’evoluzione della normativa, vediamo però come un tributo che in origine non ha una precisa connotazione ambientale, nel tempo, grazie anche all’influsso della normativa comunitaria, sembra averla gradatamente assunta, seppur ancora in maniera non marcata. Questo aspetto si evince dall’aggiunta normativa, a partire dalla TIA ma più compiutamente dalla TARI, della possibilità per il Comune di scegliere non più soltanto un criterio di commisurazione del prelievo basato sul metodo normalizzato (comma 651, art. 1, legge 27 dicembre 2013, n. 147) (con una parte fissa determinata in considerazione della superficie immobiliare e della composizione dell’eventuale nucleo familiare e di una parte variabile che dovrebbe essere rapportata alla quantità di rifiuti indifferenziati e differenziati specificata in chilogrammi) ma anche, in alternativa, «nel rispetto del principio chi inquina paga», di parametri di produzione quali-quantitativa di rifiuti (comma 652, il Comune «può commisurare la tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte nonché al costo del servizio sui rifiuti»), oppure ancora (comma 667) di una tariffa avente natura corrispettiva, in luogo della tassa, («sono stabiliti criteri per la realizzazione da parte dei comuni di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico o di sistemi di gestione caratterizzati dall’utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio, finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso a copertura integrale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati, svolto nelle forme ammesse dal diritto dell’Unione europea»).

Dunque, alla esclusiva possibilità di una tariffazione presuntiva si affianca quella di una misurazione puntuale della produzione quantitativa dei rifiuti da parte degli utenti (l’art. 6 del d.m. 20 aprile 2017, emanato in attuazione della legge istituiva, prevede peraltro che la pesatura dei rifiuti può avvenire non soltanto tramite un metodo indiretto, rilevando il volume dei rifiuti generati, espresso in litri, ma anche tramite un metodo diretto, che si sostanzia nella rilevazione del peso dei rifiuti espresso in chilogrammi).

Il problema, però, legato a questa disciplina, sempre dal punto di vista della tutela dell’ambiente, è che non tutti i Comuni hanno finora avuto la possibilità di dotarsi di tali sistemi di pesatura (tanto che la stessa Corte di Giustizia, nella sentenza 16 luglio 2009, causa C-258 Futura Immobiliare, ha riconosciuto che «è spesso difficile, persino oneroso, determinare il volume esatto dei rifiuti urbani conferito da ciascun detentore», finendo con il considerare in linea con il diritto comunitario «una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo di rifiuti effettivamente prodotto e conferito»), motivo per cui, per quanto la normativa preveda dei criteri di parametrazione del tributo (o della tariffa) sulla base del comportamento del contribuente (o utente), è solo una minima parte delle realtà locali che riesce tutt’oggi a far gravare in maniera puntuale il tributo (o la tariffa) sull’effettivo inquinatore, prevalendo invece sistemi di tassazione su base presuntiva che, come si è detto, non sono in grado di incidere sul comportamento dei singoli.

Ed è qui che potrebbero venire in considerazione gli algoritmi: utilizzando dei sistemi intelligenti, come ad esempio degli scanner con dei codici QR stampati e affissi sui contenitori della spazzatura, o sulle stazioni di riciclaggio, il Comune potrebbe ottenere informazioni utili sulla qualità e quantità effettiva dei rifiuti conferiti, peraltro a costi inferiori rispetto ai più risalenti sistemi di pesatura, cosicché poi lo stesso (o il gestore del servizio) andrebbe a parametrare l’ammontare del tributo (o della tariffa) sulla base di una corretta ed effettiva differenziazione dei rifiuti. In questo modo, provando a predisporre contestualmente degli accorgimenti affinché per il contribuente non diventi eccessivamente oneroso realizzare la stessa attività di differenziazione (assicurando una fornitura di appositi sacchi o raccoglitori, ad esempio, implementando servizi quotidiani o spazi di raccolta di materiali come prodotti tessili, medicine scadute, rifiuti elettronici), si darebbe attuazione a un altro principio europeo, quello del pay as you throw (‘paghi quando butti’), principio che rappresenta un’evoluzione del polluter pay principle, in base al quale andrebbero adottati «regimi di tariffe puntuali che gravano sui produttori di rifiuti sulla base della quantità effettiva di rifiuti prodotti [al fine di fornire] incentivi alla separazione alla fonte dei rifiuti riciclabili e alla riduzione dei rifiuti indifferenziati» (n. 2 dell’Allegato IV bis direttiva UE/851/18, recante «Strumenti economici e altre misure per incentivare l’applicazione della gerarchia dei rifiuti) (per un approfondimento su questi temi, si rimanda ad A. Tropea, L’armonizzazione europea della tassa rifiuti. L’applicazione del principio pay as you throw, in Dir. prat. trib., n. 3, 2019, 709 ss). Il ricorso alla tecnologia in questo caso fa sì, come peraltro dimostrano i risultati di quei pochi Comuni italiani che hanno avviato delle sperimentazioni di questo genere (sul punto, si veda Bitetto, con “UE LIFE-REthinkWASTE” i cittadini differenziano di più e meglio tutti i rifiuti, consultabile alla pagina https://www.informazione.it/c/2EB134F3-6967-417D-AEB1-0A7ABB9F1C19/Bitetto-con-UE-LIFE-REthinkWASTE-i-cittadini-differenziano-di-piu-e-meglio-tutti-i-rifiuti), che le condotte dei singoli possano essere orientate verso il raggiungimento di importanti obiettivi ambientali, quali l’immissione degli scarti all’interno di processo di riciclo circolare, un minor utilizzo del servizio di discarica e, in definitiva, una minore produzione di rifiuti.

4. Un altro esempio di applicazione di algoritmi ‘verdi’ si potrebbe ravvisare nella tassazione con finalità di contrasto dell’iper-turismo (od overtourism), in relazione, ad esempio, al discusso contributo di ingresso nelle città d’arte (sul tema v. S. Giorgi, Il contributo di accesso veneziano e l’insostenibile overtourism: natura giuridica e prospettive di implementazione, in Riv. dir. trib., suppl. online, 12 novembre 2024) oppure alle meno recenti imposte di soggiorno o di sbarco. Si tratta, come è noto, di misure diverse tra loro ma accomunate dalla finalità di correggere l’esternalità negativa prodotta dall’impatto del turismo su un determinato territorio, in particolare di quello di brevissima durata, mediante un gettito che può essere destinato a finanziare interventi a sostegno delle strutture turistiche oppure di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali, come pure dei servizi pubblici locali (proprio sulla possibilità di valorizzare il concorso tra tributi del turismo e quelli sui rifiuti, A. Guidara, Tassazione del turismo e tassazione dei rifiuti: interrelazioni tra tributi ambientali e possibile concorso della prima al finanziamento della gestione dei rifiuti, in Riv. dir. trib., n. 6, 2023, 619 ss.).

Fermo restando che anche in questo caso esistono già delle applicazioni digitali in uso, come alcuni software che consentono alle strutture ricettive di gestire l’imposta di soggiorno o ai visitatori di effettuare il pagamento del contributo di accesso, l’implementazione di algoritmi nella tassazione, realizzabile ad esempio tramite la registrazione obbligatoria su piattaforme per l’accesso a determinare zone o strutture oppure tramite app di prenotazione di ‘turni digitali’, potrebbe risultare funzionale al perseguimento di diverse finalità, rilevanti sia dal punto di vista di una più efficace azione di tutela ambientale sia dal punto di vista di una maggiore incisività dell’imposizione turistica.

Innanzitutto, un tracciamento digitale dei flussi turistici consentirebbe, tramite la leva tributaria, una migliore gestione degli stessi. Pensiamo al meccanismo per la prenotazione dei voli aerei, i cui prezzi variano in base al numero dei posti rimasti a disposizione: analogamente, sfruttando la capacità dell’algoritmo di incrociare i dati relativi ai visitatori (prenotazioni, acquisto ticket, ecc.) sarebbe più facile individuare in anticipo l’affluenza turistica in determinate zone o attrazioni, cosicché, calibrando l’imposizione sulla base della consistenza di essa, innalzando o diminuendo le aliquote ad esempio, si può favorire un flusso più ordinato e omogeneo.

In secondo luogo, la rilevazione di attività o di strutture, tramite sistemi digitali utilizzati dal turista, potrebbe risultare funzionale a una più corretta applicazione non solo delle imposte ‘turistiche’ ma anche di quelle altre che normalmente si accompagnano allo svolgimento di questo genere di attività, contribuendo al contrasto dell’ampiamente noto ‘abusivismo ricettivo’ (se il turista è obbligato a effettuare online il pagamento dell’imposta di soggiorno e a indicare il luogo presso il quale alloggia, questo, di contro, sarà visibile al Fisco anche per il pagamento di IMU, TARI, imposta sulla pubblicità, ecc.).

Ma c’è, infine, un terzo significativo vantaggio che potrebbe derivare dall’innesto della digitalizzazione nella tassazione turistica, segnatamente nell’imposta di soggiorno. In relazione a tale tributo, la disciplina, contenuta nel D.Lgs. n. 23 del 14 marzo 2011, prevede (all’art. 4, comma 1 -ter) che il responsabile del pagamento dell'imposta di soggiorno è il gestore della struttura ricettiva, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi. Ciò significa che quest’ultimo, nel riscuotere l’imposta dal cliente o nel versare l’imposta al Comune, e salvo ovviamente l’insorgere di una responsabilità amministrativa o penale, può commettere errori, inesattezze o, peggio, può anche ometterla. Associando invece tramite l’applicazione digitale il tributo a un nominativo, quello del cliente, verrebbe facile identificare con precisione il soggetto effettivamente gravato dall’obbligo tributario, garantendone un pagamento diretto e prevenendo quei disguidi legati ai plurimi passaggi connaturati alla responsabilità d’imposta. In più, nell’instaurare un rapporto diretto tra Ente impositore e soggetto passivo, si risolverebbero anche i problemi di riparto di giurisdizione tra Corte dei Conti – come vorrebbe quella giurisprudenza che qualifica l’albergatore in termini di agente contabile (in questo senso, Corte dei Conti, Sezioni riunite, Sentenza n. 22/2016/QM) – e giudice tributario per le liti eventualmente insorte, facendo apparire sistematicamente e definitivamente più ragionevole l’assegnazione di queste alla cognizione del secondo (su questo tema, G. D’Angelo, G. Dellabartola, Ancora contrasti (interni alla Corte dei Conti) sulla giurisdizione in materia di imposta di soggiorno, in Riv. dir. trib., suppl. online, 27 febbraio 2024).

5. Rifiuti e turismo sembrerebbero costituire, dunque, alcuni tra gli ambiti impositivi in cui potrebbero presto trovare spazio – o maggiore spazio – soluzioni digitali al fine di accelerare il processo di transizione ecologica.

Vi è anche da dire che, nella realizzazione pratica di tale prospettiva, andrebbero necessariamente considerati diversi altri profili di rilevanza, primo fra tutti il rischio che alcuni diritti dei singoli – contribuenti o meno – possano essere esposti a un sacrificio eccessivo e non pienamente giustificato dal fine per cui tali sistemi sono impiegati. Si tratterebbe cioè di valutare come bilanciare l’utilità di queste applicazioni con il diritto alla riservatezza, ad esempio, nel caso di un tracciamento capillare delle attività, o con la libertà di circolazione se si volesse impedire di accedere a determinati luoghi per limitare l’impatto ambientale negativo, oppure ancora, se l’accesso a un’area venisse subordinato a precise condizioni, come ad esempio la guida di veicoli a emissioni zero, non si potrebbe ignorare il rischio di violazione del principio di uguaglianza tra i cittadini, non potendo essere un costo, quello di veicoli meno inquinanti, accessibile a tutti.

Non meno importanti, poi, sarebbero i profili di tutela del contribuente avverso pretese impositive ricostruite, in tutto o in parte, tramite l’acquisizione di elaborazioni algoritmiche. Si intuisce già come questo tema richiami immediatamente l’ormai noto problema dell’opacità degli algoritmi, dovuta proprio al grado di sofisticatezza dei sistemi in cui tali istruzioni sono implementate, per cui se, ad esempio, il software utilizzato per la pesatura/classificazione dei rifiuti è performante meno facile sarà per tutti comprendere perché abbia funzionato in un modo e non in un altro. Peraltro, laddove il rapporto tra l’ammontare del prelievo e l’attività del contribuente tracciata dal sistema digitale si presenti come di stretta corrispondenza, e da questo punto di vista le ipotesi trattate rispecchierebbero entrambe questo meccanismo, non si porrebbe soltanto il problema della comprensibilità dell’algoritmo ma, ancor prima, quello della conoscenza o ‘accessibilità’ al risultato dell’elaborazione. In altre parole, se si dovessero prediligere modelli di imposizione calibrati sui comportamenti più o meno virtuosi del contribuente, digitalmente tracciati, occorrerebbe garantire allo stesso la possibilità di comprendere in che termini la sua condotta abbia inciso sulla determinazione del tributo – predisponendo delle applicazioni ad esempio che tengano traccia dei conferimenti di rifiuti, con l’indicazione di tutti i parametri presi in considerazione dal sistema – affinché il soggetto possa avvedersi di eventuali errori e riuscire a provare, eventualmente, che la pretesa impositiva sia (in tutto o in parte) infondata.

Del resto, che non si possa soprassedere sulla necessità di assicurare un’effettiva trasparenza delle decisioni automatizzate è stato costantemente ribadito dalla stessa giurisprudenza amministrativa, la quale, cogliendo sin da subito il potenziale dirompente delle nuove tecnologie, ha ritenuto di dover fissare alcune coordinate fondamentali (fornendo anche chiarimenti dal punto di vista terminologico: Consiglio di Stato, sent. n. 7891 del 25 novembre 2021) per un corretto utilizzo di questi sistemi da parte della pubblica amministrazione. Rifacendosi in parte a discipline di origine sovranazionale, è stato in particolare il Consiglio di Stato ad aver enucleato nel nostro ordinamento, sopperendo peraltro al vuoto normativo in tema di decisioni automatizzate, un catalogo di principi di carattere generale ai quali dovrebbe uniformarsi l’attività amministrativa algoritmica, e segnatamente: il principio di trasparenza dell’algoritmo (che non si risolve nella mera accessibilità ai dati connessi all’algoritmo ma anche nella traducibilità della regola algoritmica dal linguaggio informatico a quello giuridico, così da assicurare a chiunque la piena decifrabilità del funzionamento del software e della logica sottostante), il principio di non esclusività della decisione algoritmica, secondo cui deve comunque esistere nel processo decisionale un contributo umano capace di controllare, validare ovvero smentire la decisione automatica, e il principio di non discriminazione algoritmica, al fine di evitare determinazioni che siano parziali o distorte (a tal riguardo, si veda la sentenza del Consiglio di Stato n. 2270 del 20 aprile 2019, le cui argomentazioni sono state richiamate e sviluppate dalle sentenze nn. 8472, 8473 e 8474, tutte del 13 dicembre 2019, e dalla sentenza n. 881 del 4 febbraio 2020). Non si vedono ragioni per cui tali principi, che attuano un vero e proprio statuto della ‘legalità algoritmica’, non possano trovare piena attuazione anche nel nostro caso: in entrambe le ipotesi esaminate lo strumento digitale raccoglie ed elabora dati individuali ai fini della determinazione della capacità contributiva del soggetto, la cui mancata conoscenza, a tacer d’altro, osterebbe inevitabilmente – e arbitrariamente – a un controllo sulla correttezza di tale ricostruzione (sulla rilevanza delle affermazioni di principio del Consiglio di Stato anche sul versante tributario, G. Ragucci, L’analisi del rischio di evasione in base ai dati dell’archivio dei rapporti con gli intermediari finanziari: prove generali dell’accertamento “algoritmico”?, in Riv. dir. trib., suppl. online, 4 settembre 2019, in cui si sottolinea la necessità della codificazione di alcuni diritti e di corrispondenti obblighi in relazione agli impeghi di strumenti digitali da parte dell’Amministrazione finanziaria; sull’applicabilità dei principi fondamentali di ‘legalità algoritmica’ nell’ambito dello svolgimento dell’attività di analisi del rischio fiscale, A. Quattrocchi, Dall’Anagrafe tributaria all’interoperabilità delle banche dati: l’analisi del rischio fiscale e le ricadute sul procedimento di accertamento dei tributi, in Riv. trim. dir. trib., n. 4, 2024, 834 ss., mentre, con specifico riferimento al procedimento di accertamento tributario, D. Conte, Accertamento tributario e modelli predittivi del rischio di evasione fiscale: il ruolo dell’IA tra tutela dei dati personali e principio del “giusto” procedimento, in Riv. dir. trib., n. 1, 2024, 125 ss.).

Bastano questi pochi esempi per avere il senso, in definitiva, di quanto impegnativo sia incardinare una doppia transizione in ambito fiscale, considerando il rischio che, in un momento di grande apprensione per le questioni ambientali, vengano ulteriormente sacrificati i diritti dei singoli in un ambito in cui per definizione questi sono già esposti a diffuse e accentuate compressioni in nome del superiore interesse fiscale.

Più che nell’immaginare possibili intrecci tra digitalizzazione e transizione ecologica, rimane forse questa la vera difficoltà: realizzare delle scelte di sostenibilità conciliando le esigenze collettive con i diritti individuali, la cui preminenza, anche in un momento di urgenza, andrebbe fino all’ultimo preservata.