argomento: Imposte sui trasferimenti e altri tributi - Giurisprudenza
Con la sentenza del 30 maggio 2024 la Corte di Giustizia Europea ha ribadito il primato del diritto dell’Unione rispetto alla normativa armonizzata fiscale delle accise per quanto riguarda la fissazione delle aliquote negli oli minerali. Nello specifico la Corte ha sancito che la Direttiva 2003/96 sui prodotti energetici osta ad una normativa nazionale che autorizza regioni o comunità autonome a fissare aliquote di accisa diverse per lo stesso prodotto e per il medesimo impiego a seconda del territorio in cui avviene il consumo. Quanto scalfito permette di effettuare alcune considerazioni sulla possibilità che si istituiscano delle aliquote differenziate per regione pur rispettando i valori minimi imposti dalla Direttiva dell’Unione. Inoltre, con la pronuncia in questione si materializzano solo certezze sulla incompatibilità con le norme europee dell’addizionale regionale sul gas naturale ad oggi in vigore in Italia nelle regioni a statuto ordinario; se, infatti, può dirsi chiuso il capitolo sulla ormai accertata incompatibilità dell’addizionale provinciale sull’energia elettrica non è ancora definitivamente concluso il processo di valutazione di compatibilità legale con il diritto europeo della restante addizionale d’accisa.
» visualizza: il documento (Corte di Giustizia, sentenza 30 maggio 2024 in causa C-743/2022)PAROLE CHIAVE: aliquota addizionale d’accisa - potestà normativa tributaria regionale - primato del diritto dell’unione su quello nazionale
di Pietro Giordano
1. Il caso affrontato nella sentenza del 30 maggio 2024 causa C-743/22 prendeva vita da una serie di domande di rimborso presentate da un contribuente spagnolo coinvolto nella commercializzazione all’ingrosso di prodotti petroliferi, il quale sosteneva che la normativa nazionale sulla possibilità di istituire a livello di comunità autonome addizionali d’accisa sugli oli minerali fosse incompatibile con l’art. 5 della Direttiva europea 2003/96; ancorché in vigore fino al 2018, infatti, in Spagna, la legge nazionale sulle accise ammetteva che le comunità autonome potessero fissare delle aliquote d’imposta regionale sugli oli minerali consumati nei propri territori supplementari rispetto a quelle in vigore sul territorio nazionale. Dopo aver analizzato le norme dell’Unione nonché tutta la giurisprudenza intervenuta nel tempo e tenendo conto anche della lacunosa difesa erariale avanzata dal governo spagnolo, la Corte ha interpretato la Direttiva 2003/96 sui prodotti energetici affermando che in particolare l’articolo 5 della medesima osta ad una normativa nazionale che permetta una differenziazione di aliquote in diverse regioni o comunità autonome per il medesimo prodotto e per lo stesso consumo. Tale pronuncia appare del tutto conforme all’impianto normativo ad oggi in vigore nel campo delle accise, in quanto da un lato una norma nazionale di tal genere appare confliggente con il semplice rapporto gerarchico europeo e nazionale e dall’altro si pone evidentemente in contrasto con tutte quelle disposizioni che, seppur a determinate e limitate condizioni, ammettono la possibilità di prevedere alcune discriminazioni d’aliquota a livello regionale. Nemmeno la difesa erariale basata sulla possibilità di considerare l’aliquota addizionale ai sensi dell’art. 1 par. 2 della Direttiva 2008/118 quale altra imposta indiretta avente una “specifica finalità” (nel caso di specie quella di finanziare la detta comunità) appare dirimente per il caso esaminato.
2. In un’imposta quale l’accisa che ha come obiettivo quello di normalizzare fiscalmente la filiera distributiva di alcune tipologie di prodotti in tutti gli Stati membri nonché di ricreare le migliori condizioni per la realizzazione del mercato unico europeo, l’aliquota rappresenta uno strumento fondamentale per evitare fenomeni distorsivi di un mercato concorrenziale; anzi ad oggi le accise devono assolvere – e in questo le aliquote assumono un ruolo primario - anche a quella che rappresenta uno dei più grande problemi dell’era moderna: determinare un sistema di tassazione dei prodotti energetici che incentivi l’utilizzo di fonti energetiche non fossili. Nonostante la materia fiscale di cui trattasi sia oggetto di armonizzazione, per ovvi motivi di gettito, la determinazione delle aliquote ha rappresentante fin da subito uno de più grandi ostacoli da sormontare per il legislatore europeo; infatti, la Direttiva 2003/96 (ma anche la sua progenitrice Direttiva 92/82) ha solamente previsto dei livelli minimi di tassazione generando, di conseguenza, delle differenze in termini di imposizione fiscale e, dunque, di costo del prodotto nel territorio dell’Unione [per una completa disamina della struttura delle aliquote e della loro evoluzione storica si rimanda a Verrigni, Le accise nel sistema dell’imposizione sui consumi, Torino, 2017, p. 224]. Tuttavia, fermo restando la conformità delle aliquote degli Stati membri a tali limiti inferiori è normativamente previsto che gli stessi, a determinate condizioni, possano legittimamente applicare delle aliquote differenziate secondo l’utilizzo del prodotto. È proprio su tale discriminazione che si basa la pronuncia in commento: nel caso in esame, ma non diversamente di quanto avvenuto nel tempo in Italia per le addizionali d’accisa, alcune regioni autonome spagnole hanno provveduto ad applicare - in ottemperanza al dettato di una norma nazionale - alcune addizionali sui prodotti energetici consumati nei propri territori attuando, così, una distinzione di tipo geografico inter-statale sul quantum Nel merito, infatti, l’art. 5 della Direttiva 2003/96 permette che gli Stati membri possano applicare, sotto controllo fiscale, aliquote d'imposta differenziate stabiliti nella stessa Direttiva solamente nei casi in cui: 1) sono direttamente connesse con la qualità̀ del prodotto, 2) dipendono dai livelli quantitativi del consumo di elettricità̀ e dei prodotti energetici utilizzati per il riscaldamento, 3) per utilizzi dei prodotti energetici per alcuni servizi di natura pubblica (e.g. compresi i taxi, raccolta di rifiuti, forze armate e pubblica amministrazione, disabili, ambulanze); 4) tra uso commerciale e non commerciale, per i prodotti energetici e l'elettricità. Appare immediatamente evidente l’assenza di ogni tipologia di riferimento prettamente geografico; elenco, tra l’altro, come già sancito dalla stessa Corte tassativo e non meramente indicativo [in tal senso sentenza 2 giugno 2016 Roz-Swit, C-418/14 e sentenza 16 novembre 2023 Tuke Busz C-391/22]. La chiarezza del dato normativo sul tema emerge, come anche rilevato dagli stessi giudici, ulteriormente dall’art. 19 della Direttiva 2003/96 il quale prevede che altre deroghe alle previste disposizioni possono essere riconosciute solamente deliberando all’unanimità su proposta della Commissione. Pertanto, è solo la stessa Direttiva 2003/96 che può ammettere deroghe basate su livelli di tassazione geografica differenziale (come accadeva ad esempio in Portogallo, Francia e Italia) e ne quale non sono naturalmente previste disposizioni a favore del caso in esame. Se, dunque, sul piano normativo la Direttiva sugli oli minerali appariva alquanto chiara sulle condizioni da rispettare per concedere delle deroghe alle aliquote da applicare, nemmeno la principale obiezione mossa dal governo spagnolo è risultata decisiva per inficiare quanto stabilito dai giudici europei: quella che l‘addizionale in questione fosse da qualificarsi quale una ulteriore imposta indiretta secondo quanto ammesso dall’art. 1 par. 2 della Direttiva 2008/118. Tale articolo (traslato oggi nell’art. 1 par. 2 della Direttiva 2020/262) ammette, infatti, che gli Stati membri possano applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi “finalità specifiche”, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali dell'Unione applicabili alle accise o all'imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell'imposta. Proprio tale finalità “specifica” rappresenta il discrimen per ritenere compatibile o meno con il diritto europeo un’ulteriore imposta rispetto all’accisa armonizzata; sul punto più volte i giudici europei hanno ritenuto non sufficiente la sola motivazione di “bilancio”. [sentenza del 22 giugno 2023, Endesa Generation causa C- 833/21].
La pronuncia in questione può essere contestualizzata con il caso italiano dell’IRBA (imposta regione benzina autotrazione istituita dal D.lgs 398 del 1990) dichiarata incompatibile con il diritto dell’unione dalla Corte con la sentenza della CGUE (causa C-255/20), il quale ha sancito che sebbene la destinazione al bilancio degli enti territoriali del gettito di un’imposta al fine di finanziare le competenze attribuite a tali enti sia un elemento da prendere in considerazione per identificare l’esistenza di una ‘finalità specifica’ ai sensi di detta disposizione, tale destinazione, che si configura come una semplice modalità di organizzazione interna del bilancio di uno Stato membro, non può, in quanto tale, costituire una condizione sufficiente al riguardo [per approfondimenti si rimanda a Giolo, Non debenza dell’IRBA anche per gli anni anteriori al 2021 - In tema di IRBA la “clausola di salvaguardia” non regge alla Corte di Giustizia UE, in GT - Riv. giur. trib., 2023, 12, p. 966].
3. La sentenza fin qui analizzata pone le basi per effettuare alcune considerazioni sulla possibilità che le regioni istituiscano, anche tramite potestà legislativa delegata da norme nazionali, accise ulteriori (nel caso di specie addizionali) rispetto a quelle normativamente previste dalle disposizioni europee. Se, infatti, il quadro normativo unionale di cui alla Direttiva 2003/96 permette di fissare, previa autorizzazione, aliquote di accisa inferiori rispetto a quella in vigore a livello nazionale è da constatare che invece non vi sono spazi per prevedere che in riferimento ad alcuni parametri geografici interstatali siano istituite aliquote di accisa più alte [in tal senso Quattrocchi, Lineamenti evolutivi della fiscalità delle regioni a statuto ordinario tra assetti costituzionali e diritto dell’unione europea, in Dir. prat. trib., 2018, 6, p. 2365. Si veda sul punto anche La scala, Accise e tributi per l'ambiente: quale rapporto Stato – Regioni alla luce del c.d. federalismo fiscale?, in Finanza Locale, 2, vol. 11-12 - 2009, p. 54-78]. Tale eventualità si concretizzerebbe di fatto in una distorsione della concorrenza e nemmeno la motivazione del solo fine “di bilancio” basterebbe a giustificare una tale tipologia di prelievo. Non si può tuttavia prendere atto di quello che è stato ed è l’interesse regionale nel tempo a intervenire sulla normativa in questione, che come noto, assicura un’immediata e rilevante fonte di gettito. Se già a partire dalla Legge 549 del 1995 il diritto nazionale legittimava per certi versi l’interesse nella materia da parte delle regioni e, poi, con la Legge Delega 42 del 2009 all’art. 2 co. 2 lett. r) si ammetteva un intervento, nel rispetto della normativa comunitaria e nei limiti stabiliti dalla stessa legge statale, nella modulazione delle accise sulla benzina, sul gasolio e sul gas di petrolio liquefatto, utilizzati dai cittadini residenti e dalle imprese con sede legale e operativa nelle regioni interessate, la successiva attuazione della stessa delega ha invece provveduto, con gli art. 18. co. 5 del D.lgs 68/2011 e 2 co. 6 del Dlgs. 23/2011 n. 23 alla soppressione di quelle che erano le addizionali provinciali italiane sull’energia elettrica [rileva, infatti, sul punto Uricchio, La fiscalità delle province tra disposizioni in materia di federalismo e proposte di soppressione, in Rass. trib., 2011, 6, p. 1519 “invero, va avvertito che, in sede di approvazione del decreto legislativo n. 68/2011, la compartecipazione è stata istituita con riferimento all’IRPEF e non più all’accisa”].
4. Come anticipato si preme, tuttavia, evidenziare che ad oggi sopravvive ancora l’addizionale regionale sul gas naturale che in via teoria presenterebbe tutti i medesimi problemi di compatibilità già affrontati in tema di regionalismo e accise; se già, infatti, con l’ IRBA e l’addizionale provinciale sull’energia elettrica la Corte di Giustizia si è espressa per la loro illegittimità, ancor più alla luce della sentenza in commento l’addizionale regionale sul gas naturale di cui all’art. 9 della L. n. 398 1990 è da ritenersi non più compatibile (se mai lo fosse stata) con la disciplina europea. La norma citata, infatti, prevede un addizionale regionale nelle regioni a statuto ordinario come combustibile per impieghi diversi da quelli delle imprese industriali ed artigiane e che ad ogni modo, secondo quanto stabilito dall’art. 6 della relativa Legge delega 158 1990 è giustificata per via di una vaga attribuzione di una più ampia autonomia impositiva alle ragioni ordinarie. Analogamente a quanto accaduto per l’addizionale per l’energia elettrica vi sarebbero, così, tutte le condizioni per richiedere il rimborso dell’imposta versata [per un’analisi sul rimborso delle accise indebitamente versate alla luce di una declaratoria di incompatibilità con le norme europee si veda, ELIA, Il rimborso dell’accisa sull’energia elettrica, in Dir. prat. trib., 2020, 4, p. 1669 e Bortolini, I molteplici risvolti dell’abrogazione dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, in Riv. tel. dir. trib., 2021, p. 1 e ss].
La sopravvivenza di tale tributo così da giustificarsi nella scarsa importanza in termini di gettito e, dunque, di peso fiscale per i contribuenti [così Gallo, Costituzione, federalismo fiscale e autonomia differenziata, in Dir. prat. trib., 2024, 2, p 414, il quale evidenzia che a livello regionale l’unico tributo a produrre un gettito di qualche rilevanza è il c.d. “bollo auto” ].
Un ultimo profilo di analisi è correlato alla residuale argomentazione difensiva del governo spagnolo, il quale ha sostenuto che un’aliquota del genere sarebbe stata una manifestazione dell’autonomia politica di tali comunità riconosciute dalla Costituzione spagnola. Anche sul punto però i giudici europei hanno cassato tale asserzione ribadendo che le condizioni dettate dalla Direttiva 2003/96 non possono comunque essere disattese. Giova evidenziare, infatti, che l’addizionale spagnola nel caso in esame, ma come anche in Italia l’IRBA, l’addizionale provinciale e quella regionale sul gas erano/sono imposte di derivazione legislativa di rango nazionale e non direttamente regionale. Parafrasando il tutto sul piano nazionale, nell’ordinamento italiano l’art. 119 della Costituzione prevede che l’autonomia tributaria garantita alle Regioni attraverso lo strumento dell’addizionale sia sempre di derivazione delegata dalla potestà esclusiva dello Stato che si risolve solo formalmente nella facoltà di istituire l’addizionale (già stabilita dallo Stato) e di fissare l’aliquota tra un minimo e un massimo. Pertanto, il tributo regionale è classificabile come “proprio” solamente se nasce nell’ambito di materie di esclusiva competenza legislativa rimessa alle Regioni stesse [per approfondimenti di natura generale sulla potestà legislativa tributaria delle regioni si veda Giovanardi, L’autonomia tributaria degli enti territoriali, Milano, 2005 e di natura specifica rispetto al caso trattato Elia, L’accisa come imposta dalla natura unitaria e di preminente competenza statale, Diritto e Pratica Tributaria, n. 5, 1 ottobre 2010, p. 21083]. Alla luce di quanto detto appare del tutto condivisile quando affermato dai giudici che hanno dato assoluto rilievo in via prioritaria al dettato della Direttiva proprio perché mai le regioni avrebbero potuto nel campo delle imposte armonizzate istituire autonomamente una addizionale d’accisa; ancor più la norma nazionale avrebbe dovuto rispettare, a prescindere dall’autonomia regionale, il diritto sovraordinato europeo. Nel campo delle imposte armonizzate sia che si tratti di tributi “propri” regionali in senso stretto oppure di imposte istituite dallo Stato e declinati, poi, dalla regione il diritto europeo conserva assolutamente il suo primato [come evidenzia Sciancalepore, Il federalismo differenziato tra difficoltà applicative e politiche regionali di fiscalità di vantaggio, in Diritto e Pratica tributaria, 4/2020, p.1393, le regioni sono, a ben vedere, consapevoli di tale limitazione. Ad esempio, l’intervenuta richiesta veneta di regionalizzazione del gettito dell’accisa sul gas naturale rigassificato nel territorio, invece, non parrebbe spinta da finalità ambientali in quanto la regione chiede l’attribuzione del solo gettito e non anche la potestà di disciplina legislativa di un tributo comunque armonizzato a livello europeo].
Addizionali come quelle affrontate nella pronuncia in commento potranno essere istituite o tramite deroghe espresse rimettendo alla Commissione la valutazione sull’opportunità di inserire aliquote maggiorate oppure perseguendo realmente degli obiettivi extra-fiscali che non siano solamente quelli di bilancio ex art 1 par. 2 della Direttiva 262/2020.