Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

16/01/2024 - Clausola del beneficiario effettivo e rapporto con l'abuso del diritto tra conferme e novità alla luce di recenti pronunce della Corte di Cassazione (nota a)

argomento: Attuazione del tributo - Giurisprudenza

Le due pronunce in commento illustrano gli step da seguire per la dimostrazione del possesso della qualifica di beneficiario effettivo e offrono spunti significativi per la comprensione del rapporto sussistente con la figura dell’abuso del diritto, fornendo altresì precisazioni in merito al riparto del correlato onere probatorio. Con le pronunce in commento, che recepiscono i principi espressi dalla CGUE nelle “sentenze danesi”, la Corte di Cassazione ha quindi condensato gli orientamenti profilati nel tempo in tema di beneficiario effettivo.

» visualizza: il documento (Corte di Cass., sent. 28 febbraio 2023, n. 6005; ord. 8 giugno 2023, n. 16173) scarica file

PAROLE CHIAVE: beneficiario effettivo - abuso del diritto - onere della prova - interessi - dividendi


di Roberta Vasi

1. La sentenza Cass. 28 febbraio 2023, n. 6005 ha ad oggetto l’impugnazione di avvisi di accertamento, relativi ai periodi d’imposta 2010 e 2011, per l’omessa applicazione della ritenuta a titolo d’imposta, ex 26, comma 5, d.P.R. n. 600/1973, sugli interessi passivi corrisposti da una società italiana (“GSE”, successivamente incorporata dalla ricorrente in giudizio “Engie”) in favore di un’altra società italiana (“GSEI”). Tali interessi derivavano da contratti di finanziamento sottoscritti negli anni 2010 e 2011 nell’ambito di un articolato progetto di ristrutturazione finanziaria dell’intero gruppo che, coinvolgendo società operative di Stati diversi, veniva realizzato mediante l’acquisizione di partecipazioni e la sottoscrizione di credit facility agreements. Ai fini della pronuncia in commento, rilevano due accordi di finanziamento: l’uno tra GSE e GSEI, l’altro tra GSEI ed una società lussemburghese consociata di GSE (“EIL”, che a sua volta metteva a disposizione di quest’ultima un’ulteriore linea di credito). Per la C.T.R. della Lombardia, a riforma della sentenza di primo grado, GSEI era una mera società interposta tra la debitrice GSE ed il “beneficiario effettivo” lussemburghese EIL, soggetto non residente. Il giudice d’appello, pertanto, ravvisava la violazione dell’art. 26, comma 5, d.P.R. n. 600/1973, per mancata applicazione della ritenuta a titolo d’imposta sugli interessi corrisposti a una società non residente, nonché l’inapplicabilità dell’art. 26-quater, D.P.R. n. 600/1973 che prevede l’esenzione da imposta degli interessi pagati a società residenti in altri Stati membri dell’UE, per difetto delle percentuali di partecipazione necessarie nei rapporti tra EIL e la ricorrente. Contro tale decisione di merito, la contribuente proponeva ricorso in cassazione.

2. L’ordinanza Cass. 8 giugno 2023, n. 16173 riguarda, invece, un caso di silenzio-rifiuto dell’Agenzia Entrate formatosi in relazione ad un’istanza di rimborso della ritenuta applicata in Italia, ai sensi dell’allora vigente art. 27, comma 1, d.P.R. n. 600/1973, sui dividendi distribuiti da una società italiana alla controllante residente ai fini fiscali in Lussemburgo. In particolare la società lussemburghese chiedeva il rimborso dell’intera ritenuta subita per violazione dell’art. 27-bis del d.P.R. n. 600/1973 e, in via subordinata, il rimborso della differenza tra l’ammontare della ritenuta versata con l’aliquota piena del 27% e l’ammontare di ritenuta meno oneroso previsto dall’art. 27, comma 3-ter, d.P.R. n. 600/1973 (1,375%), o dalla Convenzione Italia-Lussemburgo (15%). Rigettato il ricorso sia in primo che in secondo grado per mancata dimostrazione dell’imposizione realmente subita e della sussistenza dei requisiti richiesti per l’esenzione dalla ritenuta, ovvero per mancanza di prova della qualità di beneficiario effettivo dei dividendi stessi, la contribuente presentava ricorso per cassazione censurando la sentenza di secondo grado sotto diversi profili di violazione di legge.

3. Seppur con riguardo a contesti specifici differenti, l’uno relativo agli interessi, l’altro ai dividendi, i due casi sono accomunati da un’indagine sullo status di beneficiario effettivo, sui correlati aspetti procedimentali e probatori, nonché sul rapporto di tale requisito con la figura dell’abuso del diritto. La clausola del beneficiario effettivo è stata introdotta nell’ordinamento fiscale internazionale nel 1977, con la modifica degli artt. 10 (dividends), 11 (interest) e 12 (royalties) del Modello di Convenzione OCSE per evitare le doppie imposizioni, come strumento di contrasto di fenomeni di treaty shopping, consistenti nella fruizione di vantaggi fiscali non dovuti da parte di un contribuente fiscalmente residente in uno Stato contraente mediante l’applicazione di un regime più favorevole non spettante.

Al momento della sua introduzione, l’unica indicazione era rinvenibile in una nota esplicativa del Commentario che offriva una definizione in negativo, precisando come la limitazione della potestà impositiva nello Stato della fonte non trovasse applicazione nel caso d’interposizione di un agente o un nominee, tra il soggetto erogante e l’effettivo beneficiario. Tale concezione di beneficial ownership di tipo formalistico è stata sostituita da un approccio di natura sostanzialistica con l’aggiornamento del Commentario al Modello OCSE 2014 in cui si qualifica come beneficiario effettivo il soggetto che dispone del diritto di fare uso e godere del reddito senza essere condizionato da una obbligazione legale o contrattuale, di fatto o di diritto, di trasferire il pagamento ricevuto a una terza persona (per un approfondimento sull’evoluzione del concetto di beneficial ownership, BALLANCIN A., La nozione di “beneficiario effettivo” nelle Convenzioni internazionali e nell’ordinamento tributario italiano, in Rass. trib., 2006, p. 209 ss; CORASANITI G., L’evoluzione della nozione di beneficiario effettivo tra il modello di convenzione OCSE e la giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione europea, in Dir. prat. trib., 2021, p. 2493 ss., FAMÀ F., Clausola del “beneficiario effettivo” e articolazione dell’onere della prova nell’evoluzione del diritto tributario dei trattati ed europeo, in Riv. tel. dir. trib., 2021, p. 600 ss.; GIANNELLI A., PITRONE F., Beneficiario effettivo, in Avolio D. (a cura di), Fiscalità internazionale e dei gruppi, Milano, Giuffrè, 2020, p. 699 ss.).

Nel Commentario all’art. 11 del Modello OCSE 2017 è stato poi precisato che il termine beneficial owner non è utilizzato in un senso tecnico ristretto, ma deve essere inteso con riferimento al contesto, per chiarire il significato della locuzione “paid to a resident”, nonché alla luce dell’oggetto e degli scopi della Convenzione, inclusi il contrasto alle doppie imposizioni e la prevenzione della frode e dell’evasione fiscali.

Il concetto di beneficiario effettivo è stato recepito anche nell’ordinamento unionale, ove la clausola è esplicitamente contemplata solo nella Direttiva n. 2003/49/CE, in materia di interessi e royalties (c.d. IRD), e non anche nella Direttiva n. 2011/96/UE in materia di dividendi (c.d. Direttiva Madre-Figlia o PSD).

In assenza di una specifica definizione, sono la prassi amministrativa degli Stati UE e la giurisprudenza, unionale e di legittimità, a fissare principi di diritto ed orientamenti utili alla ricostruzione del significato della clausola in esame.

4. Nel contesto dell’Unione europea, importanza cruciale è attribuita alle c.d. “sentenze danesi” del 26 febbraio 2019 (cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, concernenti l’applicazione della IRD, e cause riunite C-116/16 e C-117/16, concernenti l’applicazione della PSD), che costituiscono landmark cases in tema di beneficiario effettivo (BRUNELLI F., TRONCI S., AQUARO L., Il requisito del beneficiario effettivo nel contesto internazionale e domestico. Riflessi sulle strutture d’investimento del private equity, in tel. dir. trib., 2023; a riguardo, si veda anche BIZIOLI G., Le nuove “lenti” della Corte di Giustizia sul mercato interno: le cause danesi, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2019, Parte II, p. 150 ss.).

Le fattispecie esaminate in via pregiudiziale dalla CGUE riguardano quattro casi di imposizione della ritenuta alla fonte su interessi versati da società residenti in Danimarca, indirettamente controllate da fondi di investimento extra-UE situati in Paesi privi di Convenzioni contro le doppie imposizioni con la Danimarca, ad entità residenti in altri Stati membri, nonché due casi relativi all’applicazione della ritenuta su dividendi distribuiti da società danesi a fondi di investimento extra-UE residenti in Paesi senza Convenzioni contro le doppie imposizioni con la Danimarca e a una società portafoglio cipriota, a sua volta controllata da una sub-holding residente in Paese privo di Convenzioni con la Danimarca (con casa madre statunitense).

Da un esame congiunto di tali sentenze è possibile individuare i profili di novità che hanno condizionato il percorso argomentativo dei giudici di legittimità nelle due recenti pronunce oggetto del presente commento: i) la nozione di beneficiario effettivo rilevante ai fini della IRD è estranea alle nozioni di diritto interno dei singoli Stati membri e va interpretata alla luce delle indicazioni contenute nel Commentario al Modello OCSE; ii) circoscritto in base all’impostazione convenzionale come “l’entità che benefici economicamente degli interessi percepiti e disponga, pertanto, della facoltà di disporne liberamente la destinazione”, il concetto di beneficiario effettivo deve essere definito sulla base di un case by case approach; iii) nel caso in cui il percettore dei flussi sia una conduit company non qualificabile come beneficiario effettivo, con riguardo alla sola IRD, è ammesso l’approccio look-through volto a verificare se sussiste una società residente in uno Stato UE che si possa qualificare, in alternativa al primo prenditore, come beneficiario effettivo; iv) il divieto delle pratiche abusive è un principio generale immanente al diritto dell’UE che trova applicazione senza necessità di “importare” dalle convenzioni o dalla IRD la clausola del beneficiario effettivo in funzione antielusiva; v) in virtù di una non sovrapponibilità con il concetto di beneficiario effettivo, la clausola antiabuso è l’unico strumento per disconoscere i benefici della PSD; vi) in tema di onere della prova, lo Stato della fonte ha la possibilità di imporre al percettore dei redditi di dimostrare di esserne il beneficiario effettivo; per contro, la prova della condotta abusiva è a carico dell’autorità nazionale, senza che la stessa debba procedere con l’individuazione delle entità considerate effettive beneficiarie, richiedendo piuttosto un insieme di elementi costitutivi di natura oggettiva e soggettiva, nonché la sussistenza di indizi “obiettivi e concordanti”. Tra i più rilevanti, si segnalano l’assenza di “struttura” della società interposta, l’obbligo di ritrasferire integralmente – o quasi – ed entro un lasso di tempo molto breve le somme percepite a titolo di interessi o dividendi a soggetti che non godono dei requisiti per beneficiare delle Direttive, la realizzazione di un utile imponibile “insignificante” da parte della società interposta, derivante dal ritrasferimento dei medesimi redditi (a riguardo, si veda CORASANITI G., op. cit., p. 2522 ss.; TENORE M., LUBRANO G., Spunti di riflessione sulle sentenze della Corte di Giustizia nelle c.d. cause danesi alla luce della giurisprudenza italiana, in Riv. tel. dir. trib., 2020, p. 113).      

Per quel che concerne gli orientamenti più significativi riconducibili all’ordinamento interno italiano, dopo un superamento dell’impostazione iniziale che ricollegava lo status di beneficiario effettivo all’assoggettabilità a imposta (“liable to tax”), l’Amministrazione finanziaria ha ammesso il sopracitato approccio look-through, ossia la possibilità di “guardare attraverso” il veicolo intermedio applicando il trattato vigente non con lo Stato del formale prenditore ma con quello del soggetto a cui il provento viene effettivamente “pagato” (Risoluzione n. 86/2006); successivamente, con la Circolare 30 marzo 2016, n. 6/E, l’Amministrazione ha altresì associato la qualifica di beneficiario effettivo di entità interposte allo svolgimento di una reale e genuina attività economica, nel senso che il soggetto intermedio deve essere effettivamente radicato nel Paese di insediamento e non deve fungere da mera conduit.

Sempre sul fronte nazionale, nell’ambito di tale inquadramento sostanzialistico condiviso dalla Corte di Cassazione, si inseriscono delle recenti sentenze i cui spunti cruciali, sul solco dei principi espressi nelle sentenze danesi, hanno condizionato la decisione dei giudici di legittimità nelle due pronunce in commento, con particolare riguardo alle modalità di verifica del requisito di beneficiario effettivo e al rapporto con la nozione di abuso del diritto.

Invero, sulla scia delle sentenze danesi e in linea con la precedente sentenza del 28 dicembre 2016, n. 27112 in materia di dividendi, la sentenza Cass. 10 luglio 2020, n. 14756 ha affermato che anche una subholding pura può essere considerata beneficiario effettivo di un flusso transfrontaliero di interessi mediante la verifica di alcuni “parametri-spia” che indicano la “padronanza ed autonomia della società-madre percipiente, sia nell’adozione delle decisioni di governo ed indirizzo delle partecipazioni detenute, sia nel trattenimento ed impiego dei ‘dividendi’ percepiti”, senza procedere a un’esclusione ab origine per le sue caratteristiche intrinseche. Anche l’ordinanza Cass. 3 febbraio 2022, n. 3380 conferma tale orientamento e introduce altresì un ulteriore profilo di novità in merito, precisando che l’assenza di un congruo mark-up in capo alla società holding non residente non è condizione sufficiente per l’esclusione dello status di beneficiario effettivo (per un approfondimento, cfr. GIANNELLI A., Finanziamenti “a cascata” ed esenzione dalla ritenuta sugli interessi ex art. 26-quater D.P.R. n. 600/1973: l'assenza di un congruo margine (mark up) in capo alla società holding non implica di per sé la carenza del requisito del beneficiario effettivo, in Riv. tel. dir. trib., 2023).

5. In armonia con la centralità attribuita agli “indici segnaletici”, confermato che “l’individuazione del “beneficiario effettivo”, talvolta non disgiunta dall’interferenza di una “società conduit”, non può prescindere da un approfondito scrutinio della fattispecie concreta ad opera del giudice di merito, che sia idoneo a gettar luce sulla sostanza economica dell’operazione finanziaria”, la sentenza n. 6005/2023, richiamata sul punto dalla successiva ordinanza n. 16173/2023, enuncia che la prova di essere il beneficiario effettivo richiede il superamento di tre test, autonomi e disgiunti: i) il substantive business activity test mira a verificare se la società interposta svolga un’attività economica effettiva e sia o meno una struttura artificiosa, in quanto, per i princìpi generali del diritto dell’Unione europea, gli Stati membri non possono avvalersi in maniera fraudolenta ed abusiva delle norme di diritto unionale. Qualora una società non superi la prova dello svolgimento di un’attività economica effettiva, si rileva un abuso e l’entità coinvolta non solo non può fruire del regime fiscale previsto dalla IRD per il beneficiario effettivo, ma non può neppure godere delle libertà e dei diritti riconosciuti dal TFUE; ii) il dominion test valuta se la società percipiente possa disporre liberamente degli interessi ricevuti o se invece sia tenuta a retrocederli a un soggetto terzo. L’obbligazione restitutoria può essere prevista contrattualmente oppure può evincersi da elementi fattuali, quali il ristretto arco di tempo tra la ricezione del flusso e il pagamento della rata del finanziamento ricevuto, la regolarità dei trasferimenti alla controllante, l’esiguità del margine di guadagno sui flussi percepiti, l’identità del management della società interposta e di quella destinataria finale del flusso, la circostanza che la società interposta non abbia deliberato il finanziamento, non ne sostenga il rischio o non possa rinunciare alle somme prestate. L’esito negativo di questo step, che mira “al cuore del significato economico dell’operazione (substantial economic effect)”, comporta che la società non può essere considerata beneficiario effettivo, subendo il conseguente disconoscimento dei correlati vantaggi fiscali, ma non anche dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla normativa europea; iii) il business purpose test verifica le ragioni dell’interposizione di una società nel flusso reddituale transfrontaliero, al fine di appurare se la società percipiente abbia una funzione nell’operazione di finanziamento, o se invece la “triangolazione” sia finalizzata esclusivamente a un risparmio fiscale.

Tuttavia, nel caso in cui l’immediato percettore non si qualifichi come beneficiario effettivo, non è esclusa necessariamente l’applicabilità dell’esenzione prevista dall’art. 1, paragrafo 1, della Direttiva 2003/49 (v. punto 94, sentenze danesi), in quanto si ribadisce la validità del c.d. approccio look-through che garantisce il riconoscimento del beneficio fiscale alla società terza che possiede i requisiti per fruire del regime più favorevole.

Secondo una parte della dottrina, tale approccio potrebbe perdere rilevanza pratica a causa di una riduzione del numero di casi a cui sarebbe effettivamente applicabile in virtù dell’“interpretazione restrittiva” dell’art. 26-quater, comma 1, d.P.R. n. 600/1973, richiamata nella sentenza in commento (si veda, ANTONINI M., PIANTAVIGNA P., La Cassazione applica la nozione di “beneficiario effettivo” a fattispecie domestiche, in Corr. trib., 2023, p. 562; MICHELUTTI R., D’ETTORRE A., Shell Companies: Direttive Madre-Figlia e Interessi e Canoni e approccio look-through, in Corr. trib., 2023, p. 341). In linea con i propri precedenti (Cass. civ. 30 settembre 2019, n. 24297, a cui si aggiunge, più di recente, Cass. 22 maggio 2023, n. 13979), la Suprema Corte ha infatti precisato che l’esenzione prevista dalla suddetta norma di agevolazione tributaria spetterebbe esclusivamente laddove il rapporto di partecipazione, non inferiore al 25 per cento del capitale o dei diritti di voto nella società che effettua il pagamento, sia una detenzione diretta, escludendo le partecipazioni societarie mediate, ovvero indirette, ammesse al contrario dalla Direttiva PSD (a riguardo, DI TANNA M.L., GRECO D., SONCINI M., Esenzione dalle ritenute sugli interessi corrisposti a soggetti residenti UE solo in caso di controllo diretto, in Il Fisco, 2023, p. 2545 ss.).

6. Nella sentenza n. 6005/2023 i giudici di legittimità richiamano l’impostazione seguita dalla CGUE nelle sentenze danesi non solo in relazione alla definizione dei tre step summenzionati, ma anche in materia di riparto dell’onere della prova. A riguardo, si chiarisce che spetterebbe al contribuente dimostrare di essere il beneficiario effettivo, sul piano sostanziale e non meramente formale, per il principio di vicinanza della prova, mentre graverebbe sull’Amministrazione finanziaria, in ossequio alla regola generale sull’onere della prova, dimostrare l’abuso del diritto e la sussistenza di una costruzione artificiosa (MARINONI S., Beneficiario effettivo, abuso del diritto e onere della prova al vaglio della Cassazione, in Riv. tel. dir. trib., 2023. Si veda anche GLENDI C., Applicabilità ai giudizi pendenti della nuova norma sull’onus probandi nel processo tributario – Primi esperimenti applicative delle Corti di merito sulla regola finale del fatto incerto nel processo tributario riformato, in GT – Riv. giur. trib., 2023, p. 247 ss.).

In materia di dividendi, la stessa ordinanza n. 16173/2023 precisa che, in base all’art. 27-bis, comma 5, d.P.R. n. 600/1973, quantomeno nella formulazione vigente fino al 1° gennaio 2016, il requisito del beneficiario effettivo “rientrava tra gli elementi costitutivi il cui onere probatorio era a carico del contribuente. La disposizione, infatti, prevedeva espressamente che i benefici si applicassero alle società di cui al comma 1, controllate direttamente o indirettamente da uno o più soggetti non residenti in Stati della Comunità Europea, a condizione che dimostrassero di non detenere la partecipazione allo scopo esclusivo o principale di beneficiare del regime in esame”.

Sul punto il dibattito dottrinale evidenzia che l’applicazione del principio di vicinanza della prova, di matrice giurisprudenziale, sembra superata soprattutto a seguito dell’entrata in vigore del comma 5-bis dell’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in base al quale “l’Amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice […] annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, [...] le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni”. 

Alla luce di tale orientamento, il ricorso alla regola del riparto sarebbe accettabile solo nei casi in cui è il contribuente a richiamare il riconoscimento di benefici connessi a regimi di esenzione di fonte convenzionale o unionale, e non anche nelle ipotesi in cui è l’Amministrazione finanziaria a utilizzare la clausola del beneficiario effettivo per contestazioni relative alla mancata effettuazione della ritenuta a titolo d’imposta, poiché si determinerebbe un’inversione dell’onere della prova non giustificata dalla normativa tributaria sostanziale (sul punto, ANTONINI M., PIANTAVIGNA P., op. cit.; CAUMONT CAIMI C., PARDINI N., Nuova disciplina dell’onere della prova: la riscoperta del passato per un futuro più giusto, in Corr. trib., 2023, p. 66 ss.).

7. Indipendentemente dalle considerazioni sul riparto dell’onere della prova, è indubbio che entrambe le pronunce intervengano in tema di rapporto tra requisito del beneficiario effettivo e abuso del diritto.

La stessa definizione dell’iter da seguire per la dimostrazione della qualifica di beneficial owner trova fondamento proprio nell’idea di una non commistione di tale clausola con l’ipotesi di abuso del diritto (cfr. sent. n. 6005/2023, punto 12: “una cosa è l’abuso del diritto, altra cosa (ed è questo il campo nel quale s’inscrive la figura del beneficiario effettivo) sono i requisiti da soddisfare affinché spettino i benefìci riconosciuti da disposizioni ispirate a finalità antiabuso”).

Invero, sebbene il requisito in esame privilegi la sostanza sulla forma al pari delle clausole generali antielusione, in quanto diretto ad “impedire che i soggetti possano abusare dei trattati fiscali attraverso pratiche di treaty shopping, con lo scopo di riconoscere la protezione convenzionale a contribuenti che, altrimenti, non ne avrebbero avuto diritto o che avrebbero subìto un trattamento fiscale, comunque, meno favorevole”, gli ambiti in cui operano i due strumenti sono differenti.

Per l’attribuzione della qualifica di beneficiario effettivo è sufficiente valutare se il percettore del flusso reddituale può nella sostanza disporne e, nel caso in cui tale test abbia esito negativo, non si considera necessariamente integrata anche un’ipotesi di elusione fiscale. Nel caso di abuso del diritto, si richiede invece alle autorità competenti di appurare l’indebito ottenimento di vantaggi fiscali da parte di un contribuente che, mediante costruzione artificiosa, riesce ad aggirare il presupposto di fatto di una norma impositiva, senza che sussistano valide ragioni commerciali a giustificazione dell’operazione (sul punto, PISTONE P., Beneficiario effettivo e clausole generali antielusione, in Dir. e prat. trib. int., 2020, p. 1574).

In merito a tale discrimen, va tuttavia precisato che le due pronunce in commento affermano principi di diritto in parte contrastanti, sulla base della differente natura del flusso reddituale oggetto di valutazione della Corte.

Nella sentenza n. 6005/2023, in tema di esenzione dalle imposte sugli interessi (e sui canoni) corrisposti a soggetti residenti in Stati membri dell’Unione europea, la Corte di Cassazione conferma la  non sovrapponibilità tra i due ambiti sottolineando che “nonostante la comune matrice antielusiva, gli artt. 26 e 26-quater, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, […] non sono sussumibili entro l’art. 37-bis, d.P.R. n. 600 del 1973, anche per quanto attiene alle prescrizioni endoprocedimentali recate da quest’ultimo (quali, per es., l’obbligo del contraddittorio preventivo e della motivazione rafforzata dell’atto impositivo)”.

Per contro, nell’ordinanza n. 16173/2023, in materia di dividendi madre-figlia, i giudici di legittimità sottolineano che “in ragione del disposto di cui al d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 27-bis, comma 5, – sia nella versione precedente alle modifiche di cui alla L. 7 luglio 2016, n. 122, art. 26, comma 2, lett. b) sia nella versione successiva – la circostanza che il soggetto che reclama i benefici ivi previsti non ne sia “beneficiario effettivo” è elemento da valutarsi per la ricostruzione della fattispecie in termini di pratica elusiva, quale segnale di una struttura posta in essere in maniera formale ed artificiosa per usufruire indebitamente dei benefici riservati alle società con sede nell’Unione”. Statuendo altresì che l’art. 10-bis della L. n. 212/2000 è l’unico riferimento normativo per poter negare il regime di esenzione su dividendi distribuiti a società figlie UE, in presenza dei requisiti previsti dall’art. 27-bis del d.P.R. n. 600/1973, si è riconosciuto che il requisito del beneficiario effettivo può incidere sull’applicazione della disciplina più favorevole, ma come elemento di una più ampia fattispecie elusiva (cfr. punto 5.7).

Con una siffatta impostazione, come già evidenziato da una parte della dottrina in relazione ad alcuni leading cases di giurisprudenza internazionale (cfr. sentenze Bank of Scotland e Real Madrid), il concetto di beneficiario effettivo rischierebbe di essere impiegato secondo un’accezione antielusiva ad ampio spettro, in contrasto con l’impostazione convenzionale (GIANNELLI A., PITRONE F., op. cit., p. 712). Invero, il par. 12.5 del Commentario OCSE all’art. 10 esclude espressamente che la clausola del beneficiario effettivo possa essere utilizzata per risolvere tutti i casi di treaty shopping, rimanendo dunque opportuna l’introduzione di specifiche misure antiabuso (si veda, ANTONINI M., PIANTAVIGNA P., op. cit.).

In altri termini, un’interpretazione “rigorosa” del beneficiario effettivo, quale clausola specifica e tipizzata la cui applicazione è diretta a contrastare casi di interposizione reale di un soggetto terzo (agent, nominee, conduit) nel flusso reddituale fra lo Stato della fonte e quello dell’effettivo percettore, consentirebbe di epurare tale requisito da un contenuto antiabuso, ripristinandone l’originaria funzione e definendo correttamente la distinzione con rimedi di carattere generale come il Principle Purpose Test (a riguardo, WEBER D., EU beneficial ownership further developed: a view from a different angle, in World Tax Journal, 2022, p. 51 ss.).

8. In conclusione, le due pronunce in commento hanno consentito di cristallizzare alcuni principi cardine già espressi dalla giurisprudenza unionale e di legittimità e hanno fornito altresì degli spunti essenziali per una migliore comprensione del processo di individuazione del beneficiario effettivo. Al contempo, la diversa base normativa applicabile in relazione alle fattispecie oggetto dei due casi ha messo chiaramente in evidenza come la distinzione con l’abuso di diritto non sia sempre automatica ed agevole.

Di certo, con l’ordinanza n 16173/2023, la Cassazione ha esplicitamente riconosciuto come la clausola di beneficiario effettivo sia del tutto estranea rispetto all’ambito della Direttiva madre-figlia. Seppure in relazione al tema specifico dell’esenzione sui dividendi, tale orientamento potrebbe, da una parte, operare come interessante precedente nell’azione giurisprudenziale; dall’altra, potrebbe condizionare l’attività accertatrice dell’Amministrazione finanziaria che nei percorsi argomentativi dovrà tenere conto della disciplina dell’abuso del diritto, ex art. 10-bis della L. n. 212/2000, e delle correlate garanzie procedimentali, confermando in tal modo come il concetto di beneficiario effettivo non sia stato concepito con l’intento di ridurre gli standard probatori nell’applicazione delle clausole generali antiabuso.