Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

18/12/2023 - L'impegno alla postergazione di un debito non č tassabile come sua ricognizione

argomento: Attuazione del tributo - Giurisprudenza

Con l’ordinanza in commento si chiariscono le caratteristiche e la tassazione della ricognizione di debito nell’imposta di registro, indicando che la mera menzione di un debito, sottesa alla dichiarazione di volerlo postergare rispetto ad un nuovo finanziamento, non può integrare una ricognizione di debito, né può considerarsi enunciata, in quanto non collocata in un atto tra le stesse parti del rapporto obbligatorio che andrebbe inteso riconosciuto

» visualizza: il documento (Corte di Cass., ord. 2 settembre 2022, n. 25942) scarica file

PAROLE CHIAVE: imposta di registro, ricognizione di debito, atti a contenuto dichiarativo, enunciazione -


di Edgardo Marco Bartolazzi Menchetti

1. La tassazione della ricognizione di debito nell’ambito dell’imposta di registro è da tempo fonte di dubbi. In breve, superato l’orientamento secondo il quale la si sarebbe dovuta considerare un atto “a contenuto patrimoniale”, di cui all’art. 9 della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986, Testo unico delle disposizioni sull’imposta di registro – T.U.R. (così, ad es., Cass., sez. trib., sent. 12 novembre 2014, n. 24107), sono rimasti in vita quello secondo cui si tratterebbe di un atto “di natura dichiarativa”, contemplato quindi nell’art. 3 della predetta Tariffa (come sostenuto da Cass., sez. trib., sent. 28 maggio 2007, n. 12432), e quello che, invece, la considera priva di contenuto patrimoniale, e dunque soggetta ad imposizione in misura fissa, ai sensi dell’art. 11 della stessa Tariffa (sostenuto, ad esempio, da Cass., sez. trib., sent. 11 gennaio 2018, n. 481). Se anche questo contrasto può dirsi ormai superato da una pregevole pronuncia delle Sezioni Unite (sent. 16 marzo 2023, n. 7682, su cui Contrino, Ricognizione di debito e imposizione di registro: le SS.UU. sciolgono il nodo e colgono nel segno, in Riv. Telematica di diritto tributario, 2023; N. Zanotti, Le Sezioni Unite sulla misura dell’imposta di registro da applicare alla ricognizione di debito, in Riv. Dir. Trib., suppl. online, 2023; G. Salanitro, All’atto di ricognizione di debito si applica l’imposta di registro in misura fissa, in Giur. Trib., 2023, 497) che ha indicato che la ricognizione in sé va ordinariamente tassata seguendo l’ultimo degli orientamenti descritti, l’ordinanza in commento è intervenuta su altri punti della fiscalità dell’istituto, che rimanevano ancora incerti.

La decisione si è infatti occupata della possibilità di considerare come ricognizione di debito, e di tassarla facendo applicazione della disciplina dell’enunciazione di cui all’art. 22 T.U.R., la dichiarazione, contenuta in un atto di mutuo stipulato tra una società di capitali ed un istituto di credito, con cui la mutuataria dava atto dell’esistenza, in suo favore, di un finanziamento da parte dei propri soci, impegnandosi nei confronti del mutuante a postergare tale debito rispetto al nuovo mutuo che veniva accordato. Questa dichiarazione veniva dapprima considerata dall’Agenzia delle Entrate, secondo l’art. 21 T.U.R., come disposizione autonoma contenente un negozio giuridico di natura dichiarativa, e così soggetta ad imposta di registro proporzionale con aliquota dell’1% ai sensi dell’art. 3 della Tariffa, parte prima, allegata al T.U.R. La Commissione tributaria regionale adita per l’appello confermava infine il recupero, giustificandolo però in virtù del riscontro, nell’atto, dell’enunciazione della ricognizione di debito.

La Corte di Cassazione ha escluso che un impegno come quello descritto possa determinare una ricognizione di debito, in quanto non espresso nei confronti del creditore che ne verrebbe riconosciuto. Su un profilo contiguo, è stato altresì indicato che la stessa ricognizione non potrebbe neppure considerarsi enunciata nell’atto di mutuo poiché non relativa ad un atto posto in essere “fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene l’enunciazione”, secondo la previsione dell’art. 22 del D.P.R. n. 131/1986.

2. L’impossibilità, ritenuta dalla Corte, di applicare alla menzione del finanziamento preesistente l’imposta di registro come se si trattasse di una ricognizione di debito appare fondata sull’accidentalità di tale affermazione, sulla sua funzione di tutela del nuovo finanziatore e, in definitiva, sull’assenza della volontà di influire sulla situazione giuridica del credito anteriore. Anche se il carattere negoziale della ricognizione di debito è discusso (a favore di esso, in giurisprudenza, Cass., sez. I, sent. 3 luglio 2013, n. 16621; contraria, invece, Cas., sez. II, ord. 12 aprile 2018, n. 9097; in dottrina, attribuisce carattere negoziale alla ricognizione Branca, sub. art. 1988, in A. Scialoja e G. Branca (a cura di), Commentario del codice civile, 1974, XXIII, 424; contrario C.A. Graziani, Le promesse unilaterali, in P. Rescigno (a cura di), Trattato di diritto privato, IX, Torino, 1984, 681, che la configura come dichiarazione di scienza, latamente confessoria), la principale funzione dell’istituto resta quella di rafforzare la posizione processuale del creditore riconosciuto, dispensandolo dall’onere di provare l’esistenza del proprio, preesistente, credito, con un effetto derogatorio rispetto all’ordinario regime dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. (per tutte, Cass., sez. III, sent. 3 novembre 2020, n. 24451), come peraltro emerge testualmente dal disposto dell’art. 1988 c.c. In nessun caso possono quindi essere individuati nella ricognizione effetti costitutivi o modificativi del rapporto obbligatorio. Il carattere negoziale eventualmente attribuito alla ricognizione va pertanto individuato nella presenza di una deliberata intenzione di rendere più agevole, o maggiormente certa, la realizzazione del diritto del creditore. In tal caso, la ricognizione viene ricondotta alla categoria dei negozi di accertamento (N. Zanotti, L’imposta di registro per l’atto di ricognizione di debito, in Dir. Prat. Trib., 2023, 868 a cui si rinvia anche per gli ampi riferimenti dottrinali). Che una tale volontà debba accompagnare la ricognizione è invece negato dall’opposto orientamento, prevalente in giurisprudenza (tra le più recenti, Cass., sez. II, sent. 5 marzo 2019, n. 6357 e Cass., sez. II, ord. 12 aprile 2018, n. 9097), secondo il quale è sufficiente che il debitore dichiari di riconoscere l’esistenza dell’avversa pretesa creditoria, come fatto storico, in quanto la ricognizione viene configurata come mera dichiarazione di scienza.

3. Dal punto di vista tributario, e specificamente dell’imposta di registro, ai fini della tassazione dell’atto o della disposizione in cui si ritenga contenuta la ricognizione di debito, risulta necessario appurare quali siano i concreti effetti che esso possa determinare, in ossequio alla disciplina di cui all’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986, funzionale alla tassazione dell’atto in ragione del suo contenuto giuridico, dunque degli effetti che esso è idoneo a produrre (cfr. F. Tesauro, Novità e problemi nella disciplina dell'imposta di registro, in Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 1975, I, 91; Uckmar-R. Dominici, (voce) Registro (imposta di), in Dig. Disc. Priv., sez. comm., XII, 1999, 260; N. Dolfin, L’imposta di registro, in G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2018, 995). Una fondamentale distinzione accolta in dottrina vuole quindi esclusi da imposizione proporzionale, anche con la più tenue aliquota dell’art. 3 della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986, relativa agli atti “di natura dichiarativa”, gli atti c.d. “meramente ricognitivi” (A. Contrino, Note sulla nozione di “atto di natura dichiarativa” nel tributo di registro, in Rass. Trib., 2011, 662; V. Pappa Monteforte, La ricognizione di debito nell’imposta di registro, in Notariato, 2011, 2, 232), per tali dovendosi intendere quelli con i quali una situazione preesistente viene soltanto certificata, o formalizzata, oppure, se dubbia, la stessa viene chiarita (A. Busani, L’imposta di Registro, Milano, 2009, 761). In tali casi, si osserva che la mera ricognizione non aggiunge nulla alla situazione sostanziale, che permane invariata in tutti i suoi elementi. Ne consegue che alla mera dichiarazione di scienza ricognitiva non sarà applicabile nessun tipo di tassazione in misura proporzionale, bensì andrà ricondotta tra gli atti non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, e quindi da registrare con imposta in misura fissa, ai sensi dell’art. 11 della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986 (come pure confermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sent. n. 7682/2023, cit.).

4. Nella tassazione della ricognizione di debito resterebbero quindi spazi per l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale solo ove la si consideri atto avente “natura dichiarativa”, secondo la previsione dell’art. 3 della Tariffa, parte prima, allegata al T.U.R. Tale disciplina può tuttavia essere applicata - come confermato anche dalla citata sentenza delle Sezioni Unite del 2023 - unicamente laddove il riconoscimento di debito si ponga come dichiarazione negoziale, tale da manifestare espressamente una specifica intenzione ricognitiva, così da escludere che la relativa dichiarazione abbia altre finalità ( Puri, Evoluzioni giurisprudenziali in tema di tassazione ai fini del registro del riconoscimento di debito, CNN, Studio n. 118-2018/T approvato il 12 ottobre 2018, 5). L’assoggettamento alla disciplina degli atti di natura dichiarativa sarebbe pertanto possibile solo per disposizioni che siano effettivamente suscettibili di specificare o confermare, con un effetto comunque additivo rispetto a quanto fin lì risultante, una situazione sostanziale già esistente, sulla quale l’atto a contenuto dichiarativo si innesterebbe, senza modificarla nella sostanza e nel contenuto. Come è stato evidenziato, la “dichiaratività” considerata ai fini in discorso non riguarda la natura dell’atto, che ben si potrebbe riconoscere a qualsiasi enunciazione di una posizione debitoria, bensì i suoi effetti (P. Puri, Evoluzioni giurisprudenziali, cit.; A. Contrino, Note sulla nozione di “atto di natura dichiarativa” nel tributo di registro, in Rass. Trib., 2011, 662; V. Pappa Monteforte, La ricognizione di debito nell’imposta di registro, in Notariato, 2011, 2, 232; A. Falzea, (voce) Efficacia giuridica, in Enc. Dir., 1965, 495).

5. La tassazione dell’atto “dichiarativo proprio” (per distinguerlo da quello meramente ricognitivo), contemplata dall’art. 3 della tariffa, parte prima, in misura proporzionale, ma più tenue rispetto a quella prevista dall’art. 9 della stessa tariffa per gli atti a contenuto patrimoniale “innominati”, sembra quindi giustificata per la presenza di alcune, ma non tutte, le caratteristiche che la dottrina ha individuato come proprie di questi ultimi ( Contrino, Gli atti “innominati” a contenuto patrimoniale nell’imposizione di registro: profili ricostruttivi, in Riv. dir. trib., 2019, 2, I, 187). Tra di esse, infatti, risulterebbe certamente presente quella di non essere espressamente considerati in specifiche disposizioni. Difetterebbe invece la capacità di provocare una modificazione nella sfera patrimoniale dei soggetti coinvolti, misurabile in termini economici, connotazione riferita al “contenuto patrimoniale” dell’atto (A. Contrino, op. ult. cit., 187). Il dubbio rimarrebbe, quindi, sull’ultima caratteristica, quella di essere “diretti alla realizzazione di un interesse finale”, aspetto qui di maggiore interesse. Infatti, ove la ricognizione fosse in grado di procurare un vantaggio sostanziale al creditore (ad esempio, come indicato, conferendo certezza ad una posizione creditoria dubbia), la stessa avrebbe in sé quel quid pluris, rispetto alla situazione originaria, e al mero effetto di “astrazione processuale” della posizione del creditore, che giustificherebbe l’individuazione di una sua “natura dichiarativa”, e quindi l’applicazione dell’imposta proporzionale di cui all’art. 3 della Tariffa, parte prima, (fondata, secondo la richiamata sentenza delle Sezioni Unite, sull’individuazione di “un effetto modificativo di una situazione giuridica obbligatoria preesistente, che assuma rilevanza patrimoniale”).

Applicando i predetti principi, la semplice dichiarazione di voler postergare un credito, resa in favore di differente creditore, non potrebbe mai avere un effetto del tipo appena menzionato. Tale dichiarazione, infatti, non modificherebbe il contenuto del rapporto obbligatorio postergato, per cui in essa non potrebbe individuarsi un effetto dichiarativo propriamente detto, idoneo a giustificare l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale.  

6. La collocazione della dichiarazione in oggetto entro un atto a cui il creditore non partecipa viene inoltre evidenziata nell’ordinanza in commento ad un ulteriore fine, ossia per farne discendere l’impossibilità di fare applicazione della disciplina dell’enunciazione.

L’art. 22 del D.P.R. n. 131/1986 (su cui, in generale, A. Pischetola, Enunciazione di atti non registrati, sub. Art. 22, D.P.R. n. 131/1986, in A. Fedele-G.Mariconda-V. Mastroiacovo (a cura di), Codice delle leggi tributarie, Assago, 2014, 125 e ss.), espressamente, limita la possibilità di applicare l’imposta alle “disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene l’enunciazione”. Sembra già difficile ipotizzare in quale atto, necessariamente estraneo a quello sottoposto a registrazione, dovrebbe intendersi compiuta la ricognizione di debito che i Giudici di appello avevano considerato enunciata. La stessa enunciazione, ove effettivamente configurabile, sarebbe inoltre contenuta in un atto stipulato tra parti diverse rispetto a quelle che dovrebbero essere autore e destinatario della ricognizione. La necessità che i soggetti dell’atto con cui è compiuta l’enunciazione coincidano con gli attori di quello enunciato non ha rilievo unicamente formale, ma assume un fondamento sostanziale. Perché l’enunciazione possa giovare alle parti, infatti, è necessario che il rapporto che viene in luce sia compiutamente individuato in tutti i suoi elementi, giacché è solo così che si giustifica la tassazione dell’atto enunciato in misura corrispondente a quella che si sarebbe dovuta applicare in sede di sua registrazione (A. Uckmar, La legge del registro, III, Padova, 1958, 470 e A. Berliri, Le imposte di bollo e di registro, Milano, 1970, 142, i quali osservano che il riferimento all’atto dovrebbe essere così preciso che la fattispecie enunciata possa essere registrata come atto a sé), posto che l’enunciazione non dovrebbe fornire soltanto la prova di tale rapporto, ma varrebbe a costituirne finanche il titolo (cfr. A. Busani, La “enunciazione” di atti scritti e contratti verbali, in Dir. Prat. Trib., 2019, 1391).

Anche ammettendo, quindi, che l’atto di mutuo registrato menzionasse una ricognizione di debito, quest’ultima non avrebbe comunque potuto essere considerata “enunciata” in quanto, necessariamente, sarebbe intervenuta tra soggetti diversi rispetto alle parti dell’atto che l’avrebbe contenuta.

7. In conclusione, l’ordinanza commentata appare pienamente condivisibile, e apprezzabile per gli aspetti che è intervenuta a chiarire. La mera menzione del debito all’interno di un atto di finanziamento con un nuovo creditore non può essere infatti configurata come ricognizione di debito, quantomeno ai fini dell’imposta di registro. Una simile dichiarazione presuppone e certamente contiene l’assunto che il debito verso i soci sia effettivamente esistente. Tuttavia, per come tale conferma viene resa, difetta in essa qualsiasi effetto, volontario o meno, di intervenire su quel rapporto giuridico preesistente, che permane identico in tutti i suoi elementi, ma anche di sciogliere, in confronto del creditore, eventuali aspetti dubbi, rendendo impossibile attribuire alla disposizione anche una “natura dichiarativa”, nel senso chiarito.

La stessa menzione del debito preesistente, peraltro, viene resa all’interno di un atto al quale i creditori astrattamente “riconosciuti” neppure partecipano, sicché non potrebbe mai considerarsi una ricognizione resa “in favore” di essi. In più, la diversità tra le parti dell’atto in ipotesi enunciato, e di quello in cui l’enunciazione sarebbe contenuta, determina l’assenza dell’utilità che la ricognizione dell’atto di cui si assume l’omessa registrazione avrebbe potuto rappresentare.