Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

21/02/2023 - TARI ridotta e condizioni di fruibilità del beneficio

argomento: IRAP e tributi locali - Giurisprudenza

La Corte di Cassazione ribadisce il principio secondo cui, qualora il Comune abbia istituito e attivato il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti nella zona in cui è sito l’immobile del contribuente e quest’ultimo abbia provveduto a smaltire i rifiuti autonomamente, il tributo è ugualmente dovuto essendo finalizzato a soddisfare le esigenze generali della collettività. Tuttavia, pur incombendo sull’ente impositore l’onere di fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, il contribuente può beneficiare del diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile, dimostrando la sussistenza delle relative condizioni.

» visualizza: il documento (Corte di Cass., ord. 6 luglio 2022, n. 21335) scarica file

PAROLE CHIAVE: tassa sui rifiuti - interesse collettivo - utenze non domestiche - TARI


di Francesco Garganese

1. L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 21335/2022 offre interessanti spunti di riflessione in merito alla natura giuridica della TARI nonché alle sue dinamiche attuative con specifico riferimento all’onere della prova incombente sulle parti dell’obbligazione tributaria: quello riferibile all’ente impositore, concernente la sussistenza del presupposto applicativo del tributo, e quello del contribuente, relativo alle condizioni di fruizione della riduzione ovvero dell’esenzione dall’obbligo di pagamento.

La vicenda esaminata dal Supremo Collegio scaturiva dall’impugnazione di un avviso di pagamento emesso, ai fini della TARI, dal Comune di Nola per l’anno 2015 nei confronti di una impresa esercente attività industriale all’interno dell’interporto campano. In ragione della circostanza che in detto circoscritto ambito territoriale i rifiuti non venivano raccolti per il tramite del servizio attivato dall’Amministrazione comunale, la contribuente aveva impugnato l’atto impositivo, adducendo il proprio diritto ad usufruire del beneficio dell’esenzione, avendo per l’appunto affidato ad una società privata il servizio di raccolta dei propri rifiuti.

Nei gradi di merito, la domanda della società contribuente veniva accolta solo parzialmente sicché l’impresa obbligata, all’esito del giudizio di appello, veniva vedersi ridurre il tributo al 40% dell’importo liquidato con l’atto impositivo. Avverso la sentenza di secondo grado proponeva ricorso per cassazione il Comune di Nola a cui resisteva l’impresa contribuente.

Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte ha confermato la decisione di appello, ribadendo alcuni importanti principi, già enunciati in passato, relativi al presupposto imponibile del tributo e alle condizioni di fruibilità da parte del contribuente del diritto alla riduzione dell’obbligazione tributaria.

2. Ai sensi dell’art. 1, comma 641, della L. 27 dicembre 2013, n. 147, il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani (per un esame in chiave evolutiva dell’imposizione scaturente dall’attivazione del servizio di raccolta e gestione dei rifiuti, si veda Alfano, Tributi ambientali. Profili interni ed europei, Torino, 2012, 295; G. Lorenzon, La tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, in A. Amatucci (a cura di), Trattato di diritto tributario, IV, Padova, 1994, 535; A. Poddighe, La giurisdizione tributaria e l’evoluzione della tassa sulla gestione dei rifiuti solidi urbani, in Riv. dir. trib., 2003, 517; A. Uricchio, La trasformazione della tassa sui rifiuti in tariffa del decreto “Ronchi”, in Boll. trib., 2005, 205; G. Girelli, La liquidazione dei tributi destinati a finanziare la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, in Riv. dir. trib., 2014, I, 555; M. Marangio Mauro, I tributi comunali e provinciali, in G. Tinelli (a cura di), Istituzioni di diritto tributario. Il sistema dei tributi, Padova, 2022, 372). Stante il dettato normativo, il presupposto del tributo non è l’effettiva produzione dei rifiuti, bensì la potenziale attitudine del singolo utente, che possiede ovvero occupa l’immobile, a produrre rifiuti. Tanto è vero che, anche nell’ipotesi di immobile inutilizzato, dunque di fatto inidoneo a produrre rifiuti, il tributo risulta comunque dovuto laddove siano ravvisabili le condizioni (presuntive) di astratta attitudine a produrre rifiuti, solitamente indicate dai comuni con proprio regolamento.

L’onere di dimostrare l’insorgenza del presupposto impositivo, così come anche ribadito dalla Suprema Corte nella ordinanza che si commenta, incombe sull’ente impositore ogniqualvolta il soggetto passivo ometta di dichiarare le circostanze che legittimano il prelievo sull’immobile ovvero ne dichiari l’inapplicabilità al proprio caso (inizio, variazione o cessazione dell’utenza). In tal caso, il comune è tenuto a dare prova del fatto costitutivo dell’obbligazione tributaria, dimostrando semplicemente che l’immobile posseduto o detenuto dal privato ricada nella zona urbana in cui sia stato istituito ed attivato il servizio di raccolta dei rifiuti. Tale dimostrazione è infatti sufficiente a far presumere un beneficio in favore del possessore/utilizzatore dell’immobile a seguito dell’attivazione del servizio da parte della pubblica amministrazione.

Tanto è vero che, laddove l’immobile ricada nella zona urbana ove è attivo il servizio di raccolta dei rifiuti, il tributo è dovuto, sebbene in misura ridotta, persino in caso di mancato svolgimento del servizio (cfr. art. 1, commi 656 e 657, L. n. 147/2013) ovvero qualora il soggetto passivo si sia attivato per gestire autonomamente lo smaltimento dei propri rifiuti (cfr. art. 1, comma 649, L. n. 147/2013), a prescindere dalle ragioni che hanno determinato la gestione diretta di essi da parte dell’utente.

La debenza del tributo – seppur in misura ridotta – anche in caso di omesso svolgimento del servizio da parte del comune ovvero di smaltimento autonomo dei rifiuti si giustifica con la finalità di soddisfacimento di un interesse collettivo perseguito dall’ente impositore con il relativo gettito piuttosto che di finanziamento delle prestazioni riferibili ai singoli utenti (cfr. Cass. civ., Sez. V., 11 maggio 2018, n. 11451 e Cass. civ., Sez. V, 13 luglio 2020, n. 14907). In altri termini, il soggetto passivo è tenuto a versare il tributo in relazione all’espletamento del sevizio pubblico di pulizia e smaltimento reso in favore della collettività e non già in relazione all’effettivo beneficio fruito singolarmente. Non a caso, il tributo relativo al servizio di raccolta dei rifiuti, come evidenziato in alcune occasioni dalla Suprema Corte, indipendentemente dal nomen iuris, è caratterizzato da una evidente struttura autoritativa e non sinallagmatica della prestazione, con la conseguente doverosità di quest’ultima che assume un’impronta pubblicistica (cfr. Cass. civ., Sez. V, 28 marzo 2018, n. 7647; Cass, civ., Sez. V, 26 gennaio 2018, n. 1981; Cass. civ., Sez. V, 14 luglio 2017, n. 17493). Ed è proprio in ragione di tale natura che, tra le componenti di costo del servizio trasferite sulle utenze per il tramite dell’obbligazione tributaria, il legislatore ha espressamente incluso anche gli eventuali mancati ricavi relativi a crediti risultati inesigibili (cfr. art. 1, comma 654-bis, L. n. 147/2013) con riferimento alla tariffa di igiene ambientale (c.d. TIA1), alla tariffa integrata ambientale (c.d. TIA 2), nonché al tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES). Trattasi, evidentemente, di una parte della prestazione tributaria imposta del tutto scollegata dal servizio di raccolta dei rifiuti reso in favore del singolo utente che, pertanto, è obbligato a corrispondere il tributo anche a prescindere dell’effettivo beneficio che egli individualmente può conseguire.

3. Oltre a ribadire il principio per cui il tributo è dovuto a prescindere da un effettivo beneficio che individualmente può conseguire il soggetto passivo nonché quello per cui incombe sull’ente impositore l’onere di dimostrare la fonte dell’obbligazione tributaria – ossia la collocazione dell’immobile nel territorio urbano ove è attivo il servizio di raccolta dei rifiuti – l’ordinanza che si commenta si sofferma ad analizzare anche le condizioni di fruibilità del beneficio di corrispondere il tributo in misura ridotta. A tal fine, per quanto qui di interesse, la Suprema Corte ha ribadito un orientamento espresso in precedenti occasioni (cfr. Cass. civ., Sez. V, 22 settembre 2017, n. 22130 e Cass. civ., Sez. V, 15 maggio 2019, n. 12979), affermando che grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare del diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile o, addirittura, l’esenzione dal tributo, costituendo questa un’eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale ove è attivo il servizio (il tema delle agevolazioni in materia di imposizione sui rifiuti speciali è stato approfondito, seppur in regime di vigenza della Tarsu, da Giovanardi, La definizione delle aree tassabili ai fini della Tarsu: esclusione o esenzione delle superfici produttive di rifiuti speciali?, in Fin. loc., 2006, n. 3, 51).

In effetti, tale regola vige ogniqualvolta il contribuente intenda fruire di una agevolazione, conformemente anche a quanto sancito dal legislatore, ai sensi dell’art. 2697 c.c., in tema di onere della prova, secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

Al riguardo, trattandosi di tributo quantificato secondo logiche presuntive, il contribuente potrebbe dimostrare che il proprio immobile, pur ricadendo nel contesto territoriale urbano in cui è attivo il servizio comunale di raccolta dei rifiuti, sia oggettivamente inidoneo a produrre i rifiuti. La condizione di oggettiva inidoneità dell’immobile a produrre rifiuti non ricorre, però, nel caso di mera inutilizzabilità del cespite da parte del titolare (qualunque sia la ragione), bensì solo qualora, neanche in via presuntiva, sia possibile ipotizzare una qualsivoglia idoneità oggettiva del bene a produrre rifiuti. È il caso di locali o aree inagibili, impraticabili o in stato di abbandono tale da non consentirne l’utilizzo umano.

Ebbene, facendo applicazione al caso di specie del principio citato, la Suprema Corte ha giudicato corretta la sentenza di appello nel punto in cui aveva ritenuto dovuto il tributo in misura ridotta (al 40%) in ragione della prova, fornita dalla società contribuente, del mancato svolgimento del servizio di raccolta rifiuti da parte del comune all’interno del luogo in cui essa materialmente operava (l’interporto campano) e del conseguente necessario affidamento, da parte della medesima contribuente, del servizio per la raccolta dei propri rifiuti ad un soggetto terzo privato.

Tale conclusione è coerente con la previsione normativa, di cui all’art. 1, comma 657, della L. 27 dicembre 2013, n. 147, che prevede espressamente come nelle zone urbane in cui non è effettuata la raccolta, la TARI è pur sempre dovuta in misura non superiore al 40 per cento della tariffa applicabile alle utenze; tariffa che, peraltro, deve essere determinata in relazione alla distanza dell’immobile tassato rispetto al più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita. Trattasi di una previsione normativa che recepisce l’affermazione dell’interesse collettivo, a cui prima si è fatto riferimento, insito nella ratio applicativa del tributo e che prevede, come meglio si vedrà nel prosieguo, che la c.d. quota fissa del tributo sia in ogni caso dovuta dal soggetto privato.

4. Un ulteriore interessante spunto di riflessione viene infine offerto dalla Suprema Corte nella ordinanza che si annota relativamente alla possibilità per il contribuente di invocare nel processo tributario, ai fini della TARI, il giudicato esterno formatosi con riferimento alle modalità di espletamento del servizio di raccolta dei rifiuti nell’ambito di un differente giudizio che lo ha riguardato.

Invero, da quanto è dato di evincersi dalla descrizione della fattispecie riportata nella ordinanza n. 21335/2022, in sede processuale, la società contribuente aveva invocato l’applicabilità del giudicato, formatosi tra le medesime parti, concernente le modalità di espletamento del servizio di raccolta dei rifiuti da parte del Comune di Nola e la percentuale di riduzione del tributo accertata da altro giudice di merito con riferimento ad un periodo d’imposta (2014) antecedente a quello oggetto del giudizio di legittimità (2015). In particolare, nell’ottica della società contribuente, l’accertamento compiuto con sentenza non più contestabile da parte del giudice tributario avrebbe dovuto esplicare i propri effetti anche con riferimento all’annualità successiva oggetto di sindacato da parte della Corte di cassazione.

Pronunciandosi anche su tale eccezione di parte contribuente, il Supremo Collegio ha ritenuto però non estendibile al caso di specie l’accertamento compiuto dal giudice di merito, per una annualità antecedente a quella in contestazione, con riferimento alle modalità di espletamento del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti ed alla percentuale di riduzione del tributo applicabile in favore del soggetto passivo.

La ragione che ha indotto la Suprema Corte a ritenere non estendibile al caso di specie il giudicato esterno formatosi con riferimento ad una annualità antecedente risiede nell’oggetto dell’accertamento eseguito in sede di merito con riferimento al rapporto controverso. Difatti, sebbene tale accertamento fosse stato compiuto tra le medesime parti e con riferimento alla stessa materia del contendere (debenza della TARI in caso di autonomo smaltimento dei rifiuti da parte dell’utente), ad avviso della Suprema Corte, esso non investe un elemento costitutivo della fattispecie a carattere stabile, ossia tendenzialmente permanente e comune ai vari periodi d’imposta.

Invero, le modalità di espletamento del servizio di raccolta dei rifiuti non integrano un elemento c.d. statico dell’obbligazione tributaria, bensì circostanze mutevoli nel tempo che possono incidere a livello “dinamico” solo sul quantum del tributo con conseguenze in termini di riduzione percentuale dell’obbligazione tributaria. Tuttavia, proprio perché variabili nel tempo, esse richiedono una verifica periodica ed un accertamento per ciascun periodo d’imposta da parte del giudice tributario. Si pensi, ad esempio, proprio alle modalità di espletamento del servizio di raccolta dei rifiuti che da un anno all’altro il Comune potrebbe modificare a seguito del termine dell’appalto con il soggetto gestore, alla classificazione delle utenze, alla variazione dei criteri di commisurazione del tributo ed alle sue componenti di costo nonché a nuove forme di agevolazione che potrebbero essere previste su base regolamentare. Trattasi di profili pertinenti la quantificazione dinamica del tributo i quali, appunto perché potenzialmente mutevoli nel tempo, non possono costituire, quand’anche accertati con sentenza passata in giudicato, un vincolo per il giudice ai fini dell’accertamento in punto di merito delle annualità successive.

Anche da questo punto di vista, l’ordinanza in commento risulta condivisibile e, peraltro, in linea con il consolidamento orientamento delle Sezioni Unite (cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 16 giugno 2006, n. 13916) secondo cui in relazione ai tributi c.d. periodici, tra cui si può senz’altro annoverare la tassa sui rifiuti, l’effetto vincolante del giudicato esterno è limitato ai soli casi in cui vengano in esame circostanze di fatto aventi, per previsione legislativa, efficacia permanente o pluriennale (principio, poi, ribadito anche da Cass. civ., Sez. V, 11 marzo 2015, n. 4832 e, più recentemente, in materia di TARSU, da Cass. civ., Sez. V, 7 luglio 2022, n. 21555). Tali sono quelle che producono effetti per un arco di tempo comprendente più periodi d’imposta ed in cui la pluriennalità costituisce un elemento caratterizzante della fattispecie normativa che si traduce in una sorta di “maxiperiodo”.

Traslando il menzionato principio al tema delle agevolazioni tributarie, qui di specifico interesse, il giudicato esterno potrebbe assumere efficacia vincolante solo con riferimento a quelle fattispecie, espressamente previste dal legislatore in maniera immodificabile, relative ad esenzioni o agevolazioni pluriennali, alla diluzione in più anni dell’ammortamento di un bene o, in generale, alla deducibilità di una spesa. Al contrario, ragionando nell’ottica del caso di specie, appare evidente come la richiesta di esenzione ovvero riduzione del tributo si riferisca ad una fattispecie agevolativa che non assume stabilità pluriennale su base normativa, ma le cui condizioni di fruibilità possono variare di anno in anno richiedendo, in quanto tali, il puntuale accertamento periodico della relativa sussistenza.

5. L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 21335/2022 risulta condivisibile nelle conclusioni rassegnate sia in punto di onere della prova a carico del contribuente, ai fini dell’applicazione della TARI in misura ridotta, sia in punto di giudicato esterno, formatosi per un precedente periodo d’imposta tra le medesime parti processuali, con riferimento alle modalità applicative del tributo.

Rispetto al contenuto del pronunciamento di legittimità qui in commento, in tema di riduzione della TARI per le utenze non domestiche, è utile aggiungere che la disciplina tributaria attualmente vigente non sembra coerente con le modifiche apportate, più recentemente, dal legislatore al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. Testo Unico Ambientale). Invero, con l’entrata in vigore del D.Lgs. 3 settembre 2020, n. 116 (Decreto emanato in attuazione della Direttiva (UE) 2018/851, che modifica la Direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti, e della Direttiva (UE) 2018/852, che modifica la Direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio), il legislatore ha revisionato la disciplina relativa alla gestione dei rifiuti, ridefinendo la nozione di rifiuti urbani; questi ultimi ricomprendono ora anche diverse tipologie di rifiuti differenziati ovvero indifferenziati provenienti dalle utenze non domestiche che in passato venivano classificati come assimilabili ai rifiuti urbani (cfr. art. 183 TUA). In pratica, è stata eliminata la categoria intermedia dei rifiuti assimilabili a quelli urbani, potendosi oggi distinguere solo tra rifiuti urbani e speciali. All’eliminazione della nozione dei rifiuti assimilabili agli urbani è conseguita anche l’eliminazione del potere regolamentare dei comuni di poter classificare autonomamente in questa categoria molti rifiuti prodotti dalle imprese commerciali (es. alberghi, centri commerciali, attività artigianali, etc.).

Per di più, novellando gli articoli 198 e 238 del TUA, il legislatore ha ulteriormente previsto, da una parte, che le utenze non domestiche possono conferire al di fuori del servizio pubblico di raccolta i propri rifiuti urbani (previa dimostrazione di averli avviati  al  recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto privato che effettua l’attività di  recupero dei rifiuti stessi) e, dall’altra, che in tale ipotesi (dimostrazione del conferimento e del recupero dei rifiuti al di fuori del servizio pubblico) le utenze non domestiche sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria c.d. variabile rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti (resta, quindi, in ogni caso dovuta la componente c.d. fissa del tributo correlata al finanziamento del servizio reso collettivamente alle utenze).

Ebbene, le modifiche apportate dal legislatore al D.Lgs. n. 152/2006 esplicano inevitabilmente i propri effetti anche ai fini tributari giacché il TUA, differentemente da quanto tutt’ora previsto dall’art. 1, comma 649, della L. n. 147/2013, non prevede la possibilità per i comuni di classificare come assimilabili ai rifiuti urbani quelli prodotti dalle utenze non domestiche (che come detto sono oggi in buon numero espressamente classificati dal legislatore ambientale come urbani) e di poter stabilire al riguardo riduzioni su base regolamentare. Invero, la ratio normativa delle modifiche apportate agli articoli 183, 198 e 238 del TUA risiede nella evidente esigenza di omogenizzare sul territorio nazionale la definizione e la classificazione dei rifiuti urbani, impedendo così differenziazioni su base locale, ma anche di riconoscere per legge, e non per mera volontà dei singoli comuni, il diritto delle utenze non domestiche di ottenere riduzioni sul tributo previa dimostrazione dello smaltimento in proprio e del relativo recupero dei rifiuti prodotti.

Sennonché tale nuova disciplina si pone appunto in conflitto con l’art. 1, comma 649, della L. n. 147/2013, che ancora oggi relega alla facoltà dei comuni di disciplinare con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati (categoria come detto non più esistente) che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati. In altri termini, mentre la disciplina del D.Lgs. n. 152/2006 dispone con fonte primaria riduzioni alla parte variabile del tributo, la L. n. 147/2013, oltre a richiamare la definizione di rifiuto “assimilabile” non più prevista dalla legge, condiziona ancora la possibilità della riduzione della TARI alla emanazione di un regolamento comunale (fonte secondaria). Tale incongruenza normativa potrebbe generare distonie di sistema laddove i comuni, ai fini tributari, continuassero a regolamentare autonomamente, in spregio alle disposizioni del TUA, fattispecie rese ormai omogenee dal legislatore, prevedendo regimi impositivi differenti a seconda della tipologia di rifiuto non domestico e del contesto territoriale di competenza; il tutto con inevitabili conseguenze anche in ottica di incremento del contenzioso tributario.

In attesa, pertanto, che il legislatore intervenga per adeguare ai dettami del novellato TUA l’art. 1, comma 649, della L. n. 147/2013, non resta che far ricorso alle ordinarie regole risolutive delle antinomie tra le norme che se da una parte potrebbero generalmente indurre l’interprete ad applicare la norma speciale tributaria, dall’altra, dovrebbero invece fargli prediligere la norma ambientale, avendo quest’ultima valenza classificatoria della fattispecie sostanziale su cui si innesta la disposizione di diritto tributario, ma anche perché la nuova classificazione dei rifiuti urbani contenuta nel D.Lgs. n. 152/2006, oltre ad essere successiva rispetto a quella presa in considerazione dal legislatore tributario, risulta altresì attuativa di direttive eurounitarie che, in quanto tali, impongono coerenza anche ai fini dell’imposizione fiscale.