argomento: IVA -
Giurisprudenza
La ordinanza affronta il regime della responsabilità delle società partecipanti ad una scissione in ambito IVA applicando il medesimo regime previsto in tema di imposte sui redditi dall’art. 173 del TUIR.
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il documento (Corte di Cass., ord. 7 aprile 2022, n. 15686)

PAROLE CHIAVE: scissione -
iva -
responsabilità a fronte di debiti tributari -
supersolidarietà
di Marco Di Siena
- La pronunzia in commento suscita un certo interesse per più ragioni. Il tema affrontato può apparire in prima istanza usurato vertendosi in un caso di responsabilità della società beneficiaria di una scissione parziale a fronte dei debiti tributari della entità scissa; una responsabilità che viene configurata dalla Suprema Corte senza limitazioni quantitative e ciò secondo il noto schema della cosiddetta supersolidarietà derogatoria della disciplina generale dettata dall’art. 2506-quater, comma 4, c.c. il quale prevede invece un limite commisurato alla quota di patrimonio netto effettivo conseguito nel contesto dell’operazione. Ma v’è un profilo di novità che ne rappresenta il vero motivo di interesse della pronunzia: nel caso in esame, infatti, il thema decidendum era rappresentato da un’ipotesi di responsabilità a fronte di debiti IVA della scissa e la soluzione elaborata dai Supremi giudici ha dovuto confrontarsi con l’art. 16, comma 12, della L. 537/93 secondo cui “(…) In caso di scissione totale non comportante trasferimento di aziende o complessi aziendali, gli obblighi ed i diritti derivanti dall'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto per le operazioni effettuate dalla società scissa, compresi quelli relativi alla presentazione della dichiarazione annuale della società scissa e al versamento dell'imposta che ne risulta, devono essere adempiuti, con responsabilità solidale delle altre società beneficiarie, o possono essere esercitati dalla società beneficiaria appositamente designata nell'atto di scissione; in mancanza si considera designata la beneficiaria nominata per prima nell'atto di scissione”. Il caso specifico riguardava un accertamento in materia IVA relativo ad un periodo d’imposta anteriore all’efficacia di una scissione parziale ed in particolare la responsabilità di una beneficiaria a cui non era stato attribuito un compendio ex art. 2555 c.c. ma un mero complesso di elementi patrimoniali non organizzato in forma di azienda. Nelle fasi di merito la beneficiaria aveva eccepito che quanto all’IVA non sussiste una forma di responsabilità solidale illimitata tout court ma trova applicazione la disciplina di diritto comune. Tale prospettazione, condivisa dalla Commissione Tributaria Regionale, non è stata giudicata corretta dalla Corte di Cassazione la quale ha negato che la responsabilità solidale illimitata della beneficiaria per i debiti IVA della scissa sia riscontrabile nel solo caso di scissione totale senza trasferimento di azienda. In altri termini, ad avviso dei giudici di legittimità, non vi sarebbe alcuna differenza fra il regime di solidarietà illimitata della beneficiaria a fronte dei debiti della scissa in materia di imposte dirette (il richiamato fenomeno della cosiddetta supersolidarietà prescritto dall’art. 173 del TUIR ed oggetto della nota sentenza n. 90/2018 della Corte costituzionale) – da un lato - e la responsabilità per i debiti IVA della medesima scissa – dall’altro lato – (MELIS – MONTANARI, Sulla responsabilità nelle operazioni di scissione parziale (nota a Corte cost., 26 aprile 2018, n. 90), in trib., 2018, p. 699 ss.). Così come, sotto altro profilo, non vi sarebbe alcuna distinzione in termini di responsabilità ai fini IVA delle società partecipanti ad una scissione a seconda che la stessa sia totale ovvero parziale. Nel formulare la tesi dell’esistenza di un paradigma unico di responsabilità ultra vires in materia tributaria, i supremi giudici hanno sviluppato un iter argomentativo che: i) richiama la disciplina di cui all’art. 173, commi 12 e 13 del TUIR (in tema di imposizione sui redditi) e dell’art. 15 del D.Lgs. 472/97 (in materia di sanzioni amministrative tributarie); ii) rinvia (più volte) alla sentenza n. 90/2018 della Corte costituzionale la quale ha confermato la legittimità del regime di responsabilità in materia di imposizione diretta che privilegia la posizione speciale del Fisco in qualità di creditore involontario rispetto a quella degli altri creditori sociali della scissa; iii) considera sostanzialmente irrilevante dal punto di vista sistematico la carenza di una disciplina compiuta in materia di IVA rinviando a taluni propri precedenti specifici in materia; iv) evoca la coerenza della soluzione concreta prefigurata menzionando giurisprudenza euro-unitaria in tema di scissione (DI SIENA, La corte costituzionale ed il regime della responsabilità fiscale in caso di scissione: la specialità della materia preserva lo status quo, in Riv. trim. dir. trib., 2018, p. 417 ss.).
- A bene considerare, l’interpretazione sviluppata dalla Corte di Cassazione appare tanto granitica prima facie quanto non del tutto solida se analizzata in dettaglio. In prima istanza, infatti, desta perplessità il nucleo sostanziale della tesi dei giudici di legittimità: vale a dire l’affermata esistenza di una disciplina sostanzialmente unitaria e speciale in ambito tributario della responsabilità delle società partecipanti all’operazione di scissione. Veri e propri indizi circa l’esistenza di un paradigma generale di supersolidarietà in ambito IVA, infatti, non sono rinvenibili nell’art. 16 della L. 537/93. L’elaborazione (o meglio l’affermata esistenza di un principio generale di responsabilità fiscale ultra vires applicabile anche ai fini IVA per ogni tipologia di scissione), pertanto, costituisce un’affermazione del tutto metanormativa e che non convince. La Corte di legittimità ha palesemente trascurato il fatto che in ambito IVA non è identificabile una disciplina compiuta della sorte dei debiti tributari della scissa (sul regime ai fini dell’imposizione sui redditi, invece, DI SIENA, La scissione di società, in AA.VV. (a cura di E. Della Valle – V. Ficari – G. Marini). Torino, 2009, p. 168). L’unica disposizione che affronta ex professo il tema è il richiamato art. 16, comma 12, della L. 537/93 che sembra sì deporre per una ipotesi di supersolidarietà ma limitatamente al solo “(…) caso di scissione totale non comportante trasferimento di aziende o complessi aziendali”. Nulla si dice, perciò, circa l’ipotesi della scissione parziale ed anche in relazione alla scissione totale si detta una regola (quella che parrebbe la solidarietà ultra vires evocata dalla Suprema Corte) nella sola ipotesi in cui l’operazione riguardi singoli cespiti e non un compendio aziendale. In un’ottica IVA, pertanto, tanto la scissione parziale quanto la scissione totale (che comporti l’attribuzione di un’azienda ex art. 2555 c.c.) costituiscono fattispecie del tutto sprovviste di una disciplina positiva. E così non parrebbe che vi sia alcuna ambiguità sul fatto che il menzionato art. 16, comma 12, della L. 537/93 si limita a disciplinare la scissione totale (e non quindi quella parziale) e soltanto allorquando non vi sia trasferimento di un complesso ex art. 2555 c.c.. Per il resto v’è, quindi, un totale silenzio normativo. Un vacuum che, ad avviso della Suprema Corte, sarebbe solo apparente perché troverebbe applicazione un paradigma tributario di ordine generale (nella sua specialità derogatoria della disciplina di diritto comune), vale a dire la supersolidarietà. Il perché di questa peculiare forma di eterointegrazione dell’assetto IVA, tuttavia, non viene in alcun modo esplicitato da parte della Corte di Cassazione la quale si rifugia (senza però dirlo in maniera esplicita) in una applicazione (di fatto) analogica della disciplina in materia di imposizione sui redditi di cui viene più volte richiamata la legittimità sulla scorta della sentenza n. 90/2018 della Corte costituzionale. L’enfasi sul precedente di giurisprudenza costituzionale, tuttavia, tende a dire più di quanto effettivamente possa e costituisce un argomento palesemente overriding. Molti, infatti, sono i profili che non persuadono. Nella decisione in commento si trascura in particolare di apprezzare che: i) l’assetto dettato a livello generale (ma ai soli fini dell’imposizione sui redditi) dall’art. 173, comma 13, del TUIR è speciale rispetto alla regola di diritto comune fissata dall’art. 2506-quater, comma 4, del c.; ii) la normativa IVA (id est il menzionato art. 16 della L. 537/93) replica esplicitamente lo schema della disposizione del TUIR in casi limitati (per la precisione in ipotesi di scissione totale che non comporti il trasferimento di un’azienda) senza dire alcunché con riguardo ad ogni altra ipotesi; iii) in carenza di una disciplina speciale dovrebbe trovare sicura applicazione la regola di diritto comune (e non un’altra regola speciale come quella desumibile dall’art. 173 del TUIR salvo trasformare quest’ultima, ma in via del tutto metanormativa, nella regolamentazione generale del fenomeno per l’intero ordinamento tributario). Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il percorso illustrativo sviluppato dalla Suprema Corte appare claudicante. La lunga digressione sulla (peraltro controversa) legittimità costituzionale della supersolidarietà desunta dall’art. 173, comma 13, del TUIR – infatti – funge quasi da diversivo argomentativo ma non affronta il punto centrale della vicenda: vale a dire se in carenza di una regolamentazione ad hoc, sia legittimo disapplicare le regole di diritto comune (id est l’art. 2506-quater, comma 4, c.c.) per dare vita ad una disciplina speciale di matrice sostanzialmente analogica. Rispetto a questo nucleo concettuale le argomentazioni sviluppate nella pronunzia in commento appaiono abbastanza evanescenti. È come se i giudici di legittimità – premessa la coerenza costituzionale della disciplina (eccezionale) della responsabilità ultra vires in materia di imposizione diretta – ne diano quasi per scontata la vis espansiva in ogni altro comparto dell’ordinamento tributario e ciò a prescindere dalle previsioni normative e, soprattutto, senza attribuire alcun rilievo alla regola generale. In realtà, ciò che viene considerato scontato dai supremi giudici non lo è affatto ed è oggettivamente difficile comprendere le ragioni dell’affermata recessività delle previsioni di diritto comune rispetto ad un regime di carattere eccezionale (come è quello dettato in parte qua dall’art. 173, comma 13, del TUIR). In altri termini l’operazione condotta dalla Suprema Corte nella pronunzia in commento è assai peculiare: si attribuisce priorità ad un’interpretazione di stampo sostanzialmente analogico (l’applicazione ai fini IVA della supersolidarietà sancita ai fini dell’imposizione sui redditi), trascurandone il carattere eccezionale (e perciò, in astratto, di stretta interpretazione) e di fatto si finisce per eludere ogni profilo in tema di potenziale tensione dialettica con il principio di riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.. Nonostante ciò, tuttavia, la soluzione è prospettata dalla Corte di cassazione come pressoché naturale perché supportata dalle considerazioni della Corte costituzionale. I Supremi giudici, però, omettono di rammentare che le riflessioni (controverse) declinate dalla Consulta nella richiamata sentenza n. 90/2018 si limitano a giustificare la legittimità della specifica disciplina desumibile dall’art. 173 del TUIR ma non si spingono a tracciare lo statuto generale della responsabilità delle società partecipanti alla scissione a fronte di crediti di natura fiscale (in generale sulla giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità da scissione MONTANARI, La responsabilità tributaria nelle operazioni di scissione parziale: la deriva della Suprema Corte verso la salvaguardia della ragion fiscale, in Riv. dir. trib., 2018, II, p. 4 ss.).
- Né gli ulteriori argomenti con cui la Corte di Cassazione ha confezionato il proprio percorso argomentativo appaiono effettivamente dirimenti. Non lo sono in prima istanza i precedenti giurisprudenziali menzionati e che si riferiscono esplicitamente alla materia IVA (vale a dire le pronunzie di legittimità n. 20826/2020 e la 21016/2020). Se si esaminano le motivazioni di tali decisioni, infatti, è agevole apprezzare come dalle stesse non emerga mai la ratio sottesa all’affermata applicazione in ambito IVA di una disciplina analoga a quella fissata in tema di imposizione sui redditi (e ciò in deroga al regime civilistico elaborato dall’art. 2506-quaterc.). In queste sentenze la supersolidarietà anche in ambito IVA costituisce un dato a cui prestare acquiescenza senza interrogarsi. Né lo stesso rinvio alla disciplina ed alla giurisprudenza di matrice eurounitaria – pure speso ad adiuvandum dalla Suprema Corte – risulta realmente decisivo per attribuire solidità argomentativa alla conclusione elaborata. In particolare il precedente citato (CGUE 30 gennaio 2020, causa C-394/18) non fornisce alcun reale spunto nel senso fatto proprio dalla Corte di legittimità nella pronunzia in commento. In tale sentenza, infatti, la CGUE ha sancito il principio in forza del quale non sarebbe incoerente con la disciplina unionale un regime di responsabilità in cui le beneficiarie rispondano dei debiti della scissa (anteriori all’efficacia dell’operazione) anche in misura superiore all’attivo netto ricevuto nel contesto dell’operazione. Si tratterebbe, quindi, dell’affermazione della legittimità (comunitaria) dell’istituto della supersolidarietà. Il punto è che la citazione giurisprudenziale non è in terminis. La CGUE, infatti, si è espressa – peraltro in maniera incidentale - sulla disciplina comunitaria di matrice societaria (recte civilistica) della scissione e non quindi in materia tributaria. Non è tutto. La disciplina societaria di matrice comunitaria oggetto della pronunzia della CGUE citata nell’ordinanza in commento è esattamente quella sulla cui base è stato elaborato – a livello nazionale - l’assetto attualmente declinato nelle disposizioni del codice civile, ivi incluso il vigente art. 2506-quater, comma 4, c.c.. Ciò significa che l’opzione che il legislatore italiano ha traslato effettivamente nell’ordinamento nazionale è di segno antitetico al principio della responsabilità senza limitazioni patrocinato (anche in ambito IVA) dalla pronunzia in commento. L’efficacia persuasiva della specifica considerazione della CGUE pertanto - se ben collocata dal punto di vista sistematico - si diluisce a tal punto da risultare pressoché irrilevante (se non contraddittoria). La menzione giurisprudenziale comunitaria resta cioè un argomento un po’ fuori luogo, solo apparentemente persuasivo; una sorta di patina che concorre ad attribuire (per così dire) glamour argomentativo ma non coglie affatto nel segno e non spiega realmente.
- La decisione commentata in questa sede rappresenta un’ulteriore occasione in cui ha preso corpo quella che in dottrina è stata definita come la cultura del sospetto sottesa ad una certa giurisprudenza della Corte di Cassazione. Sembra che nei giudici di legittimità, a fronte di un’operazione straordinaria, si ingeneri in modo quasi meccanico il timore di una potenziale lesione delle prerogative erariali; di qui la formulazione di tesi di natura ultra-rigorista e l’elaborazione di una giurisprudenza sbilanciata pro Fisco (talmente timorosa della patologia da dare vita ad una sorta di solipsismo tributario ossia ad un assetto in cui le regole di diritto comune vengono derogate – in ragione di una presunta specialità della materia tributaria – per dare vita ad un assetto autoreferenziale). Ebbene l’ordinanza analizzata esemplifica bene questo fenomeno. La regola di responsabilità di diritto comune è stata rifiutata (quasi) istintivamente e ciò previa evocazione della specialità dei crediti tributari (un principio sacralizzato dalle argomentazioni tratte dalla discutibile pronunzia n. 90/2018 della Corte costituzionale). La realtà, tuttavia, è differente e più semplice di quanto prefigurato dalla Corte di legittimità. Differente perché gli argomenti impiegati per legittimare la supersolidarietà (anche) in ambito IVA – ad un’analisi attenta – si mostrano abbastanza decontestualizzati, una vera propria patina di suggestività che tuttavia lascia intravedere evidenti forzature concettuali. Ma la realtà giuridica di riferimento – se si vuole – è anche più semplice. Esiste una disciplina di diritto comune che – salvo eccezioni rispettose del principio di legalità – dovrebbero trovare applicazione anche in ambito fiscale. La Suprema Corte, invece, continua a giudicare in una prospettiva emergenziale ed intrisa di specialità. Si allontana così il perseguimento di quell’obiettivo di normalizzazione ed uniformità che potrebbe fare del diritto tributario un ordinario comparto dell’ordinamento giuridico e non una monade caratterizzata da regole di cui si stenta (talvolta) ad individuare il fil rouge. Un auspicio o forse solo un’illusione? Il futuro del diritto vivente ce lo dirà e sarà uno dei banchi di prova su cui sarà chiamata a misurarsi la sezione specializzata della Corte di Cassazione introdotta dal recentissimo provvedimento di riforma della giustizia tributaria.