Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

23/12/2022 - RELAZIONE - Alcune brevi riflessioni su destinazioni di quote d’imposta e credito d’imposta in favore del patrimonio culturale

argomento: Agevolazioni - Legislazione e prassi

Il credito d’imposta introdotto con l’Art bonus valorizza ancor di più le preferenze individuali, rispetto alle destinazioni dell’otto e cinque per mille, incentivando, al contempo, la concorrenza tra enti e progetti per accaparrarsi un potenziale finanziamento privato sostenuto dal credito di imposta. Tuttavia, i dati pubblici disponibili sull’efficienza dello strumento, non sono del tutto trasparenti.

PAROLE CHIAVE: patrimonio culturale - quote di imposta - credito di imposta - art bonus - trasparenza


di Amedeo Di Maio, Giuseppe Lucio Gaeta

  1. Nel pensiero economico oggi dominante l’operato di ogni attore è riconducibile a un problema di massimizzazione di un’eterea utilità, sotto il vincolo delle risorse scarse disponibili, dimenticando, forse, che ricerca dell’utile può rendere inutile la vita, come segnalava Giacomo Leopardi in un suo famoso testo del 1831 (Stolta, che l’util chiede,/ e inutile la vita/quindi più sempre divenir non vede”, Leopardi, Il pensiero dominante, 1831). In questo approccio, il Laissez-faire garantirebbe il raggiungimento di condizioni ottime e alla finanza pubblica si riconosce il compito residuale di correggere i pochi fallimenti del mercato che pregiudicherebbero la menzionata efficienza. Applicando i ragionamenti oggi dominanti al settore genericamente definito della cultura, sembra discendere che dal lato dell’offerta debbano esistere azioni pubbliche di tutela e gestione dei beni culturali, intese come strumentali alla valorizzazione, e cioè alla definizione del valore che a questi beni può riconoscersi. In questo quadro gioca un ruolo rilevante l’incentivo ai privati a contribuire finanziariamente alla realizzazione di queste attività.

Ci riferiamo, per esempio, ai cosiddetti otto per mille e cinque per mille - che permettono al contribuente di destinare una piccola parte dell’imposta dovuta a un obiettivo specifico - e al credito d’imposta Art bonus, che intende incentivare le erogazioni liberali in favore del patrimonio culturale. Si tratta di strumenti ovviamente diversi, ognuno con le proprie specificità. Tuttavia ci sembra utile considerarli insieme, in questa breve riflessione, per svolgere alcune considerazioni sul ruolo che le preferenze individuali dei contribuenti possono giocare nel finanziamento delle attività menzionate.

Come è noto, la normativa in vigore stabilisce che una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche possa essere destinata, al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi, a una confessione religiosa o allo Stato (cfr. DPR n.76 del 1998 e successive riformulazioni). In mancanza di esplicita scelta, l'otto per mille viene comunque attribuito in maniera proporzionale alle scelte espresse. I contribuenti che scelgono di destinare le risorse allo Stato possono indicare una finalità d’uso e gli interventi ammessi alla ripartizione della quota destinata alla diretta gestione statale includono quelli volti al restauro, alla valorizzazione, alla fruibilità da parte del pubblico di beni immobili di valore storico-architettonico. Inizialmente, le risorse in tal modo raccolte a favore del patrimonio culturale venivano ripartite secondo un criterio geografico, finalizzato a una equa distribuzione territoriale tra Nord-ovest, Nord-est, Centro, Sud e Isole. Tuttavia, a partire dal 2016 e per dieci anni la destinazione del gettito verso il patrimonio culturale è stata invece rivolta agli interventi di ricostruzione e di restauro dei beni danneggiati o distrutti a seguito degli eventi sismici verificatisi, con epicentro in Amatrice, nell’ agosto 2016 (cfr. D.L. n. 8/2017). L'assegnazione delle risorse a specifiche destinazioni è realizzata attraverso una procedura che prevede la domanda da parte di soggetti potenzialmente beneficiari. I progetti da costoro presentati sono valutati da apposite commissioni tecniche il cui lavoro informa le scelte della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Le risorse raccolte attraverso l’otto per mille vengono decurtate da numerose disposizioni legislative vigenti, che ne hanno disposto la destinazione ad altre finalità. I dati suggeriscono che nel 2002 i finanziamenti complessivamente disponibili grazie all’otto per mille fossero, eliminando dal computo quanto viene destinato alle confessioni religiose, pari a circa 100 milioni di euro, di cui 68 destinati ai beni culturali (Fonte: https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01208886.pdf [ultimo accesso effettuato il 15 ottobre 2022]). A partire da quel momento i finanziamenti sono stati ridotti, perché le risorse indicate dai contribuenti per i beni culturali sono state destinate al miglioramento dei saldi di finanza pubblica. Nel 2006 e nel 2008 i finanziamenti effettivamente assegnati ai beni culturali sono addirittura risultati pari a zero. Le risorse dell’otto per mille sono state poi integralmente ripristinate a decorrere dal 2010, quando raggiunsero ammontare complessivo pari a circa 144 milioni di euro (di cui circa 100 assegnate ai beni culturali). Negli anni successivi, tuttavia, sono state autorizzate ulteriori consistenti riduzioni dello stanziamento disponibile, tanto che negli anni 2011, 2012 e 2015 non si è neppure proceduto al riparto. Nel 2019 la quota ripartita è stata pari a complessivi 48 milioni di euro, di cui 10 destinati ai beni culturali.

 

 

  1. Il caso del 5 per mille presenta alcune similitudini ma anche sostanziali differenze. Come è noto, la norma stabilisce che il contribuente possa destinare il cinque per mille dell’imposta sui redditi delle persone fisiche a uno specifico ente che svolga una delle finalità meritevoli di supporto (Legge 266 del 2005 e successiva Legge 194/2014 che ne ha stabilizzato il funzionamento sino a quel momento rinnovato di anno in anno). Tra queste finalità si annovera, dal 2011, la tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici (cfr. Decreto-Legge 6 luglio 2011, n.98 – vedi art. 23 comma 46.). La scelta del contribuente interessato ai beni culturali può quindi riguardare uno dei potenziali beneficiari indicati in un lungo elenco costituito dal Ministero della Cultura. Il Presidente del Consiglio dei Ministri stabilisce, su proposta del Ministro per la Cultura, le modalità attraverso cui i soggetti interessati a ricevere in finanziamenti possono presentare domanda ed essere ammessi al riparto delle risorse (Tutte le informazioni sono disponibili al link https://www.beniculturali.it/5x1000 [ultimo accesso effettuato il 15 ottobre 2022]). Le risorse complessivamente rese disponibili dal 5 per mille erano pari a circa 400 milioni di euro nel 2007. Dal 2014 la legge n. 190/2014 ha stabilito in 500 milioni di euro annui l'importo massimo destinato alla liquidazione della quota del 5 per mille. In altri termini, la scelta di destinazione del contribuente concorre proporzionalmente a determinare l'entità spettante a ciascun beneficiario, entro il tetto legislativamente autorizzato.

 

  1. Anche alla luce di questa sintetica illustrazione, è del tutto evidente che gli strumenti dell’otto e del cinque per mille presentano alcuni tratti in comune. Quello maggiormente significativo è che in entrambi i casi la scelta effettuata dal contribuente non comporta nessuna maggiorazione d’imposta. L’otto e il cinque per mille sono, infatti, quote prelevate dall’imposta che verrebbe comunque pagata. Nella prospettiva del contribuente, quindi, non vi sono costi effettivi ed è quindi rispettato il principio di neutralità, valevole per tutti i cosiddetti tassati… e tartassati. È indiscutibile però che esista una non neutralità (politica, tra i cittadini, indipendentemente dalla singola capacità contributiva), che appare evidente quando riflettiamo sull’esistenza dei non contribuenti, tali perché ufficialmente non percepiscono reddito o comunque non superiore a quello esente da IRPEF. A costoro, poiché non contribuenti, non si consente di esprimere preferenze di destinazione della spesa pubblica. Per quanto l’ammontare delle risorse da destinare appaia complessivamente piuttosto ridotto, questa circostanza pare collegabile al passato, a prima del 1912, quando alcuni avevano diritto a esprimere le proprie preferenze (al voto) solo se si versava un’imposta diretta minima.

A distinguere i due strumenti è, ovviamente, il ruolo giocato dalle preferenze individuali e dalle scelte statuali. Nel caso dell’otto per mille le preferenze dei contribuenti rilevano nel determinare il campo di attività cui destinare le risorse (gli interventi volti al restauro, alla valorizzazione, alla fruibilità da parte del pubblico di beni immobili di valore storico-architettonico) ma non sono considerate nella definizione degli specifici enti e progetti beneficiari. Lo Stato, insomma, conserva il ruolo di dittatore benevolo, potenzialmente in grado di scegliere la migliore specifica allocazione delle risorse disponibili. Come è stato ricordato, lo Stato aveva fissato un criterio di riparto delle risorse per area geografica, per impedire la concentrazione in alcune aree del paese (discutibile perché le aree sono eterogenee in termini di presenza, importanza e condizioni materiali del patrimonio culturale). Questo criterio, come si è detto, è stato sostituito dalla concentrazione dei finanziamenti sull’area colpita dal terremoto di Amatrice del 2016. In alcuni anni si è addirittura giunti alla scelta “estrema” di distogliere le risorse dall’uso che i cittadini avevano prestabilito, dedicando i finanziamenti raccolti con l’otto per mille all’obiettivo di miglioramento dei saldi di finanza pubblica.

Questa impostazione appare “mitigata” nel caso del cinque per mille, in cui ai cittadini è garantita la possibilità di individuare enti specifici cui dedicare le risorse, pur in un quadro in cui esiste un tetto massimo ai finanziamenti raccoglibili, e una sorta di preselezione dei potenziali beneficiari sulla base di alcuni criteri. In questo caso, tuttavia, il ruolo dele preferenze individuali è decisamente più centrale. Da un lato, questo disegno comporta benefici che consistono nel contenimento dei rischi connessi ai fallimenti dello stato e nella potenziale destinazione della spesa agli usi che la collettività ritiene più efficienti. Dall’altro è inevitabile che questi benefici potrebbero essere di poco conto a fronte dei rischi che si annidano nei fallimenti del mercato. Oltretutto, la competizione tra gli enti potenzialmente beneficiari crea un mercato in cui crescenti risorse sono potenzialmente distratte dal prioritario obiettivo della gestione dei beni culturali in favore di attività di comunicazione che intendono fidelizzare nuovi potenziali “donatori”.

 

  1. Per certi versi, il credito d’imposta introdotto con l’Art bonus valorizza ancor di più le preferenze individuali, incentivando, al contempo, la concorrenza tra enti e progetti per accaparrarsi un potenziale finanziamento privato sostenuto dal credito di imposta. Senza entrare troppo nello specifico, l’Art bonus consente un credito di imposta, pari al 65% dell’importo donato, a chi effettua erogazioni liberali a sostegno del patrimonio culturale pubblico italiano, escludendo - in maniera a nostro avviso discutibile - quello privato anche se gestito in modo da garantire accesso e fruibilità da parte dei cittadini . Con l’Art Bonus, dunque, è il contribuente a stabilire in prima persona quale sia il patrimonio immobiliare pubblico avente valenza culturale che è meritevole d proprio finanziamento. Al contribuente, inoltre, è richiesto di palesare una propria disponibilità a pagare (nella forma della parte della erogazione liberale che non è incentivata) quasi come se ciò permettesse di rilevare l’intensità delle sue preferenze per il bene in questione. Quali sono gli esiti che si osservano in questa sorta di mercato in cui i donatori agiscono allocando le proprie erogazioni liberali parzialmente finanziate dallo Stato? Qualche informazione ce la forniscono i dati pubblicati nel sito ufficiale dell’Art bonus ( https://artbonus.gov.it) . Negli anni del suo funzionamento, la misura ha finanziato quasi duemila interventi di interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici (interventi chiamati di tipo A, su patrimonio immobiliare pubblico avente valenza culturale), cui si aggiungono circa tremila interventi di sostegno a istituzioni e luoghi della cultura pubblica, fondazioni lirico sinfoniche, teatri di tradizione e altri enti dello spettacolo (interventi di tipo B) e, infine, 3052 interventi di realizzazione, restauro e potenziamento di strutture di enti e istituzioni pubbliche dello spettacolo (interventi di tipo C).

Il sito dell’Art bonus presenta una lunghissima lista di siti culturali e progetti, inseriti dai cittadini e dai loro gestori, che ambiscono a ricevere donazioni.  Esaminando la lista, si scopre che circa il 30% degli interventi proposti non beneficiato di alcuna erogazione liberale. Per un altro 30% circa (cifra calcolata in linea di massima), l’erogazione liberale ricevuta non supera i 1.000 euro. Al crescere dell’entità della donazione ricevuta, la percentuale di interventi si riduce progressivamente, fino a raggiungere la percentuale minima (0,61%) nella classe di erogazioni compresa tra i 7 e i 153 milioni di euro.

L’ammontare più alto riguarda il Teatro La Scala di Milano e altri noti teatri si situano tra i primi 20 beneficiati. Per far riferimento ai “luoghi della cultura”, osserviamo che tra i maggiori beneficiati vi è un ex monastero di Cremona (18 mln), un complesso monumentale a Venezia e un altro “ricreativo” a Milano.

I dati, insomma, suggeriscono che circa il 65% degli interventi proposti negli ultimi 9 anni, non riceva erogazioni liberali o comunque non superi i 1000 euro di erogazioni ricevute. Per questi siti e progetti, dunque, non v’è disponibilità a pagare, pur con la possibilità di fruire di un credito di imposta. La disponibilità a pagare si concentra, in effetti, su un numero di beni culturali piuttosto ridotto rispetto all’universo possibile e pare premiare soprattutto teatri e/o istituzioni volti all’attività artistica (categorie B e C di potenziali beneficiari).

 

  1. Possiamo ritenere che i contribuenti siano in grado di scegliere considerando appieno il valore culturale dei beni per cui hanno donato? In realtà esiste il sospetto che una fetta rilevante dei fruitori del patrimonio culturale sia probabilmente interessata a visite veloci ai luoghi indicati dalle guide (Per esempio, Ercolano et al. (2018) dimostrano che una buona fetta dei visitatori delle aree archeologiche vesuviane sia motivata da ricerca di intrattenimento e non dalla volontà di acculturazione. Vedi Ercolano, S., Gaeta, G. L., & Parenti, B. (2018). Pompeii dilemma: A motivation‐based analysis of tourists' preference for “superstar” archaeological attractors or less renowned archaeological sites in the Vesuvius area. International Journal of Tourism Research, 20(3), 345-354), a emozioni semplici e “a comando”. Invece, come sottolineava Claire (Clair J. (2011), L’inverno della cultura, Skira, Milano), l’ex direttore del Museo Picasso di Parigi, l’opera d’arte e il bene culturale non possiede alcuna proprietà miracolosa che lascia folgorato il visitatore ma è, piuttosto, sintesi della cultura che l’ha prodotto. Senza la capacità di comprendere quella cultura, appare difficile che la fruizione dei beni culturali possa dispiegare appieno i propri effetti positivi andando ben oltre le note esternalità che si collegano al turismo. Non abbiamo strumenti per dire che chi oggi dona non sia mosso dalle più nobili motivazioni, però il rischio appare fondato e, soprattutto, la concentrazione dei finanziamenti non può che suggerire che in non pochi casi, merit goods (Musgrave, R. A. (1987). Merit goods. In J. Eatwell, M. Milgate, & P. Newman (Eds.), The New Palgrave Dictionary Of Economics (1st ed., pp. 1958–1960). Basingstoke: Palgrave) restino fuori dal novero dei siti e dei progetti finanziati. Insomma, questo approccio al disegno degli strumenti che abbiamo richiamato ci pare foriero di quelle che a inizio ‘900 lo studioso di Scienza delle finanze, Amilcare Puviani, definiva illusioni finanziarie (Puviani, A. [1903] 1973. Teoria della Illusions Finanziaria. Reprint, Milano: Ised).