Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

03/11/2022 - Questioni in punto di riproponibilità dell’istanza di rimborso dopo l’emissione di un diniego espresso resosi definitivo per mancata impugnazione

argomento: Attuazione del tributo - Giurisprudenza

La sentenza in commento affronta il caso di un contribuente che, a fronte dell’emissione di un diniego espresso di rimborso, poi divenuto definitivo per mancata impugnazione, decideva di notificare all’Amministrazione una nuova istanza di rimborso. In particolare, la Corte si sofferma su due distinti profili: il primo attiene all’impugnabilità dell’atto emesso in riscontro alla seconda istanza di rimborso con cui l’Amministrazione finanziaria ha confermato il proprio precedente diniego; il secondo attiene alla possibilità di qualificare tale atto alla stregua di un (nuovo) «rifiuto espresso» di rimborso.

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PAROLE CHIAVE: azioni di rimborso - diniego espresso - istanza di riesame


di Giovanni Consolo

1. La sentenza in epigrafe afferma un principio di grande interesse in relazione al caso particolare di un contribuente che, a fronte dell’emissione di un diniego espresso di rimborso, poi divenuto definitivo per mancata impugnazione, decideva di notificare all’Amministrazione una nuova istanza di rimborso.

La fattispecie vagliata è, in particolare, la seguente.

Nel luglio 2013, l’Amministrazione finanziaria emetteva un diniego espresso di rimborso in relazione ad un’istanza presentata da una società lussemburghese.

Scaduti i termini per impugnare il diniego, la società presentava una seconda istanza di rimborso, fondata su documenti precedentemente non sottoposti al vaglio del competente Ufficio.

In riscontro a tale, seconda istanza di rimborso, l’Amministrazione notificava alla contribuente un nuovo atto che – secondo quanto risulta dalla sentenza in epigrafe – “conteneva una valutazione di merito della seconda istanza di rimborso presentata dalla società contribuente e, pur reiterando le motivazioni del primo provvedimento di diniego, una puntuale motivazione circa i motivi di rigetto della seconda istanza”.

La società impugnava tempestivamente quest’ultimo provvedimento quale diniego espresso di rimborso ex art. 19, comma 1, lett. g), D.Lgs. n. 546/1992, ma il ricorso veniva dichiarato inammissibile in entrambi i gradi di merito sul presupposto che, per non perdere il proprio diritto al rimborso, la società avrebbe necessariamente dovuto impugnare il primo diniego nel termine ordinario di decadenza.

Nel giudizio di legittimità promosso dalla società, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di appello scolpendo il seguente principio di diritto: “Nel giudizio tributario, costituisce atto autonomamente impugnabile, ai sensi dell'art.19 d.lgs. 31 dicembre 1992 n.546, il diniego di rimborso che non sia meramente confermativo di un precedente provvedimento di diniego, ma pervenga ad una conferma delle determinazioni già assunte a seguito di un supplemento istruttorio e contenga un’autonoma rivalutazione dell’istanza originaria, sulla base di un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata; ricorre invece un atto meramente confermativo, non autonomamente impugnabile, quando l'amministrazione, a fronte di un’istanza di riesame, si limiti a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione”.

2. Come si può notare, la pronuncia affronta due distinte questioni.

La prima attiene all’impugnabilità dei provvedimenti con cui l’Amministrazione finanziaria, in seguito ad apposita istanza del contribuente, conferma un proprio precedente diniego di rimborso divenuto definitivo per mancata impugnazione.

In merito, la Suprema Corte richiama la distinzione, propria del diritto amministrativo, tra “atti meramente confermativi” e “provvedimenti confermativi”.

Con la prima etichetta si designano gli atti con cui l’Amministrazione, senza aprire un nuovo procedimento, si limita a ribadire l’assenza di ragioni per ritornare su proprie decisioni, manifestando dunque la volontà di non sottoporre a riesame il precedente provvedimento. Con la seconda, invece, si indicano usualmente provvedimenti di secondo grado con cui l’Amministrazione riapre un procedimento, ripercorre l’iter formativo della decisione e conclude nel senso della piena validità del proprio precedente provvedimento (cfr. Villata, Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, 621 ss.).

Tale distinzione è, invero, rilevante perché, mentre il provvedimento di conferma è un atto impugnabile, l’atto meramente confermativo non è suscettibile di impugnazione, in quanto non contiene una autonoma determinazione provvedimentale, ma una mera manifestazione della volontà dell’Amministrazione di non ritornare su scelte già effettuate [in tale senso v. anche Chieppa, Provvedimenti di secondo grado (dir. amm.), in Enc. Dir., Annali, II, Milano, 2008, par. 19, secondo cui “la distinzione tra i due provvedimenti riguarda, principalmente, le loro conseguenze sul piano processuale].

Orbene, secondo la Corte: (i) nei casi in cui l’atto sopravvenuto al diniego espresso sia qualificabile alla stregua di un “provvedimento confermativo”, il contribuente può impugnare tale atto nonostante l’intervenuta definitività del primo diniego; (ii) nei casi in cui, invece, l’atto sopravvenuto sia qualificabile alla stregua di un “atto meramente confermativo”, la definitività del primo diniego comporta l’inammissibilità dell’impugnazione avverso l’atto confermativo successivo.

Sotto questo profilo, il principio di diritto fissato dalla Corte è condivisibile: il richiamo alla distinzione tra “provvedimenti confermativi” e “atti meramente confermativi” in relazione al caso in esame è, infatti, volta a soddisfare un’“esigenza pratica” del tutto collimante a quella per cui tale dicotomia è comparsa nel diritto amministrativo.

In specie, nel diritto amministrativo la distinzione tra “conferma propria” e “conferma impropria” nasce dall’“esigenza pratica” di impedire la sistematica elusione dell’inoppugnabilità di un provvedimento amministrativo quando “un privato che si ritenga leso dal provvedimento, perduto il termine per il possibile ricorso, tenti di recuperarlo proponendo domanda di riesame del provvedimento, onde poter poi impugnare il provvedimento di conferma” (così Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1993, 562-563) e si pone proprio con riguardo ad atti emessi in risposta (i) ad una specifica istanza del privato, (ii) con cui viene segnalata la presunta invalidità di un provvedimento già emanato, che (iii) non è stato impugnato e per il quale è già scaduto il termine di impugnazione. 

  1. Al riguardo è tuttavia necessaria una precisazione.

Come si dirà meglio infra nel successivo paragrafo, il richiamo compiuto dalla Suprema Corte alla distinzione tra “atti meramente confermativi” e “provvedimenti confermativi” sembra postulare, a monte, che la posizione del contribuente nelle azioni contro dinieghi espressi di rimborso assuma tutte le caratteristiche dell’interesse legittimo orientato in senso pretensivo e, a valle, che il diniego di rimborso abbia natura provvedimentale, ossia che il rifiuto incide sul rapporto sostanziale di rimborso di guisa che la sua mancata impugnazione comporti, sul piano sostanziale, l’irripetibilità del versato (su tale impostazione teorica, Glendi, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984, passim, e Basilavecchia, La funzione impositiva e forme di tutela, Torino, 2013, 158).

L’impostazione seguita dalla Suprema Corte non può, per contro, essere condivisibile laddove si segua la diversa tesi secondo cui il legislatore, nell’incanalare le azioni di rimborso nei moduli del processo di impugnazione, avrebbe operato una forzatura dello schema impugnatorio, in quanto il ricorso avverso il rifiuto, più che all’annullamento di un provvedimento reiettivo, sarebbe volto all’accertamento del diritto di credito del contribuente e all’eventuale condanna al rimborso dell’Amministrazione [questa impostazione è, oggi, del tutto maggioritaria in dottrina, riscontrandosi su tale specifico punto una sostanziale convergenza – salvo le autorevoli eccezioni già rilevate – tra i sostenitori della teoria costitutivista e i sostenitori della teoria dichiarativista; cfr., senza alcuna pretesa di completezza: Tesauro, Manuale di diritto tributario, Torino, 2017, 98; Falsitta, Corso istituzionale di diritto tributario, Milano, 2020, 615; Russo, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2013, 137; Gallo, Il silenzio nel diritto tributario, in Riv. dir. fin., 1983, 81 ss. e spec. 87, nota 8; Fregni, voce Rimborso dei tributi, in Dig. disc. priv., sez. comm., vol. XII, Torino, 1996, 510-511; Tabet, Le azioni di rimborso, in AA.VV., Il processo tributario, collana Giurisprudenza di diritto tributario, diretta da Tesauro, Torino, 1998, 412-413].

Invero, la tesi secondo cui “l’eliminazione delle decisioni negative espresse in materia di rimborso rappresenta un capo di pronuncia meramente strumentale rispetto all’accertamento del rapporto”, sembrerebbe comportare – ancorché la conclusione non sia affatto pacifica – che “l’attività dell’Amministrazione in sede di decisioni sul diritto al rimborso non è attività impositiva o provvedimentale in senso stretto” (cfr. Tabet, loc. ult. cit. e, con riferimento al previgente art. 16, d.P.R. n. 636/1972, chiosa, con la consueta lucidità, Tesauro, Profili sistematici del processo tributario, Padova, 1980, 133, che “tale atto, altro non è se non un atto con cui l’amministrazione adempie l’obbligazione di rimborso, nei modi voluti dalla «procedimentalizzazione giuscontabilistica della spesa». Lo studio del tipo di azione che il cittadino esercita quando impugna il rifiuto o il silenzio va dunque condotto tenendo presente l’anomalia di una impugnazione che non si rivolge contro un provvedimento”).

4. La seconda questione attiene alla possibilità di qualificare il “provvedimento confermativo” di un diniego espresso di rimborso alla stregua di un (nuovo) «rifiuto espresso (…) della restituzione di tributi» ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. g), D.Lgs. n. 546/1992.

Con riferimento a tale questione, la Suprema Corte non sembra mostrare alcuna perplessità. Nella sentenza, infatti, si legge che “Nel giudizio tributario, costituisce atto autonomamente impugnabile, ai sensi dell'art.19 d.lgs. 31 dicembre 1992 n.546, il diniego di rimborso che non sia meramente confermativo di un precedente provvedimento di diniego”.

La soluzione raggiunta dalla Corte su questa seconda questione non è, tuttavia, così scontata come sembrerebbe dalla recisa affermazione sopra riportata.

Come accennato nel precedente paragrafo, il richiamo alla disciplina in materia di “atti meramente confermativi” e “provvedimenti confermativi” presuppone, inevitabilmente, che il diniego espresso di rimborso abbia natura provvedimentale (nel senso che, se non tempestivamente impugnato, preclude definitivamente la restituzione di quanto indebitamente versato). Invero, ove si escludesse che il diniego espresso di rimborso abbia sostanza provvedimentale non potrebbe concepirsi l’esistenza di un “provvedimento confermativo”, in quanto non è evidentemente possibile configurare un provvedimento di secondo grado confermativo di un mero atto o di un mero presupposto processuale per l’instaurazione di un giudizio di indebito.

Dalla natura provvedimentale del diniego espresso di rimborso dovrebbe dunque conseguire l’impossibilità di riproporre l’istanza di rimborso una volta notificato il rifiuto (v., in tale senso, Glendi, op. cit., 325, nota 228), in quanto l’effetto tipico del diniego dovrebbe essere proprio quello della non restituibilità del versato, salvo che il contribuente intraprenda con successo un’azione di annullamento del diniego-provvedimento entro il termine ordinario di decadenza.

In altri termini, la natura provvedimentale del diniego espresso di rimborso dovrebbe comportare che, nell’ipotesi di mancata impugnativa del rifiuto, non vi possa essere mezzo di tutela ulteriore rispetto alla proposizione di un’istanza di riesame in autotutela.

Ora, se si accoglie l’impostazione seguita dalla Suprema Corte nella pronuncia in commento, e si attribuisce al diniego espresso di rimborso natura provvedimentale, sorge l’interrogativo se l’impugnazione di un “provvedimento confermativo” di un diniego espresso dia luogo – come sembrerebbe suggerire la Corte – a una vera e propria azione di rimborso oppure a un mero sindacato sulla legittimità del rifiuto dell’amministrazione ad annullare il diniego, da cui possa poi eventualmente scaturire una reviviscenza del dovere di riesame e di pronuncia.

A sostegno di quest’ultima soluzione sembrerebbe orientare l’elaborazione giurisprudenziale in tema di impugnazione dei dinieghi di autotutela, secondo cui: (i) se, da un lato, l’ammissibilità del ricorso va stabilita alla luce della distinzione tra “provvedimenti confermativi” e “atti meramente confermativi”, nel senso che l’impugnazione è ammissibile solo se il diniego segua una nuova attività istruttoria o, comunque, un riesame dei profili fattuali o giuridici di un atto impositivo, così sostanziandosi in un provvedimento che costituisce nuova imposizione, sostitutiva della precedente (v. supra par. 2); (ii) dall’altro, il sindacato del giudice avverso tali “provvedimenti confermativi” non può estendersi a valutare la fondatezza della pretesa, ma è confinato all’esame della legittimità del diniego dell’amministrazione a procedere all’esercizio del potere di autotutela, non essendo ammissibile la sostituzione del giudice tributario nell’adozione di un atto di autotutela (v., in tale sesso, Tesauro, Manuale del processo tributario, Milano, 2017, 81 – 87).

5. Un’osservazione conclusiva.

Nel paragrafo 3 si è già dato conto del fatto che, tra gli stessi sostenitori della teoria costitutivista, la natura delle azioni avverso i dinieghi espressi di rimborso è diversamente riscostruita.

Segnatamente, secondo una prima impostazione – oggi minoritaria, ma cui sembra aderire, almeno in parte, la Corte nella pronuncia in commento – l’azione avverso il diniego di rimborso si atteggerebbe alla stregua di azione di annullamento di un provvedimento amministrativo che, in caso di accoglimento, può sfociare, quale manifestazione tipica e piena dell’ interesse legittimo pretensivo che ne sta alla base, in una statuizione condannatoria, che null’altro aggiunge alla pronuncia di annullamento dei dinieghi impugnati se non la legittimazione ad accedere al giudizio di ottemperanza per ottenere la soddisfazione dell’interesse legittimo azionato [cfr. Glendi, op. cit., con riguardo tanto alle azioni avverso i dinieghi espressi quanto alle azioni avverso i dinieghi taciti di rimborso; tra gli scritti più recenti del chiaro Autore, v. Id., L’oggetto del processo trent’anni dopo, in Basilavecchia, Comelli (a cura di), Discussioni sull’oggetto del processo tributario, Milano, 2020, 319 ss.; analoga impostazione è seguita, ma solo con riguardo ai giudizi avverso i dinieghi espressi di rimborso, da Basilavecchia, La funzione impositiva e forme di tutela, Torino, 2013, 158, ancorché, a pag. 289, si riconosca che nelle azioni di rimborso sia “utile e frequente che alla domanda di annullamento (…) si accompagni la domanda di condanna dell’amministrazione finanziaria al pagamento”].

Secondo una diversa impostazione, invece, l’azione avverso i dinieghi espressi di rimborso, pur se formalmente di annullamento, verterebbe sull’accertamento di un diritto soggettivo del contribuente, in funzione di condanna dell’Amministrazione, sicché “alla domanda di annullamento del rifiuto deve aggiungersi la domanda di accertamento del credito e di condanna al rimborso” (cfr., per tutti, Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2017, 98).

Se si segue quest’ultima impostazione – che, come prospettato supra, sembrerebbe postulare la natura non provvedimentale dei dinieghi espressi di rimborso – si potrebbe, forse, giungere alla conclusione che, fino all’estinzione del proprio diritto di credito, il contribuente possa sempre riproporre istanza di rimborso, anche dopo l’emissione di un diniego resosi definitivo per mancata impugnazione.

Tale conclusione, tuttavia, farebbe sorgere una rilevante questione: come conciliare un giudizio di impugnazione contro un mero atto con l’esistenza di un termine entro cui agire e questo termine decadenziale con quello di prescrizione cui soggiace il credito di rimborso.

Un punto di partenza per tentare di risolvere tale questione, che richiede una meditazione e approfondimenti non possibili in questa sede, potrebbe certamente essere la soluzione avanzata in costanza della disciplina previgente al D.Lgs. n. 546/1992: “il termine per impugnare (…) il rifiuto è perentorio; decorsi sessanta giorni, il ricorso è tardivo. Ma chi aspira al rimborso può rimettere in moto la procedura di rimborso rinnovando l’istanza: e questa possibilità di rinnovare l’istanza sussiste fino allo spirare del termine di prescrizione. Il congegno, così descritto, è indubbiamente macchinoso. Ma non vedo altro modo di conciliare prescrizione di diritto e decadenza dell’azione tranne quello dell’eliminazione, per incostituzionalità, del termine di decadenza” (così Tesauro, Profili sistematici, op. cit., 139).