Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

06/10/2022 - Buoni ai fini IVA e citycard: la Corte di Giustizia si pronuncia sui buoni multiuso

argomento: IVA - Giurisprudenza

La Corte di Giustizia europea si è pronunciata per la prima volta sulla nuova disciplina dei c.d. voucher ai fini IVA, chiarendo in particolare che la natura di buono corrispettivo multiuso non viene meno anche se l’utilizzatore del buono non ha il tempo di fruire di tutti i differenti servizi/beni a sua disposizione con il voucher. Le conclusioni dell’Avvocato Generale, inoltre, forniscono interessanti spunti di riflessione.

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PAROLE CHIAVE: - imposta sul valore aggiunto - voucher - city card


di Valerio Marziali

1. La direttiva 2016/1065/UE, “recante modifica della direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda il trattamento dei buoni” ha introdotto nella disciplina comunitaria dell’imposta sul valore aggiunto alcune norme specifiche “che si applichino al trattamento dei buoni ai fini dell’IVA”, con l’intento di risolvere il problema di una disciplina non sufficientemente chiara o esaustiva da garantire un trattamento fiscale coerente delle operazioni che comportano l'utilizzo di tali documenti, con conseguenze indesiderabili per il buon funzionamento del mercato interno.

A tal fine, la direttiva 2016/1065/UE ha individuato le caratteristiche essenziali di tali buoni, in particolare “la natura del diritto loro connesso e l’obbligo di accettare tale buono come corrispettivo a fronte di una cessione di beni o di una prestazione di servizi”, ed ha così disposto l’introduzione degli articoli 30 bis, 30 ter, 73 bis, 410 bis e 410 ter nel corpo della direttiva 2006/112/CE.

2. In base all’art. 30 bis, par. 1, della direttiva 2006/112/CE, per buono si intende “uno strumento che contiene l’obbligo di essere accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo a fronte di una cessione di beni o una prestazione di servizi e nel quale i beni o i servizi da cedere o prestare o le identità dei potenziali cedenti o prestatori sono indicati sullo strumento medesimo o nella relativa documentazione, ivi incluse le condizioni generali di utilizzo ad esso relative”. Solo un documento che presenti tali caratteristiche (cumulative, come si illustrerà nel prosieguo) può essere considerato un buono ai fini dell’IVA e solo dopo aver effettuato tale prima ricognizione con esito positivo si potrà distinguere tra buoni “monouso” o “multiuso”. Ai sensi del citato art. 30 bis, par. 2, un buono è considerato monouso se il luogo della cessione dei beni o della prestazione dei servizi cui il buono si riferisce e l’IVA dovuta su tali beni e servizi siano noti al momento dell’emissione del buono stesso; in caso contrario, si tratta di un buono multiuso (cfr. art. 30 bis, par. 3, direttiva 2006/112/CE). Attraverso tale nuova disciplina, così come chiarito nei considerando della direttiva 2016/1065/UE, si mira a “garantire un trattamento uniforme e certo, assicurare la coerenza con i principi di un'imposta generale sui consumi esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi ed evitare incoerenze, distorsioni della concorrenza, la doppia imposizione o la non imposizione e di ridurre il rischio dell'elusione fiscale” (considerando n. 1, direttiva 2016/1065/UE. Per riflessioni sulla direttiva c.d. “voucher” cfr. De Ieso C., La nuova dimensione europea del trattamento IVA per i voucher, in Corriere Tributario, 32-33/2016 e Giorgi, Il sistema dell’IVA e la Direttiva Voucher, in Corriere Tributario, 35/2018).

Gli Stati membri avrebbero dovuto introdurre le disposizioni attuative di questa nuova disciplina entro il 31 dicembre 2018, con decorrenza dal 1° gennaio 2019 (nell’ordinamento italiano tale adattamento è intervenuto in forza del decreto legislativo 29 novembre 2018, n. 141). A distanza di qualche anno dall’introduzione di tali norme nell’ordinamento comunitario, recentemente è stata fornita la prima pronuncia della Corte di giustizia europea sul nuovo impianto normativo.

3. La domanda di pronuncia pregiudiziale rivolta alla Corte riguarda proprio l’interpretazione dell’art. 30 bis della direttiva 2006/112/CE, contenente la definizione di “buono” ai fini dell’IVA, ed è stata presentata nell’ambito di una controversia tra l’Amministrazione tributaria svedese ed un’imprese svedese (la DSAB Destination Stockholm AB, di seguito DSAB). L’attività di quest’ultima consiste nella commercializzazione di una carta (una cosiddetta citycard), oggetto della controversia, che permette ai turisti in visita a Stoccolma di accedere, per una durata limitata di tempo e fino ad un certo importo, ad una serie di attrazioni turistiche nonché a diversi servizi di trasporto e a visite organizzate da altri prestatori. Tali servizi potenzialmente fruibili dai possessori della carta sono soggetti ad IVA ad aliquote differenti e la carta esiste in due differenti versioni che si differenziano per la durata della validità e per il limite di valore. In seguito ad una domanda di parere preliminare su tale carta presentata dalla DSAB, l’Amministrazione tributaria svedese ne aveva escluso la natura di “buono multiuso”, così come è definito dall’art. 30 bis della direttiva 2006/112/CE; tale parere è stato oggetto di ricorso dinnanzi al giudice del rinvio sia da parte della DSAB, sia da parte dell’Amministrazione. In particolare, così come risulta dal testo della sentenza in commento, quest'ultima avrebbe escluso tale natura per il fatto che il documento oggetto della domanda costituirebbe in realtà una carta per il tempo libero, “il cui limite di valore sarebbe molto elevato rispetto alla sua durata di validità, che sarebbe molto breve”; proprio per tale motivo, ha sostenuto l’Amministrazione, un consumatore medio non sarebbe in grado di usufruire di tutte le prestazioni offerte dalla carta e, quindi, lo sconto di cui effettivamente potrebbe beneficiare il titolare della carta dipenderebbe esclusivamente dal grado del suo utilizzo e, di conseguenza, la carta non potrebbe considerarsi come riscattata a fronte di beni e servizi. La DSAB, invece, ha sostenuto che la carta da questa commercializzata rappresenterebbe un buono multiuso ai sensi della norma appena citata. La società sottolinea che i prestatori dei servizi cui potenzialmente permette di accedere la carta sono obbligati ad accettare tale carta “come mezzo di pagamento” (come corrispettivo, n.d.a.), e le condizioni applicabili ai titolari della carta indicano quali servizi possano essere pagati con la stessa. Inoltre, continua la DSAB, i servizi per i quali la carta può essere usata come corrispettivo sono soggetti ad aliquote IVA diverse e, quindi, l’IVA dovuta per le prestazioni scelte dal titolare della carta non è nota al momento dell’emissione della stessa carta.

4. La Corte nella causa, 28 aprile 2022, causa C-637/20 procede innanzitutto a chiarire se la carta in esame sia considerabile un buono (così come definito dalla direttiva 2006/112/CE) o meno e, a tal fine, prende le mosse dalla norma contenuta nell’art. 30 bis – citata supra, punto 2 – contenente la definizione di buono. Un buono deve essere uno strumento che contiene un obbligo di essere accettato come corrispettivo rispetto ad una cessione di beni o una prestazione di servizi e nel quale, inoltre, siano individuate le operazioni sottostanti o le identità dei potenziali cedenti o prestatori. Tali due condizioni – l'obbligo di essere accettato come corrispettivo e la necessaria indicazione dei beni o servizi cui il buono da diritto oppure l’identità dei soggetti cedenti o prestatori – sono cumulative: nella disposizione in esame, infatti, è utilizzata la congiunzione coordinativa “e” (cfr. par. 21 sent. 28 aprile 2022, C-637/20 in commento e par. 41 delle conclusioni dell’Avvocato generale). Sulla base di questa premessa, quindi, la carta in esame è da ricondurre ai buoni appena descritti ed è esclusa la rilevanza della sua durata o della possibilità di fruire effettivamente di tutti i servizi proposti ai fini di tale riconduzione.

5. La Corte, inoltre, coglie l’occasione per chiarire l’errore in cui è incorso il Governo italiano nelle sue osservazioni scritte. In tale documento, infatti, l’emissione della carta oggetto del procedimento sarebbe stata qualificata come una “«fornitura di un servizio unitario», tenuto conto della diversità dei servizi proposti e degli operatori economici terzi che intervengono in qualità di prestatori” (par. 25 della sentenza). Tuttavia, a ben vedere – e come evidenziato anche dalla stessa Corte – una tale qualificazione contrasterebbe con gli obiettivi della normativa relativa ai buoni introdotta con la direttiva 2016/1065/UE: si finirebbe infatti per applicare un’unica aliquota a prestazioni di servizi assoggettate a diverse aliquote IVA o esenti da IVA, con il rischio di realizzare anche ad una doppia imposizione di tali servizi. Dall’esame delle conclusioni dell’Avvocato generale, inoltre, si apprende che il Governo italiano ha sostenuto che la caratteristica essenziale di un buono consisterebbe nel conferimento, al suo titolare, del diritto di ottenere beni o servizi, specificati in quantità e qualità e da fornitori predeterminati. Tuttavia, come osserva l’Avvocato generale, mentre tale caratteristica risultava essenziale nella proposta normativa iniziale (per la quale doveva intendersi buono uno strumento che attribuisce il diritto a beneficiare di una cessione di beni o di una prestazione di servizi; cfr. par. 44 delle conclusioni dell’Avvocato generale), la formulazione finale pone l’accento sull’obbligo per il fornitore di accettare tale buono come corrispettivo.

6. Confermata quindi la natura di buono della citycard oggetto del procedimento, la Corte passa poi all’esame della questione sulla sua natura di buono “multiuso”. L’art. 30 bis, punto 3, della direttiva 2006/112/CE, fornisce una definizione residuale; in effetti, come evidenziato poc’anzi (cfr. supra, punto 2), sono buoni multiuso tutti i buoni diversi dai monouso (per i quali è noto il luogo di effettuazione dell’operazione e l’IVA dovuta al momento di emissione del buono). La carta oggetto del procedimento consente l’accesso a differenti prestazioni di servizi assoggettate a differenti aliquote IVA o esenti da IVA, risultando quindi impossibile determinare in anticipo quali siano le prestazioni scelte dal titolare (ed il relativo trattamento ai fini dell’IVA da applicare a queste). Dall’impossibilità di determinare l’IVA sui servizi che il titolare della carta utilizzerà nel momento dell’emissione della carta deriva l’esclusione di tale documento dalla categoria dei “buoni monouso”, così come definiti dall’art. 30 bis, par. 2, della direttiva 2006/112/CE. Di conseguenza, la carta in esame deve essere considerata come un “buono multiuso” ai sensi dell’art. 30 bis, par. 3, della direttiva 2006/112/CE.

7. Attraverso questa prima pronuncia, quindi, la Corte di giustizia ha avuto modo di iniziare a delineare il perimetro della recente disciplina relativa ai cosiddetti buoni corrispettivo. Per la corretta qualificazione di tali buoni, in particolare, non occorre che il titolare degli stessi debba aver modo di riuscire a fruire di tutti i beni o servizi per i quali tale buono deve essere accettato come corrispettivo, essendo invece sufficiente la potenziale possibilità di fruirne. E proprio tale potenzialità, in realtà, sembra ricollegata alla incertezza relativa al corretto trattamento IVA della singola operazione concreta che giustifica la disciplina in esame.

D’altro canto, una tale impostazione sembra essere stata fatta propria anche dal legislatore nazionale. In attuazione della direttiva 2016/1065/UE, infatti, nel corpo del D.P.R. n. 633/1972 sono stati introdotti gli articoli 6 bis, 6 ter e 6 quater. Attraverso tali disposizioni sembra essere stata data una fedele attuazione alle norme comunitarie. La normativa nazionale fa riferimento ai “buoni corrispettivo” per individuare quegli strumenti che contengono l’obbligo di essere accettati come corrispettivo o parziale corrispettivo a fronte di operazioni rilevanti ai fini IVA indicanti, in particolare, i beni o i servizi da cedere o prestare oppure le identità dei potenziali cedenti o prestatori. Anche gli articoli 6 ter e 6 quater forniscono una definizione di buoni monouso e di buoni multiuso conforme al dettato comunitario. Inoltre, un’interpretazione in linea con obiettivi comunitari sembra anche quella fatta propria dall’Amministrazione nazionale nelle più recenti risposte ad interpello (cfr. risposte ad interpello n. 519 del 2019, n. 592 del 2020, n. 617 del 2020 e n. 512 del 2021). Nella risposta ad interpello n. 617 del 2020, ad esempio, l’Amministrazione ha ribadito gli elementi essenziali di un buono corrispettivo (obbligo di essere accettato dal potenziale fornitore come corrispettivo o parziale corrispettivo dell’operazione sottostante, indicazione dei beni o servizi che è possibile acquistare o dell’identità dei potenziali fornitori) ed ha riaffermato che l’elemento dirimente per distinguere i buoni monouso dai buoni multiuso è “la certezza o meno, già al momento dell’emissione del buono-corrispettivo, del trattamento IVA della cessione di beni o prestazione di servizi che esso incorpora, da intendersi come certezza circa la territorialità dell’operazione, la natura, la qualità e quantità dei beni e servizi, oltre l’IVA applicabile a detti beni e servizi, tutti elementi necessari ai fini della documentazione fiscale dell’operazione”.

Per completezza, inoltre, è il caso di rammentare le diverse conseguenze – ai fini dell’applicazione dell’IVA – che hanno la circolazione dei buoni monouso o dei buoni multiuso, anche alla luce della normativa nazionale di recepimento della direttiva 2016/1065/UE. Il trasferimento di buoni monouso, infatti, ai fini dell’IVA è equiparato alla cessione dei beni o alla prestazione dei servizi per i quali i documenti devono essere accettati come corrispettivo; detto in altri termini, il trasferimento di un buono monouso comporta l’effettuazione dell’operazione rilevante ai fini IVA per la quale quel buono dovrebbe essere accettato come corrispettivo (cfr. art. 30 ter, direttiva 2006/112/CE e art. 6 ter, comma 2, D.P.R. n. 633/1972). Al contrario, fino alla “consegna fisica del bene” o della “concreta prestazione del servizio” per il quale il buono multiuso deve essere accettato come corrispettivo, i precedenti trasferimenti di tali documenti non soggetti ad IVA (cfr. art. 30 ter, par. 2, direttiva 2006/112/CE ed art. 6 quater, comma 2, D.P.R. n. 633/1972). In tal modo si conferma il principio consolidato in ambito comunitario per il quale non possono essere assoggettati ad IVA gli acconti versati per beni o servizi non ancora chiaramente individuati; affinché l’IVA risulti esigibile, infatti, devono essere noti gli elementi “pertinenti del fatto generatore, ossia la della futura cessione dei beni o della futura prestazione di servizi” e dunque che i beni o i servizi siano designati con precisioni (cfr. Cesati S. e Zondini F., Al traguardo le regole UE sui “voucher”, in L’IVA, n. 11-12/2016, i quali con riferimento a tali assunti citano alcune pronunce della Corte di Giustizia: sentenza 21 febbraio 2006, causa C-419/02, sentenza 9 ottobre 2001, causa C-108/99, sentenza 16 dicembre 2010, causa C-270/09).

8. Si segnalano, infine, alcune interessanti considerazioni effettuate dall’Avvocato generale nelle sue conclusioni. Innanzitutto, oltre a sviluppare riflessioni sulla base imponibile dei trasferimenti dei buoni e sulla loro circolazione, l’Avvocato generale Tamara Ćapeta osserva che dall’esame della direttiva 2016/1065/UE sembra possibile escludere la natura eccezionale della disciplina relativa ai buoni (e quindi anche la necessaria interpretazione in senso restrittivo), potendosi al contrario concludere che la nuova normativa mirava a “chiarire ciò che il trattamento «ordinario» esistente già richiede quando si applica ai buoni” (cfr. par. 35 e ss. delle conclusioni dell’Avvocato generale). Inoltre, con riferimento al rapporto tra accettazione delle citycard e quanto previsto dal considerando 5 della direttiva 2016/1065/UE (in base al quale “le disposizioni relative ai buoni non dovrebbero provocare modifiche al trattamento IVA dei titoli di trasporto, dei biglietti di ingresso a cinema e musei, dei francobolli o di altri titoli simili”), l’Avvocato sostiene che l’obiettivo di tale considerando è di chiarire che l’acquisto dei beni ivi considerati attraverso un buono non ne deve modificare l’aliquota IVA (o il trattamento IVA, che potrà essere esente o imponibile, con applicazione di diverse aliquote IVA). In poche parole, infatti, i buoni determinano solo la possibilità di acquistare quanto citato in tale considerando, imponendo ai cedenti di accettare i buoni stessi come corrispettivo, senza modificare il regime IVA ad essi applicabile; “se un biglietto è esente da IVA, l’IVA non sarà applicata, indipendentemente dal fatto che il fornitore abbia accettato denaro, altri strumenti di pagamento o un buono come corrispettivo” (par. 60, conclusioni dell’Avvocato generale). Situazione diversa (per la quale un documento che possiede i requisiti di cui all’art. 30 bis della direttiva 2006/112/CE non andrebbe considerato un buono) si realizzerebbe qualora il buono impedisca l’applicazione di un regime speciale dell’IVA ad un servizio o ad un bene in relazione al quale deve essere accettato come corrispettivo (per riflessioni su tali aspetti cfr. Giorgi , Il sistema dell’IVA e la Direttiva Voucher, cit. con particolare riferimento ai buoni monouso e Frediani A. e Sbaraglia G., Il recepimento della Direttiva UE sul nuovo regime IVA dei voucher, in Il Fisco, 4/2019).

9. È appena il caso di evidenziare che quanto chiarito dall’Avvocato generale nelle sue conclusioni circa la possibilità di utilizzare i voucher anche per l’acquisto di titoli di trasporto, dei biglietti di ingresso a cinema e musei, dei francobolli o di altri titoli simili (purché non ne venga mutato il trattamento IVA) non risulta in contrasto con quanto sostenuto dall’Agenzia delle entrate nella più recente risposta ad interpello n. 52 del 2022. In tale documento di prassi, infatti, è stato escluso dall’ambito di applicazione della normativa in esame relativa ai voucher un borsellino elettronico che permette di acquistare principalmente titoli di sosta o di trasporto per i quali l’IVA si applica mediante il regime speciale di cui all’art. 74 del D.P.R. n. 633/1972 (nonostante, comunque, non essendo noti gli elementi per identificare specificamente i beni o servizi che verranno acquistati, l’operazione di ricarica non vada considerata come un’operazione rilevante ai fini dell’IVA, ai sensi dell’art. 2, terzo comma, del D.P.R. n. 633/1972): come ribadito dalla stessa Amministrazione, infatti, l’utilizzo di un buono corrispettivo non può provocare una modifica al trattamento IVA del bene o del servizio acquistato. Tali documenti, quindi, non sarebbero da escludere dalla disciplina dei voucher sic et simpliciter (e, su tale punto, non si condivide quanto sostenuto da Pavesi S. e Laruffa D., La normativa IVA sui voucher: maggiore chiarezza dal 2019?, in L’IVA 11-12/2018, i quali sostengono che nei Considerando della direttiva 2016/1065/UE “è espressamente affermato che non vi è interesse ad attrarre alla particolare disciplina in argomento i titoli di trasporto, i biglietti di ingresso a cinema e musei, francobolli e titoli simili”. Il considerando n. 5 della direttiva, a ben vedere, chiarisce invece che la disciplina dei buoni non dovrebbe provocare modifiche al trattamento IVA di tali documenti), quanto piuttosto a causa del regime speciale IVA riservato alla loro circolazione. Sembra quindi che sia stato “aggiustato il tiro” rispetto alle precedenti pronunce dell’Amministrazione la quale, facendo leva su una differente lettura del considerando n. 5 della direttiva 2016/1065/UE e sulla relazione illustrativa al d.lgs. n. 141/2018 (che “su espressa indicazione dei considerando 4 e 5 della direttiva” ha escluso dalla disciplina relativa ai buoni i titoli di trasporto, i biglietti di ingresso a cinema e musei, i francobolli e altri titoli similari a dette tipologie di documenti), aveva semplicemente lasciato fuori tali documenti dall’ambito di applicazione di tali norme. Appare invece condivisibile il ragionamento espresso dall’Avvocato generale nelle conclusioni alla causa in commento esposte poco sopra: in fin dei conti, l’unico motivo per cui un documento che soddisfa i due requisiti richiesti dalla direttiva IVA non dovrebbe essere considerato un buono è che lo stesso impedisca l’applicazione del trattamento speciale dell’IVA riservato al bene o al servizio per il quale dovrebbe essere accettato come corrispettivo. Sulla base di tale ultimo assunto si potrebbe ritenere di dover escludere, ad esempio, le operazioni rientranti nel regime speciale dell’art. 74 del D.P.R. n. 633/1972; si tenga tuttavia presente che, seppure prima dell’introduzione delle norme relative ai buoni che sono state esaminate nel presente contributo, è stato acutamente osservato che in tali casi, in realtà, si è già provveduto ad assolvere l’onere impositivo, con l’osservanza degli adempimenti che caratterizzano il regime monofase (cfr. Maspes P. e Mammone A., rilevanza iva dei «voucher» solo al momento dell’utilizzazione, in Corriere Tributario, n. 26/2011; in senso contrario, e con riferimento ai buoni monouso, cfr. Giorgi m., cit.). Di conseguenza, a parere di chi scrive, l’utilizzo di un buono non necessariamente andrebbe ad impedire l’applicazione del regime speciale IVA del margine.

10. Sicuramente la pronuncia in commento e le riflessioni effettuate dall’Avvocato generale forniscono utili elementi per garantire la corretta applicazione delle norme che disciplinano i buoni e vanno accolte positivamente. Lasciano invece perplessi le osservazioni presentate dal Governo italiano che – almeno in base a quanto risulta dalla sentenza e dalle conclusioni dell’Avvocato generale – non sembrerebbero in linea con lo scopo e con lo spirito della normativa illustrata; la Corte, in ogni caso, sembra essersi pronunciata in modo tale da garantire un’applicazione neutrale dell’imposta sul valore aggiunto. Vanno accolte positivamente le ulteriori riflessioni fatte sui buoni multiuso (sembra che negli anni recenti la riflessione si sia giustamente concentrata sull’analisi dei buoni monouso, la cui circolazione – come accennato supra, cfr. punto 7 – comporta un’anticipazione del momento impositivo rispetto alle regole ordinarie previste dall’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972. Cfr., ad esempio, Frediani A. e Sbaraglia G., Il recepimento della Direttiva UE sul nuovo regime IVA dei voucher, in Il fisco, n. 4/2019; Giorgi M., cit. Con ciò, tuttavia, non si intende sostenere che non siano stati approfonditi anche gli aspetti relativi ai buoni multiuso. Oltre ai contributi appena citati, cfr. anche Frediani A. e Sbaraglia G., Il nuovo regime IVA dei voucher, in Il fisco, n. 27/2018; Liberatore G., Regole IVA europee per i “voucher”, si poteva fare di più!, in Fiscalità e commercio internazionale, n. 1/2017); tali buoni multiuso sono sicuramente duttili strumenti che offrono agli operatori economici innumerevoli possibilità di operare sul mercato e, anche alla luce delle ulteriori riflessioni dell’Avvocato generale, la loro circolazione sembra poter essere considerata in termini più ampi. A parere di chi scrive, l’approccio da adottare nell’analisi di tali strumenti deve giocoforza connotarsi per un elevato dinamismo, dovendosi fare i conti con l’utilizzo delle più recenti tecnologie; tale utilizzo non può tradursi in un fattore che inibisca la circolazione di tali buoni solo per il maggior rischio di evasione dell’IVA che può determinarsi. Infine, si condividono le riflessioni dell’Avvocato generale espresse poco sopra (cfr. in particolare il punto 8) e, per un’analisi completa dei voucher, si ritiene fondamentale la corretta lettura – che si è cercato di indicare nel presente contributo – anche dei considerando della direttiva 2016/1065/UE e della relazione illustrativa del decreto di recepimento.