Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

15/09/2022 - Fondamento dell’autotutela dell’Amministrazione Finanziaria, in relazione all’inesauribilità del potere amministrativo e al giudicato

argomento: Attuazione del tributo - Giurisprudenza

La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, affronta il tema dell’autotutela dell’Amministrazione Finanziaria, quale espressione del più generale potere di autotutela di cui gode la P.A., in relazione, in particolare, ad una pregressa sentenza del giudice tributario sulla stessa posizione sostanziale, non ancora passata in giudicato.

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PAROLE CHIAVE: presupposti - autotutela - giudicato


di Simone Ariatti

  1. La decisione in commento (cfr. Corte di Cass. sent. 2 febbraio 2022, n. 3268) attiene ad un caso in cui una s.r.l. impugnava un avviso di accertamento, notificato in data 2 aprile 2009, relativo al periodo d’imposta 2005, con il quale, sulla base di un’informativa trasmessa in data 11 giugno 2007, relativa ad un procedimento penale, veniva disconosciuto il costo di una fattura d’acquisto avente ad oggetto spese di impianto, così procedendosi al recupero di IRES ed IRAP per la quota dei costi pluriennali indeducibili. L’atto impositivo veniva emesso in sostituzione di uno precedente, annullato in sede di autotutela. La società, persi entrambi i gradi di merito, formulava ricorso per Cassazione, lamentando, da un lato, l’illegittimo esercizio del potere di autotutela, che in quel caso si era tradotta in una variazione in aumento del quantum dell’imposta contestata, e, dall’altro, il difetto di motivazione delle sentenze di primo e di secondo grado. La Corte di Cassazione risolve la lite ritenendo che l’autotutela sia stata esercitata correttamente dall’Agenzia in quanto la sentenza che definiva la posizione sul primo accertamento (anch’esso originariamente impugnato) non era passata in giudicato e dunque il potere amministrativo non poteva dirsi esaurito. La Suprema Corte, tuttavia, censura la motivazione della Commissione Tributaria Regionale nella parte in cui si limitava ad aderire apoditticamente alle difese dell’Ufficio, senza tener conto delle doglianze del contribuente. Il giudizio si conclude dunque, da un lato, con il riconoscimento della legittimità dell’esercizio dell’autotutela, che non incontrava, in quel caso, il limite della cosa giudicata, ma dall’altro accoglie parzialmente il ricorso, rimettendo la causa alla Commissione Tributaria Regionale.
  2. Trattando, in via preliminare, del fondamento dell’autotutela che la sentenza in esame rintraccia nell’art. 2-quater del d.l. 30 settembre 1994 n. 564, è evidente il comune denominatore tra quella tributaria e quella amministrativa, espressa negli artt. 21-quinquies e 21-novies, legge 7 agosto 1990 n. 241. In dottrina (E. MANONI, Luci ed ombre sulla natura del procedimento di autotutela e sulla giustiziabilità del silenzio-rifiuto, in prat. trib., n. 89/2018, 5, pag. 2061 e ss.) si è detto, più in particolare, che il fondamento dell’autotutela tributaria si rinverrebbe nell’art. 43, comma 3, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 (per le imposte dirette) e nell’art. 57, comma 4, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 (per le imposte indirette). Sul punto è intervenuta anche la Corte Costituzionale, che con la sentenza 13 luglio 2017, n. 181 ha precisato che l’autotutela è espressione di un potere squisitamente discrezionale essendo rimesso alla più ampia valutazione di merito dell'Amministrazione (M. PROCOPIO, Il contrasto in tema di autotutela tra principi costituzionali e poteri riconosciuti allAmministrazione finanziaria, in Rass. trib. n. 1/2019, pag. 92). Un dato consolidato è quello, senza dubbio, secondo cui nell’annullamento in autotutela il giudice non può vagliare sulla fondatezza della pretesa tributaria, ormai preclusa, determinandosi viceversa una indebita sostituzione nelle scelte insindacabili dell’Amministrazione (M. MARTIS, I nuovi (antitetici) trend evolutivi dell’autotutela tributaria, in Riv. Trim. Dir. Trib., n. 3/2022).
  3. La sentenza affronta, nel suo “cuore pulsante”, un tema classico della letteratura giuridica, soprattutto amministrativistica (M. LO GULLO, Giudicato nazionale, primato del diritto comunitario e autotutela amministrativa, in Studium iuris, n. 15/2009, 10, pag. 1055 e ss.), vale a dire il rapporto tra autotutela posta in essere dalla Pubblica Amministrazione e giudicato intervenuto sulla stessa vicenda sostanziale (giudicato interno) oppure su vicenda sostanziale che rispetto a quella del caso concreto si pone quale necessario antecedente logico-giuridico (giudicato esterno) e in tal senso, rispetto a questa, è pregiudiziale. Il rapporto tra la sentenza del giudice passata in giudicato e l'esercizio della autotutela si pone in forte incompatibilità, essendo infatti la prima istanza portatrice del principio del “ne bis in idem” (sostanziale e processuale), mentre la seconda del principio di inesauribilità – o, per utilizzare un termine della sentenza che si va commentando, “perennità” – del potere amministrativo. I due principi rischiano dunque di porsi in frizione. Del resto, se è principio assodato (F. MERUSI, Dal 1865...e ritorno...al 1864. Una devoluzione al giudice della giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione a rischio di estinzione, in Il diritto processuale amministrativo, n. 34/2016, Fasc. 3, pag. 671 e ss.) il divieto per il giudice di “sostituirsi” alle valutazioni (almeno a quelle di merito) della Amministrazione, pare debba valere anche per il contrario. Tale assunto ha origini antichissime, addirittura risalenti alla legge abolitiva del contenzioso amministrativo (l. 20 marzo 1865 n. 2248) e si spiega con la ragione storica data dal fatto che, in origine, nella Francia dell'“ancièm regime” il giudice chiamato a sindacare sull’operato dell’Amministrazione veniva investito direttamente dal Re, ponendosi nella sostanza come figura ausiliaria agli interessi della stessa Amministrazione – al punto che la dottrina nazionale formatasi (C. ROEHRSSEN, Della funzione svolta dall’istituzione del Consiglio di Stato nell’ambito della distinzione tra governo e amministrazione, in Rivista amministrativa della Repubblica Italiana, n. 143/1992, 4, pag. 431 e ss.) si mostrava scettica circa l’imparzialità di detto organo. Nel caso affrontato dalla sentenza in esame la sentenza del giudice tributario (sul primo provvedimento) non era ancora passata in giudicato, e ciò non precludeva dunque la legittimità – almeno sul piano formale – dell’esercizio dell’autotutela della Amministrazione Finanziaria. La sentenza in esame afferma che il potere di autotutela di cui gode l’Ufficio, riconosciutogli dall’art. 2-quater del d.l. 30 settembre 1994 n. 564, ha carattere generale e che il solo limite che tale potere incontra è dato da un precedente giudicato (, Sez. V, 21 marzo 2018, n. 7033), non essendovi alcuna norma nel sistema tributario che pone un termine per l’esercizio dell’autotutela, decorso il quale il potere si consuma, a differenza di quanto previsto – il termine di diciotto mesi – per l’annullamento in autotutela del provvedimento amministrativo in generale (art. 21-novies l. 7 agosto 1990 n. 241). Tale assunto, per la verità, è criticabile. Ragionando come la Corte, l’Amministrazione potrebbe infatti esercitare il potere di autotutela sostanzialmente senza un termine. Ciò contrasta chiaramente con i principi sanciti dal d.l. 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto dei diritti del Contribuente), che all’art. 10 enuncia una generale norma di comportamento nei rapporti tra il Fisco ed il Contribuente prescrivendo la leale collaborazione e la buona fede. L’interpretazione della Corte inoltre andrebbe a ledere il bene giuridico “tempo” (L. RIZZO, La dimensione del tempo nel procedimento amministrativo e il silenzio della P.A.: quando l’inerzia amministrativa configura i reati di rifiuto ed omissione di atti d’ufficio, in Rivista penale, n. 146/2020, 10, pag. 870 e ss.), pacificamente ritenuto bene in sé, e come tale autonomamente tutelabile.
  4. Proseguendo nella dialettica tra “passaggio in giudicato della sentenza del giudice”, quale espressione di esigenza di certezza del diritto e di ne bis in idem, ed “il perenne potere della Amministrazione di tornare sulle proprie iniziali determinazioni”, sono necessarie ulteriori riflessioni. La sentenza infatti giustifica l’assunto di cui si è appena dato conto, alla luce del fatto che la sola norma che prevede un termine entro cui il potere deve essere esercitato e decorso il quale lo stesso si consuma è l’art. 21-novies della l. 7 agosto 1990 n. 241, ossia il termine dei diciotto mesi per l’annullamento in autotutela del provvedimento amministrativo. Tale affermazione non è del tutto esatta. Infatti, da un lato la stessa giurisprudenza amministrativa di cui si è dato conto, ad esempio in tema di S.c.i.a. e del relativo potere inibitorio della PA (che è pur sempre espressione di autotutela), previsto dall’art. 19, comma 3, primo periodo, l. 7 agosto 1990 n. 241, afferma che, decorso il termine dei sessanta giorni, tale potere inibitorio non è più esercitabile, e dall’altro sarebbe assurdo pensare che l’Amministrazione possa tornare sulle proprie determinazioni anche a distanza di molti anni, pena la lesione del bene giuridico tempo, inconoscibilità del precetto e imprevedibilità dell’obbligo conformativo della condotta. Si deve dunque considerare un termine ragionevole entro il quale i provvedimenti emessi dall’Ufficio finanziario sono sì validi, in quanto perfettamente legittimi sotto il profilo della norma di validità, ma espongono comunque l’Amministrazione alla lesione della clausola generale di buona fede, di cui espressione puntuale è l’art. 10 dello Statuto (norma di comportamento). Sotto tale profilo, dunque, giova ricordare la distinzione tra norme di validità, che, se violate, comportano, a seconda dei casi, la nullità o la annullabilità del provvedimento (o, nel contesto civilistico, del contratto), e norme di comportamento, che se violate potrebbero comportare persino un obbligo risarcitorio (V. MARICONDA, L’insegnamento delle SS.UU. sulla distinzione tra norme di comportamento e norme di validità, in Corriere Giuridico, n. 25/2008, 2, pag. 230 e ss; V. SANGIOVANNI, Inosservanza delle norme di comportamento: la Cassazione esclude la nullità (Cassazione civile sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26725), in Contratti, 2008, Fasc. 3, pag. 221 e ss.).
  5. Non è detto, ad ogni buon conto, che l’esercizio del potere di autotutela da parte della Amministrazione ponga fine alla illegittimità dell’azione amministrativa. Può darsi il caso infatti in cui il primo provvedimento sia legittimo e sia stato annullato illegittimamente (anche magari solo per errore) in autotutela, oppure può darsi il caso, ancora più grave, che sia il provvedimento di primo grado che il provvedimento di secondo grado siano illegittimi. La sentenza in esame, infatti, pur confermando la legittimità dell’esercizio del potere di annullamento del precedente atto impositivo, accoglie, nel merito, il sesto e l’undicesimo motivo di ricorso, con i quali la società contestava le motivazioni della sentenza di secondo grado, in quanto la C.T.R. aveva fornito una motivazione solo apparente, risultando invece fondate le pretese del ricorrente. La Corte di Cassazione, cui è chiaramente impedito un sindacato nel merito, ravvisa tale vizio della motivazione della sentenza d’appello, che ha aderito in modo acritico e apodittico alle argomentazioni dell’Ufficio. La Suprema Corte pertanto cassa con rinvio demandando la rideterminazione della vicenda alla Regionale in diversa composizione. Potrà dunque accadere che l’autotutela, pur legittima, non precluda la fondatezza del ricorso del privato, o ancora, a monte, che, in violazione del precetto dell’art. 10 dello Statuto del Contribuente, l’Amministrazione abbia sì esercitato l’autotutela, ma in modo scorretto, senza ponderazione degli interessi del contribuente. Potrà altresì darsi il caso, più grave, in cui l’autotutela celi una violazione, caratterizzandosi il provvedimento di secondo grado per essere viziato ad esempio da un eccesso di potere, e come tale chiaramente annullabile (cfr. art. 21 octies comma 1 l. 7 agosto 1990 n. 241). Tuttavia, dal momento che il vizio dell’eccesso di potere deve tradursi necessariamente in apposite figure sintomatiche, per essere predicabile, ci si pone il problema di quale figura sintomatica di tale abuso il contribuente si possa lamentare. Si può allora pensare che la figura di riferimento sia la disparità di trattamento, o l’ingiustizia manifesta. Tuttavia, con riferimento alla prima, la giurisprudenza è granitica nel richiedere una prova assai rigorosa circa l’identità delle posizioni sostanziali poste a raffronto, mentre, con riferimento alla seconda, essa è figura assai residuale nella prassi e comunque richiedente una vera e propria “probatio diabolica”. Pare allora più ragionevole inquadrare la fattispecie nel difetto di istruttoria e nel travisamento dei fatti, alla luce del minor rigore probatorio richiesto.
  6. Delineate le varie posizioni sul fondamento dell’autotutela, amministrativa e tributaria, e affrontato lo spinoso tema del termine ultimo per l’esercizio di tale potere, che la stessa sentenza in esame (sul punto criticabile, come detto) definisce “perenne”, nonché il tema del rapporto tra giudicato e autotutela, oltre alla possibile (come nel caso di specie) scissione tra legittimità formale dell’autotutela e fondamento della pretesa del contribuente, non può che, da un lato, apprezzarsi l’ultimo punto di cui trattasi, per come affrontato dalla sentenza, che infatti accoglie in parte il ricorso, ma dall’altro non ci si può esimere dal criticare affermazioni come quella inerente alla perennità del potere dell’Ente pubblico di tornare sulle proprie determinazioni, rischiando in tal senso di riportare in auge tesi come quelle dell’inesauribilità del potere amministrativo, del privilegio pubblicistico e della facoltà della P.A. di portare ad esecuzione coattiva i propri provvedimenti (M. D’ANGELOSANTE, Discorrendo su inesauribilità e consumazione del potere amministrativo a partire da un recente studio, in Diritto pubblico, 2019, Fasc. 3, pag. 831 e ss.; E. TRAVERSA, Il principio del “one shot” temperato tra effettività della tutela e inesauribilità del potere amministrativo, in Giurisprudenza italiana [1965], 2017, Vol. 169, Fasc. 7, pag. 1673 e ss.).