Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

23/06/2022 - La fattura elettronica PA rifiutata ed i riflessi sullo split payment

argomento: IVA - Legislazione e prassi

La presenza contemporanea della fattura elettronica PA e dello split payment può comportare complessi problemi applicativi, specie nel caso in cui il documento fiscale venga scartato del sistema SDI o rifiutato espressamente della PA. La conseguenza della mancata emissione della fattura elettronica va comunque coordinata con il regime IVA della PA, il quale varia in base alla natura dell’acquisto effettuato dall’ente pubblico, in veste di operatore istituzionale (e quindi consumatore finale ai fini IVA), ovvero operatore commerciale con partita IVA, potendo in questo caso optare per una inversione contabile della registrazione della fattura PA in split payment.

PAROLE CHIAVE: reverse charge - split payment - scarto fattura


di Emiliano Covino

  1. La Fatturazione elettronica a favore della PA: tra validità del documento e regime IVA sottostante

 

Il “principio di diritto” n. 17 del marzo 2021 dell’Agenzia delle entrate, in tema di validità della fattura elettronica nei confronti della pubblica amministrazione (la cd. “fattura PA”), in cui si è affermata una (opinabile) rilevanza ai fini  della liquidazione IVA dell’emittente della fattura elettronica espressamente rifiutata, è frutto (anche) del disorientamento  provocato dalla normativa sui diversi regimi IVA delle fatture PA.

Infatti, le prestazioni ricevute dalla Pubblica Amministrazione soggiacciono a due differenti regimi fiscali IVA, paralleli ed incomunicabili tra di loro, che variano a seconda della funzione che svolge l’ente pubblico nel momento in cui le riceve; il regime IVA previsto per i servizi inerenti alla sfera istituzionale è strutturalmente diverso da quello applicabile nel caso la PA riceva una prestazione inerente la propria sfera imprenditoriale, nel caso – piuttosto frequente - in cui l’ente pubblico abbia anche una partiva Iva per attività imprenditoriale a latere.

Nel primo caso (fatture per prestazioni istituzionali), tutti i documenti fiscali emessi dal 1° gennaio 2015 (La Legge 23 dicembre 2014 n. 190, all’art.1, comma 629, lett. b), che ha modificato il Dpr. n. 633/72, aggiungendo l’art.17-ter.) sono soggetti al regime dello split payment (o scissione dei pagamenti), in base al quale l'emittente dovrà esporre l'IVA in fattura con la rivalsa ordinaria (specificando comunque la scissione del pagamento IVA), ma l’imposta verrà trattenuta dall’ente pubblico, al momento del pagamento del corrispettivo, e versata da quest’ultimo direttamente all’Erario (Cfr. Franco Ricca, Il sistema speciale dello split payment, In Italia Oggi Sette 12/11/2018). Una volta selezionato lo split payment nella fattura elettronica PA, l’emittente registrerà normalmente il documento fiscale nella propria contabilità IVA, ma, al momento della liquidazione IVA del relativo periodo, non segnerà a debito il tributo “scisso” a favore della PA, che non verrà versato dal fornitore, ma dal cliente/PA (in merito alle due modalità di liquidazione dell’IVA in base alla natura di acquisto commerciale o istituzionale dell’ente cfr. L. Salvini, Profili sistematici e di legittimità dello “split payment”, in Corriere Tributario n. 14, IPSOA, 2015, pag. 1042).

Ben diverso è il caso delle prestazioni rientranti nell’ambito imprenditoriale dell’ente pubblico, le quali invece saranno soggette (su opzione della PA ricevente) al diverso regime del reverse charge (ossia della fatturazione inversa), in base al quale l'IVA non verrà comunque versata al fornitore, ma non sarà neanche immediatamente liquidata all'Erario (facendo, quindi, venir meno la “trattenuta IVA” attuata nello split payment istituzionale); per le operazioni commerciali della PA, la liquidazione dell’imposta avverrà solamente a mezzo della registrazione simultanea dell’IVA a credito ed a debito, così da neutralizzare il tributo. Si tratta di un regime opzionale, perché, in alternativa, l’ente pubblico può anche decidere di attuare il sistema della “trattenuta” applicato nello split payment istituzionale, ritenendo e versando all’erario l’imposta nella liquidazione ordinaria. Si tratta di due modalità alternative di gestione IVA, che la PA ricevente sceglierà in via autonoma solo per l’IVA commerciale, senza alcun riflesso in capo all’emittente, il quale in ogni caso dovrà emettere la fattura in regime di split payment, senza vedersi riconosciuta l’IVA in rivalsa (cfr. M. Brisacani, I complessi adempimenti degli Enti pubblici, il Fisco, 2016, n. 15, pag. 1427: “i due meccanismi split payment e reverse charge si presentano come alternativi tra di loro, …. Da ciò deriva, che già in sede di effettuazione dell’acquisto, l’Ente deve essere in grado di definire se l’operazione debba rientrare nell’uno o nell’altro sistema fornendo opportuna comunicazione anche al fornitore…”).  

A ben vedere, nel  caso di reverse charge della PA manca del tutto il versamento dell’IVA all’erario, in quanto l’addebito del tributo avviene solo a livello contabile, con la suddetta duplice registrazione IVA a debito ed a credito, così da rendere fiscalmente neutrale l'operazione (almeno per i soggetti PA che non hanno limitazioni alla detraibilità iva sugli acquisti). Ovviamente, “non si tratta di trasformare lo split payment in reverse charge, ma solo di adempiere al proprio obbligo secondo un meccanismo analogo a quello dell’inversione contabile”, come giustamente è stato già evidenziato (Giuliani Giampaolo, Spera Mario, Al via il nuovo split payment, il Fisco, 2017, n. 30, pag. 2930).

 

Sebbene in entrambi i casi il fornitore non si vedrà riconosciuta l’IVA esposta in fattura, i due regimi di liquidazione del tributo hanno modalità di attuazione ben diverse, comportando anche conseguenze differenti nel caso di fatture rifiutate dalla PA (anche sulla scorta del principio di diritto accennato in premessa, su cui ci soffermeremo al par. 4).

 

 

  1. Lo split payment come trattenuta dell'IVA da parte dell'ente pubblico come cautela fiscale scelta dall’Ordinamento per tutelarsi dagli omessi versamenti da parte dei fornitori della PA

 

Come detto in precedenza, lo split payment è di fatto una trattenuta alla fonte dell'IVA dovuta al fornitore in rivalsa, che l'ente pubblico non versa a quest'ultimo, ma rigira direttamente all'Erario.

Il meccanismo è stato, infatti, introdotto per contrastare i fenomeni di evasione da riscossione, nei casi di emissione di fatture nei confronti della pubblica amministrazione da parte di soggetti poco strutturati, i quali -  dopo l'emissione del documento fiscale - non versavano l'imposta che l'ente pubblico gli aveva accredito per rivalsa, in base alla disciplina IVA ordinaria (Cfr. L. Salvini, Profili sistematici e di legittimità dello "split payment", in Corriere tributario, 14/2015, pp. 1041, ove si afferma appunto che “si voleva evitare che l’importo relativo all’iva uscisse dal circuito pubblico”). A tal fine, poiché l'ente pubblico è sempre più affidabile di qualsiasi controparte privata, quando il primo opera come consumatore finale dovendo quindi subire l’addebito IVA, è stato considerato fiscalmente più sicuro spostare l’onere del versamento IVA in capo alla PA cliente; si evita così la rivalsa al fornitore, sulla cui compliance tributaria non si possono avere certezze, soprattutto nel caso di operatori di minori dimensioni. Sempre nell’ottica di imporre il versamento dell’IVA “splittata” al cliente, quando quest’ultimo si mostra fiscalmente più affidabile del proprio fornitore, dal 1° luglio 2017 l’ambito applicativo dello split payment Iva è stato esteso (con una ulteriore modifica dell’articolo 17-ter, comma 1, del D.P.R. 633/1972 ad opera della Manovra correttiva 2017 - D.L. 50/2017) anche per le operazioni effettuate  verso le società partecipate da enti pubblici ed alcune società quotate (cfr. RICCA, F., I soggetti tenuti allo split payment, in Corriere Tributario, 2018, n. 41, pag. 1775.). Si tratta di un ampiamento del meccanismo dello split payment, già da tempo invocato, legato a ragioni di cautela fiscale (cfr. P. Centore, L’occasione da non perdere con le regole di “split payment”, in Corr. Trib., 2015, n. 21, pp. 1591 ss.; sul tema anche G. Liberatore, Definite le regole attuative per lo split payment in formato extra-large, in Pratica Fiscale e Professionale, n. 5, 5 febbraio 2018, p. 14).

In altre parole, quando l'ente pubblico si confronta con il proprio fornitore in veste di privato consumatore, eseguendo  quindi acquisti nel proprio ambito istituzionale (senza alcuna connessione con l’attività imprenditoriale eventualmente svolta a latere), quest'ultimo è tenuto a pagare l'IVA come qualsiasi altro contribuente di fatto; tuttavia, per evitare che l'imposta possa rimanere nelle tasche del fornitore fiscalmente infedele, è stato scisso il pagamento dell'imposta (da qui il nome dell’istituto) rispetto al pagamento del corrispettivo: al posto del consueto ordinativo pagamento del prezzo comprensivo di IVA, l'ente pubblico effettuerà a due ordinativi di pagamento, uno a favore del fornitore per la prestazione al netto dell'iva, e l'altro a favore dell'erario per la sola imposta.

Quanto al suo funzionamento, appare  chiaro che questo meccanismo è molto più vicino ad una sorta di ritenuta fiscale sull’IVA (come di consueto avviene per i redditi), poiché anche l’Iva splittata è trattenuta dell’ente e a seguire versata nelle casse pubbliche (Cfr. L. Salvini, Profili sistematici…, pag. 1042: “Il nuovo regime dello “split payment” è invece un. “quid minoris” rispetto al “reverse charge”). Non  a caso, proprio per evitare la  duplicazione di due meccanismi di trattenute simili, attualmente lo split payment non si applica nel caso di prestazioni già soggette a ritenuta alla fonte (Il regime attuale dello split payment esclude i professionisti ex art. 17-ter, a seguito delle modifiche dell’art. 12 del D.L n. 87/2018), sia d’imposta che d’acconto (cfr. R. Rizzardi, Lo “split payment” IVA nei rapporti con la Pubblica amministrazione trova il regolamento, in Corr. Trib., 2015, n. 9, pp. 642-643). Per evitare una duplice trattenuta sul professionista (una ai fini IVA ed una ai fini Irpef), che potrebbe comportare un problema di liquidità, lo split payment in tale ipotesi non si applica e le garanzie di solvibilità e di segnalazione dell’operazione nei confronti del Fisco vengono svolte interamente dalla ritenuta d’acconto (tale procedura è stata confermata con diverse Circolari Agenzia Entrate (Circolare n. 1/E del 9 febbraio 2015, Circolare n. 6/E del 19 febbraio 2015 e Circolare n. 15/E del 13 aprile 2015), che hanno chiarito i limiti e gli ambiti di applicazione dello split payment).

In tutti gli altri casi di acquisti della PA, in cui non sono previste ritenute alla fonte, lo split payment, in sintesi, fa sì che quella parte di corrispettivo lordo comprensivo di IVA, che normalmente tra privati viene pagato dal cliente al fornitore, arrivi invece direttamente all'erario. Ciò permette agevolmente di intuire che la ratio dello split payment per l’Iva istituzionale è del tutto diversa da quella del reverse charge per gli acquisti commerciali della PA, ipotesi in cui l’amministrazione non deve comunque essere incisa dal tributo, in quanto operatore economico.

In sintesi, mentre per le attività istituzionali, l’Ente risulterà sempre debitore verso l’Erario dell’Iva “splittata” da versare il giorno 16 del mese successivo a quello in cui l’Imposta diviene esigibile, per le attività commerciali l’Iva, pur sempre “splittata” e non versta al fornitore, non viene versata neanche all’Erario perché neutralizzata per effetto della sua iscrizione anche nel registro vendite o corrispettivi (cfr. M. SPERA, L’applicazione dello split payment nell’ordinamento nazionale tra criticità e dubbi operativi, in il Fisco n. 10 del 2015, pp. 923-925.).

 

 

  1. Lo “split payment commerciale” degli enti pubblici ed il regime del reverse charge in luogo del versamento diretto all’erario

 

Come sopra premesso, quando l'ente pubblico effettua un acquisto nell'ambito della propria attività di impresa, sovente gestita a latere della propria sfera istituzionale, questo non rappresenta più un consumatore finale, ma diventa un operatore economico, che non deve essere gravato da IVA.

A tal fine, la PA, in veste di soggetto IVA, non neutralizza l’imposta sui consumi attraverso il classico meccanismo dell' addebito/rivalsa da parte del proprio fornitore e successiva detrazione in sede di liquidazione IVA dell’ente. Per lo “split payment commerciale”, in caso di acquisti inerenti all’attività imprenditoriale della PA, è previsto un diverso meccanismo di liquidazione del tributo, poiché il suddetto art.17-ter esclude l’applicazione della scissione dei pagamenti quando le PA “cessionari o committenti non sono debitori d’imposta ai sensi delle disposizioni in materia d’Imposta sul valore aggiunto”.

In tali casi, le pubbliche amministrazioni, pur non versando l’IVA al proprio fornitore (che emetterà la consueta fattura PA sempre con indicazione di split payment),  possono evitare di trattenere e pagare l’imposta all’erario in base alle regole dello split payment “istituzionale” (opzione alternativa, comunque, percorribile per scelta della PA interessata, che potrebbe – ad esempio – avere limitazioni alla detrazione sugli acquisti). Nella prassi frequente, le fatture commerciali ricevute dalla PA  sono registrate tra le vendite (o tra i corrispettivi) entro il 15 del mese successivo a quello in cui l’IVA è diventata esigibile. Tuttavia, entro la stessa scadenza la medesima fattura viene annotata anche sul registro IVA acquisti, in modo tale che l’imposta possa essere assolta con il meccanismo dell’inversione contabile, neutralizzando il debito mediante l’esercizio della detrazione. Il versamento dell’IVA dovuta partecipa in tal modo, alla liquidazione periodica del mese o del trimestre dell’ente pubblico.

In questo modo, ai fini della propria liquidazione IVA periodica, la PA utilizza le stesse modalità di registrazione inversa (con integrazione della fattura ricevuta), di solito usate nelle operazioni intracomunitarie B2B, oltre che nel cd. reverse charge interno per prestazioni tra residenti in settori a forte rischio frode IVA (tassativamente elencati dall’art. 17 comma 6, lettera a) del DPR n 633/72 e periodicamente aggiornati in base alle deroghe – temporanee - concesse dalla UE per la disapplicazione del regime IVA ordinario sui settori più soggetti, come prestazioni edili, subappalti, prodotti informatici, cessione di oro, gas, rottami, ecc…), ove regime ordinario è stato sostituito con l'inversione contabile per evitare il fenomeno delle società fantasma, che addebitano Iva detraibile senza versarla all'erario (in generale, sul sistema delle frodi IVA, carosello e non, cfr. R. Lupi, Diritto delle imposte, Giuffrè, 2020, pagg. 95 e ss.; sul tema del contrasto alle frodi IVA tramite reverse charge cfr. R. Fanelli, Fatture per operazioni inesistenti e reverse charge, in L’Iva, n.12, del 2009). In particolare, in quest’ultima ipotesi di sovrapposizione tra il regime IVA del reverse charge interno e split payment, in caso di prestazioni a favore della PA rientranti nella casistica specifica dell’art. 17, co. 6, DPR n. 633/72, prevale il regime del reverse charge interno, solo se l’acquisto è inerente all’attività d’impresa (cfr. Circolare ADE n.14 del 27 marzo 2015: “La norma prevede espressamente che le disposizioni relative allo split payment non si applicano qualora l’ente pubblico sia debitore di imposta. È il caso, ad esempio, di un ente pubblico cessionario o committente che, in qualità di soggetto passivo d’imposta, deve applicare il meccanismo del reverse charge”). In caso di acquisti istituzionali della PA è, invece, sempre disapplicato il regime del reverse charge, che – per definizione – è valido solo per le prestazioni B2B (Cfr. F. Ricca (a cura), Il sistema speciale dello split payment, in Italia Oggi Sette del 12/11/2018: “il cessionario/committente, ancorché incluso nelle categorie sottoposte allo split payment, venendo ad assumere la qualifica di debitore dell' imposta, dovrà farsi carico egli stesso non soltanto del versamento, ma anche dell' applicazione dell' imposta all'operazione imponibile ricevuta, individuandone la base imponibile e l' aliquota ed integrando la fattura emessa dal fornitore senza evidenza del tributo e con l'annotazione «inversione contabile»”).

Pertanto, l'IVA “splittata” in attività commerciale viene sterilizzata con le liquidazioni periodiche, senza essere trattenuta e versata all’Erario (venendo quindi meno la scissione dei pagamenti IVA propriamente detta). Le modalità di registrazione in contabilità dello split payment commerciale prevedono che la registrazione contabile della spesa, concernente l’acquisto di beni e servizi in ambito commerciale, è effettuata nel rispetto del principio applicato della contabilità finanziaria n. 5.2, lett. e), secondo il quale, “nelle contabilità fiscalmente rilevanti dell’Ente, le entrate e le spese sono contabilizzate al lordo di Iva e, per la determinazione della posizione Iva, diventano rilevanti la contabilità economico-patrimoniale e le scritture richieste dalle norme fiscali (ad es. registri Iva)”.

Pertanto, le Pubbliche Amministrazioni che agiscono in ambito commerciale e le società partecipate o quotate, per le fatture oggetto di Split payment devono:

  • Annotare le fatture nel registro di cui agli artt. 23 o 24 del DPR n. 633/72, entro il giorno 15 del mese successivo a quello in cui l’imposta è divenuta esigibile, con riferimento al mese precedente;
  • Imputare l’IVA dovuta alla liquidazione periodica del mese dell’esigibilità (o del relativo trimestre in caso di liquidazioni trimestrali);
  • Infine, registrare le fatture nel registro degli acquisti di cui all’articolo 25 del DPR n 633/72, ai fini di esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta.

Il meccanismo contabile è progettato proprio col fine di neutralizzare il debito IVA per i soggetti senza pro rata di detraibilità, come avviene normalmente nell’applicazione dell’inversione contabile IVA (A conferma di quanto esposto, si ricorda che il citato Decreto Mef-RgS 20 maggio 2015 ha specificato il principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria, prevedendo le modalità di contabilizzazione delle operazioni soggette a split payment nell’ambito dell’attività commerciale nelle modalità sopra espresse).

Infine, è opportuno ricordare che recentemente l’Agenzia delle entrate ha confermato  che le sono diverse le prestazioni rientranti direttamente nel reverse charge ordinario, “in cui la veste di debitore è attribuita al cessionario o al committente, al quale non viene addebitata (in rivalsa) alcuna imposta, da parte di colui che ha compiuto l'operazione imponibile, come invece accade nello split payment dove debitore d'imposta resta il fornitore” (come affermato nella Risposta n. 767/2021 dell’Agenzia delle entrate – Dir. Contrale – Normativa e Contenzioso). Pertanto, i due meccanismi, seppur contigui, non possono essere sovrapposti, vigendo tra split payment e reverse charge il principio di alternatività, in base al quale "nelle ipotesi in cui l'operazione di acquisto rientri in una delle fattispecie riconducibili nell'ambito applicativo dell'inversione contabile, c.d. reverse charge, non si applica la scissione dei pagamenti" (Si veda l’articolo 17-ter, comma 1, del Decreto IVA e circolare n. 15/E del 2015).

 

  1. Lo split payment nel caso di fattura elettronica non scartata dal sistema SDI, ma rifiutata espressamente dalla PA

 

Rimane,  infine, interessante soffermarsi sui riflessi sulle problematiche della liquidazione IVA in split payment  da parte della PA: in caso di una fattura elettronica non accettata dal sistema SDI, per errori nei relativi controlli formali, la fattura non si può considerare ricevuta dal sistema. Sul diverso caso di accettazione da parte dello SDI, ma di successivo rifiuto espresso da parte della pubblica amministrazione, in virtù di una specifica facoltà ad essa riservata è espresso il principio di diritto in premessa.

Infatti, gli enti pubblici, al contrario di quanto accade nelle fatture elettroniche tra privati, possono rifiutare la ricezione di una fattura inviata da un fornitore, facendo valere un elenco specifico di irregolarità, descritto più nel dettaglio solo nel 2020 al fine di rendere più omogenea la casistica di rifiuto della fattura PA (cfr. Decreto MEF n. 132/2020). Del resto, in applicazione degli ordinari poteri discrezionali amministrativi, la pubblica amministrazione che riceve una fattura, già ritenuta formalmente valida dallo SDI, può solo accettarla espressamente al fine di completare il processo di emissione della fattura elettronica, non esistendo forme di silenzio/assenso in questo campo, per cui sia l'inerzia dell'ente pubblico sia il suo rifiuto espresso impediscono l'emissione di una fattura elettronica PA giuridicamente valida.

Naturalmente, questa attività discrezionale di accettazione espressa della fattura elettronica avviene solo  dopo il completamento della procedura ordinaria di controllo formale da parte dello SDI, cui soggiacciono anche tutte le altre fatture elettroniche tra privati (che invece non possono essere rifiutate dal ricevente, poiché tale facoltà è stata riservata solo alla PA). Lo SDI, in prima battuta, svolge una serie di controlli di formali e non sostanziali, collegati all'assistenza dei requisiti minimi della fattura (CF/P.IVA esistente, data di emissione non successiva all’invio, compilazione di tutti i cambi obbligatori, ecc…). Questo primo controllo di forma, che nella fatturazione tra privati è anche l'unico, può portare allo scarto del sistema per carenze su elementi fondamentali del documento informatico. In questo caso non vi è dubbio che la fattura scartata non sia mai giuridicamente esistita.

Non si pongono in tal caso problemi di liquidazione IVA, perché la fattura elettronica non entra nel regime SDI e non comporta conseguenze ai fini IVA/imposte su reddito.

In sintesi, tra privati la fattura elettronica inviata deve essere verificata dallo SDI, che in caso di errori provvederà ad uno scarto del documento, che quindi non si considera mai emesso. Nella fattura PA, dopo l’invio e la successiva validazione da parte dello SDI, il meccanismo di emissione non si è ancora completato sino all'accettazione espressa da parte dell'amministrazione ricevente, che può rifiutare espressamente (e non scartare come fa lo SDI) una fattura seppur ritenuta formalmente valida dallo SDI, a fronte di inesattezze o vizi di natura sostanziale. Per  esemplificare, una frequente ipotesi in cui la fattura PA viene rifiutata è dovuta al fatto che il corrispettivo non è collegato con il corretto impegno di spesa dell’ente  (il cd. CIG), per cui la fattura, seppur formalmente perfetta per lo SDI, non può essere pagata e per tale ragione viene rifiutata dalla pA ricevente.

Ciò premesso, se – come detto - in relazione allo split payment, in caso di scarto da parte del sistema SDI non si pone nessun problema di validità del documento emesso, che a priori è inesistente, sia nell’ambito della fatturazione tra privati sia nell’ambito della fatturazione verso la PA, nel caso di rifiuto espresso è intervenuto il principio di diritto in premessa.

Per consuetudine e prassi amministrativa, si è sempre avvallata l’idea di inesistenza anche della fattura successivamente rifiutata da parte dell'amministrazione ricevente, poiché la mancanza di tale accettazione impediva che il processo di fatturazione elettronica fosse portato a compimento, così da impedire la esistenza giuridica del documento fiscale. Anzi, sino alla – sorprendente – interpretazione del marzo 2021, si riteneva che si dovesse riemettere la stessa fattura in forma corretta, utilizzando addirittura lo stesso numero della fattura scartata oppure rifiutata (come  si può desumere dal decreto MEF del 3 aprile 2013, n. 55, che all’articolo 2, comma, 4, dispone che "La fattura elettronica si considera trasmessa per via elettronica, ai sensi dell’articolo 21, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e ricevuta dalle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, solo a fronte del rilascio della ricevuta di consegna".).

Il rifiuto del PA impedisce il rilascio della ricevuta di consegna e quindi la creazione stessa del documento fiscale. Infatti, il D.M. 55/2013 all’art. 2 stabilisce che la fattura si considera trasmessa (ai sensi dell’art. 21, comma 1, del DPR 633/1972) e ricevuta dalle amministrazioni solo con il rilascio della ricevuta di consegna. Il rifiuto espresso, prodotto dall’ente ricevente (differente dal mero scarto per motivi formali), blocca la ricevuta di consegna quale fattore di produzione della fattura elettronica. Nel caso di specie, in virtù dell’art. 42 del D.L. N. 66/2014, la PA destinataria della fattura rifiutata non registra neanche il documento nella propria contabilità.

Su tali presupposti abbastanza condivisi si inserisce, a  sorpresa, il principio di diritto da cui abbiamo preso le mosse, che spariglia le carte affermando che la fattura accettata dal sistema SDI, ma rifiutata espressamente dall’ente pubblico, deve essere considerata validamente emessa, solo perché ha superato i controlli formali. Tuttavia, non si capisce come fa ad essere valida una fattura, sì esistente per il sistema informatico, ma poi espressamente cancellata dallo stesso dal ricevente in base ai propri poteri amministrativi, concessi proprio per evitare il rischio alla PA di addebiti anomali. Ciò comporta un inutile emissione  di una nota di credito per rettificare una fattura, che è stata già espressamente rifiutata; infatti, per l’emittente non vi è altro modo di ottenere il pagamento della prestazione dovuta da parte della PA, a seguito del suo rifiuto, se non emettere una nuova (seconda) fattura emendata dalle ragioni del primo rifiuto. E così via finché non si risolve l’impasse del rifiuto.

Per  quanto riguarda i pagamenti in split payment, questo problema dovrebbe essere rilevante in capo all'ente pubblico e non in capo al fornitore, che in ogni caso non deve inserire l'Iva presente nella fattura elettronica PA rifiutata nelle proprie liquidazioni periodiche (al pari di qualsiasi altra fattura emessa con split payment, ove la registrazione fini IVA potrà avvenire, ma la liquidazione periodica non terrà conto del pagamento scisso). Tuttavia, anche per il fornitore rimane il problema dell’imputazione a periodo ai fini reddituali, se la nota di credito viene emessa in un altro periodo di imposta.

Più complessa è la questione in capo all’ente pubblico che si trova una fattura formalmente valida (secondo il principio interpretativo dell’Ade), ma espressamente rifiutata. Di certo, essendo lo split payment una forma di ritenuta alla fonte (come detto in precedenza), questo meccanismo deve operare per cassa, ossia nel momento in cui si paga il fornitore e quindi si scinde contestualmente il versamento IVA all’erario. Se viene rifiutata la fattura, sicuramente non vi sarà alcun pagamento del corrispettivo al fornitore e quindi nessun ordinativo di pagamento a favore dell’erario per l’Iva. Pertanto, a prescindere dalla necessita di porre in essere una nota di credito a fronte di una fattura PA rifiutata, non vi dovrebbe essere alcuna rilevanza del documento scartato ai fini della liquidazione “splittata” dell’IVA da parte dell’ente pubblico, se questo non ha adempiuto al pagamento del corrispettivo al fornitore.

In ultimo, anche qualora si tratti di Iva commerciale e la PA abbia optato per la registrazione inversa della fattura di acquisto, il rifiuto espresso da parte della stessa impedisce qualsiasi registrazione contabile ai fini IVA di un documento fiscale espressamente rigettato. Pertanto, anche in questo caso non si dovrebbero presentare ripercussioni sulle liquidazioni periodiche Iva. A tal riguardo, poiché l’art. 3 del D.M. 23 gennaio 2015 prevede che “Le pubbliche amministrazioni possono comunque optare per l’esigibilità dell’imposta anticipata al momento della ricezione della fattura”, il regime “standard” comporta che l’imposta sia computata solo nella liquidazione relativa al mese in cui è stato effettuato il pagamento (A. Piciocchi e M. Masini, Il nuovo meccanismo dello “Split payment” tra critiche e dubbi di legittimità. Soluzioni alternative al disagio finanziario dell’operatore economico, in Diritto Bancario, APPROFONDIMENTI - FISCALITÀ del 23/04/2015).