Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

23/02/2022 - La responsabilità relativa all’utilizzo delle agevolazioni in materia di edilizia e di efficienza energetica contenute nel c.d. Decreto rilancio

argomento: Agevolazioni - Legislazione e prassi

Con l’entrata in vigore del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, (c.d. Decreto rilancio), convertito con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, è stata introdotta nel nostro ordinamento una nuova agevolazione fiscale in tema di edilizia e di efficienza energetica (c.d. Superbonus), la quale si affianca ad agevolazioni già in vigore, tra le quali i c.d. Sismabonus, Ecobonus, Bonus ristrutturazioni (o Bonus casa) e Bonus facciate. Una delle principali novità contenute nel c.d. Decreto rilancio è rappresentata dalla possibilità per i contribuenti, in alternativa all’utilizzo delle detrazioni fiscali previste dalla legge, di optare per la cessione a terzi di un credito d’imposta di pari ammontare o per il c.d. sconto in fattura. Nonostante tali strumenti abbiano riscosso - e stiano riscuotendo tuttora - un notevole successo, è opportuno riflettere brevemente sulle conseguenze relative ad un uso scorretto o improprio di tali agevolazioni; ciò anche alla luce dell’introduzione del D.L. 11 novembre 2021, n. 157 (c.d. Decreto anti-frode), e del D.L. 27 gennaio 2022, n. 4, con i quali il legislatore ha inteso contrastare l’utilizzo indebito, o addirittura fraudolento, delle stesse.

PAROLE CHIAVE: cessione del credito - decreto rilancio - super bonus


di Matteo Clo'

  1. Con l’entrata in vigore del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, (c.d. Decreto rilancio), convertito con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, è stata introdotta nel nostro ordinamento una nuova agevolazione fiscale in tema di edilizia e di efficienza energetica (c.d. Superbonus, per una prima analisi del quale si rimanda a N. TREGLIA, Il “superbonus edilizio: un’opportunità per la riconversione energetica del patrimonio immobiliare italiano, in Tax News, supplemento online a Riv. trim. dir. trib., n. 2/2020, p. 185 ss.). La misura in oggetto, consistente, ai sensi dell’art. 119 del medesimo D.L., in una detrazione pari al 110% delle spese sostenute per la realizzazione di interventi finalizzati a migliorare l’efficienza energetica degli edifici, nonché a ridurne il rischio sismico, si affianca alle agevolazioni già in vigore in tema di edilizia, tra le quali i c.d. Ecobonus e Sismabonus, disciplinati, rispettivamente, dagli artt. 14 e 16 del D.L. 4 giugno 2013, n. 63, convertito dalla L. 3 agosto 2013, n. 90, il c.d. Bonus casa (o Bonus ristrutturazioni), di cui all’art. 16-bis del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ed il c.d. Bonus facciate, di cui all’art. 1, commi 219 e seguenti, della L. 27 dicembre 2019, n. 160.

Il fine perseguito dal legislatore è, da un lato, quello di agevolare interventi antisismici e di efficientamento energetico e, dall’altro, quello di fornire uno stimolo all’economia del Paese, contribuendo alla creazione di nuovi posti di lavoro ed alla valorizzazione del patrimonio immobiliare dei cittadini.

Le misure di incentivo fiscale contenute negli artt. 119 e 121 del c.d. Decreto rilancio hanno fin da subito riscontrato un innegabile successo. Forte è infatti l’attrattività di una detrazione che in alcuni casi addirittura supera l’ammontare delle spese sostenute dai contribuenti. A ciò si aggiunga la possibilità per i beneficiari, alternativamente all’utilizzo diretto di tale detrazione, di optare per la cessione di un credito d’imposta di pari ammontare o per il c.d. sconto in fattura. L’art. 121, comma 1, del D.L. n. 34/2020 prevede infatti che i soggetti che sostengono spese per gli interventi di cui al successivo comma 2 «possano optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione spettante, alternativamente: a) per un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, fino a un importo massimo pari al corrispettivo stesso, anticipato dai fornitori che hanno effettuato gli interventi e da questi ultimi recuperato sotto forma di credito d’imposta, di importo pari alla detrazione spettante […]; b) per la cessione di un credito d’imposta di pari ammontare […]».

L’opzione è esercitabile relativamente agli interventi di: a) recupero del patrimonio edilizio di cui all'art. 16-bis, comma 1, lettere a) e b), D.P.R. n. 917/1986; b) efficienza energetica di cui all'art. 14, D.L. n. 63/2013 e di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 119, D.L. n. 34/2020; c) adozione di misure antisismiche di cui all'art. 16, commi da 1-bis a 1-septies, D.L. n. 63/2013, e di cui al comma 4 dell'art. 119; d) recupero o restauro della facciata degli edifici esistenti, ivi inclusi quelli di sola  pulitura o tinteggiatura esterna,  di  cui all'art. 1, comma 219, L. n. 160/2019; e) installazione di impianti  fotovoltaici di cui all'art. 16-bis, comma 1, lettera h), D.P.R. n. 917/1986, n. 917, ivi compresi gli interventi di cui ai commi 5 e 6 dell'art. 119; f) installazione di colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici di cui all'art. 16-ter, D.L. n. 63/2013, e di cui al comma 8 dell’art. 119.

Nel caso di esercizio dell’opzione per la cessione del credito, il cedente, divenuto titolare di una posizione creditoria nei confronti del Fisco per un ammontare pari alla detrazione cui avrebbe avuto diritto se non avesse optato per la cessione, trasferisce al cessionario il credito d’imposta, il quale acquisisce il credito, subentrando nella situazione soggettiva del cedente. L’obbligazione tributaria dunque non si estingue, ma si modifica dal punto di vista soggettivo. Nel caso invece dell’opzione per lo sconto in fattura, il beneficiario della detrazione riceve uno sconto, a fronte del quale il fornitore ottiene un credito d’imposta di ammontare pari a quello della detrazione cui avrebbe avuto diritto il beneficiario se non avesse esercitato l’opzione. In tal caso, non è ravvisabile alcuna cessione. Il soggetto che concede lo sconto non subentra nella posizione creditoria del cedente, bensì diviene titolare ex lege di un credito d’imposta nuovo e differente. Benché formalmente diverse, le fattispecie della cessione del credito d’imposta e dello sconto in fattura paiono essere accomunate dal legislatore, il quale non sembra distinguere l’una dall’altra né dal punto di vista della disciplina applicabile né, come si dirà nel prosieguo, dal punto di vista dell’eventuale responsabilità dei soggetti coinvolti nel caso di un utilizzo indebito delle agevolazioni in esame.

Inizialmente il credito d’imposta ottenuto dal cessionario o dal fornitore a seguito dell’esercizio da parte del beneficiario di una delle opzioni previste dal comma 2 dell’art. 121, poteva essere ceduto a terzi, i quali a loro volta potevano ulteriormente cederlo ad altri soggetti. Nessun limite era previsto al numero delle cessioni dei crediti derivanti dall’esercizio di tali opzioni. La situazione è tuttavia cambiata con l’entrata in vigore dell’art. 28 del D.L. 27 gennaio 2022, n. 4. Al fine di prevenire il verificarsi di fenomeni fraudolenti, il legislatore ha infatti posto un limite alla cessione dei crediti d’imposta derivanti dall’applicazione delle norme di cui agli artt. 119 e 121 del D.L. n. 34/2020. In particolare, è stato previsto che, nel caso dello sconto in fattura, il fornitore concedente lo sconto possa cedere il credito ottenuto ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari, senza che gli stessi possano successivamente effettuare ulteriori cessioni, mentre si è deciso, nel caso della cessione del credito d’imposta, il cessionario non possa ulteriormente cedere il credito ricevuto dal beneficiario cedente.

 

  1. La possibilità di optare per la cessione del credito d’imposta o per lo sconto in fattura, induce a riflettere in merito alle conseguenze di un eventuale utilizzo errato o indebito delle agevolazioni di cui agli artt. 119 e 121 del D.L. n. 34/2020.

Innanzitutto occorre distinguere tra violazioni meramente formali – le quali secondo il comma 5-bis dell’art. 119 non comportano la decadenza del beneficio – da quelle sostanziali, o, per utilizzare le parole del legislatore, «non meramente formali», che, laddove riscontrate, producono la decadenza dall’agevolazione (pur se limitatamente al singolo intervento oggetto di irregolarità od omissione). La decadenza dal beneficio assume rilevanza diversa a seconda che il beneficiario abbia o meno esercitato una delle opzioni di cui all’art. 121, comma 2, e, nel caso di esercizio delle stesse, a seconda che il cessionario o il fornitore abbiano o meno utilizzato il credito in compensazione. Nel caso in cui il beneficiario non abbia esercitato l’opzione, decidendo di usufruire direttamente della detrazione d’imposta, occorre distinguere l’ipotesi in cui, al momento della commissione delle violazioni «non meramente formali», egli si sia o meno già avvalso del diritto alla detrazione. Nel primo caso egli dovrà restituire le imposte versate in meno in forza dell’utilizzo della detrazione, oltre ad interessi ed eventuali sanzioni. Nel secondo caso, invece, pur decadendo dal diritto ad utilizzare la detrazione concessagli, il contribuente non dovrà restituire alcunché al Fisco, essendo al limite responsabile delle sole sanzioni amministrative tributarie. Analoghe considerazioni valgono per l’ipotesi in cui il beneficiario abbia ceduto il credito d’imposta a terzi o si sia avvalso del c.d. sconto in fattura. Qualora infatti la contestazione della violazione avvenga dopo l’esercizio dell’opzione da parte del beneficiario, ma prima che il cessionario o il fornitore che ha concesso lo sconto abbiano utilizzato il relativo credito d’imposta, nessun recupero potrà essere operato dall’Amministrazione finanziaria né nei confronti del beneficiario né degli altri soggetti. Ciò in quanto la decadenza del beneficio di cui al comma 5-bis dell’art. 119, da un lato, impedisce al cessionario o al fornitore di poter utilizzare il credito ottenuto a seguito dell’esercizio dell’opzione da parte del beneficiario, dall’altro, preclude al beneficiario di godere del diritto alla detrazione (diritto al quale peraltro egli ha “rinunciato” decidendo di esercitare l’opzione per la cessione del credito d’imposta di pari ammontare o per lo sconto in fattura). Tuttavia, l’Agenzia delle entrate, nella circolare 8 agosto 2020, n. 24/E, ha affermato che, «se il cessionario del credito lo acquisisce in buona fede, nel caso in cui vengano riscontrate irregolarità, egli non perde il diritto di utilizzarlo, mentre lo stesso verrà recuperato sull’effettivo beneficiario, maggiorato di interessi e delle sanzioni di cui all’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997».

Il fine perseguito dall’Amministrazione finanziaria nel fornire tale interpretazione è certamente meritevole. Rilevante è infatti la necessità di rendere quanto più stabili possibile i rapporti tra cedente e cessionario, specie nel caso di violazioni addebitabili al solo cedente. Ciò nonostante, l’interpretazione fornita dall’Agenzia fa emergere alcuni dubbi relativamente al significato attribuibile al termine «buona fede». In particolare, non è chiaro se, qualora lo stato di ignoranza o l’erronea conoscenza dell’irregolarità del credito da parte del cessionario sia addebitabile allo stesso a titolo di colpa, egli possa considerarsi o meno in buona fede. Basti pensare all’ipotesi in cui il cessionario ometta di controllare la regolarità del credito cedutogli (o non utilizzi la dovuta diligenza nell’effettuare il relativo controllo). È dubbio se, in tal caso, egli possa comunque utilizzare il credito ottenuto dal cedente anche qualora lo stesso sia decaduto dall’agevolazione.

Altrettanto dubbia è la questione relativa all’onere della prova. L’Amministrazione finanziaria ha, infatti, omesso di specificare se la buona fede di cui si parla nella circolare debba considerarsi presunta – in tal caso sarà il Fisco a dover fornire la prova della “mala fede” (o, al limite, della “colpevole ignoranza”) del cessionario – o se invece sia colui che vuole comunque avvalersi del credito compensazione (nonostante l’intervenuta decadenza dall’agevolazione) a doverla invocare, fornendone la relativa prova.

Un ultimo profilo concerne l’applicabilità dell’interpretazione dell’Agenzia anche all’ipotesi in cui non sia stata esercita l’opzione per la cessione del credito d’imposta, bensì quella dello sconto in fattura. La circolare n. 24/E/2020 fa infatti riferimento al solo cessionario. Sorge dunque spontaneo domandarsi se un analogo discorso possa o meno riguardare il soggetto che, concedendo lo sconto in fattura, diviene titolare di un credito d’imposta di ammontare pari alla detrazione cui avrebbe avuto diritto il beneficiario.

 

  1. In tema di responsabilità dei diversi soggetti che possono essere coinvolti nelle fattispecie in commento, la regola generale è contenuta nel comma 5 dell’art. 121 del D.L. n. 34/2020, il quale prevede che, qualora sia accertata la mancata sussistenza, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta, l’Agenzia delle entrate provvede al recupero dell’importo corrispondente nei confronti dei soggetti di cui al precedente comma 1, ovvero dei soggetti che hanno sostenuto le spese per gli interventi edilizi o di efficientamento energetico e che sono beneficiari del diritto alla detrazione. L’importo di cui al periodo precedente è maggiorato degli interessi di cui all’art. 20 del D.P.R. n. 602/1973 e delle sanzioni di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997. Il cedente, quindi, in quanto soggetto che ha realizzato (e cui è riferibile) la fattispecie in relazione alla quale la legge collega il diritto alla detrazione d’imposta, è sempre responsabile qualora sia accertata la mancata sussistenza dei requisiti che danno diritto all’agevolazione fiscale. Ciò anche qualora egli si sia avvalso del c.d. sconto in fattura o nel diverso caso in cui abbia ceduto a terzi il credito d’imposta. La generale responsabilità del beneficiario del diritto alla detrazione è confermata dal comma 4 del medesimo articolo, ai sensi del quale «i fornitori e i soggetti cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto».

Il richiamo all’art. 13 del D.lgs. n. 471/1997 operato dal comma 5 dell’art. 121 del D.L. n. 34/2020 pare fuorviante. Le sanzioni di cui a tale disposizione riguardano infatti, da un lato, casi di omesso o tardivo versamento derivante dalla dichiarazione, dalla correzione di errori materiali  o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione, o, fuori dei casi di tributi iscritti a ruolo, nel caso di omesso pagamento di un tributo nel termine previsto dalla legge – commi da 1 a 3 –; dall’altro, ipotesi di utilizzo (in compensazione) di crediti d’imposta non spettanti e inesistenti – commi 4 e 5 – (relativamente alla differenza tra crediti non spettanti ed inesistenti, anche alla luce delle pronunce recentemente emesse dalla Corte di Cassazione, si vedano A. GAETA, Inapplicabile il termine di decadenza di 8 anni per l’avviso di recupero se il credito è soltanto “non spettante”, in Il fisco, n. 1/2022, p. 81 ss., e P. COPPOLA, La fattispecie dell’indebito utilizzo di crediti d’imposta inesistenti e non spettanti tra i disorientamenti di legittimità e prassi: la “zona grigia” da dipanare, in Dir. prat. trib., n. 4/2021, p. 1525 ss.).

A ben vedere nessuna di tali violazioni può essere imputata al beneficiario, sia che egli si sia avvalso del diritto alla detrazione, sia che egli abbia optato per la cessione del credito o per lo sconto in fattura. Nel primo caso, infatti, l’utilizzo indebito di una detrazione rappresenta una violazione delle norme in tema di dichiarazione, e non di quelle relative alla (successiva) riscossione dei tributi (cui si riferisce l’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997). Più che l’art. 13, parrebbero dunque applicabili l’art. 1, comma 2, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 471/1997, in tema di dichiarazione relativa ad imposte sui redditi ed IRAP, e del comma 4 del successivo art. 5, in materia di dichiarazione IVA.

Unica eccezione sembra rappresentata dal caso, previsto dal comma 2 dell’art. 13, in cui l’Amministrazione riduca, ai sensi del comma 2, lett. c), dell’art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973, o dell’art. 54-bis del D.P.R. n. 633/1972, le detrazioni d’imposta indicate in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni. Tale possibilità pare tuttavia alquanto limitata. Difficilmente, infatti, l’Amministrazione sarà in grado di contestare la non spettanza della detrazione in esame avvalendosi dei soli dati contenuti nelle dichiarazioni presentate dal contribuente. Nella maggior parte dei casi, infatti, la contestazione derivante dall’Amministrazione finanziaria farà seguito alla richiesta (o all’acquisizione) di documentazione relativa all’effettiva effettuazione dei lavori cui l’agevolazione si riferisce da parte del beneficiario, nonché della coerenza degli stessi con le norme di cui agli artt. 119 e 121 del D.L. n. 34/2020.

Nel secondo caso, invece, il beneficiario, avendo ceduto il credito d’imposta o optato per lo sconto in fattura, non commette alcun omesso versamento né opera alcuna compensazione, in quanto detta compensazione può essere operata solo dal cessionario o dal fornitore che sono divenuti titolari del credito derivante dall’opzione esercitata dal beneficiario stesso. Fa eccezione il solo caso in cui al beneficiario sia contestato di aver utilizzato il credito non spettante o inesistente in concorso (ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n. 472/1997) con il cessionario o il fornitore che abbiano materialmente effettuato la relativa compensazione.

Analoghe considerazioni valgono relativamente alla responsabilità penale. Nel caso in cui il beneficiario si avvalga della detrazione, infatti, ad esso non potrà essere contestato il reato di indebita compensazione previsto dall’art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000. Egli potrà invece rispondere, a seconda dei casi, di uno dei reati in materia dichiarativa previsti dagli artt. da 1 a 3 del medesimo testo di legge, in materia, rispettivamente, di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e dichiarazione infedele. Nel caso, invece, il beneficiario abbia ceduto il credito o si sia avvalso dello sconto in fattura, ed il cessionario o il fornitore lo abbiano utilizzato in compensazione, egli potrà eventualmente concorrere con gli stessi nella realizzazione del reato di cui al citato art. 10-quater - sul punto, E. MUSCO - F. ARDITO, Diritto penale tributario, Bologna, 2013, pp. 296-297 - (sulla responsabilità penale derivante da un indebito utilizzo delle agevolazioni di cui agli artt. 119 e 121 del D.L. n. 34/2020 si vedano R. SAVI, Il c.d. “Superbonus 110%”: i possibili illeciti e la risposta sanzionatoria penale, in Giurisprudenza penale web, n. 9/2020; S. D’ALESSIO, Superbonus: natura del credito d’imposta e conseguenze per il suo utilizzo fraudolento, in Il fisco, n. 28/2021, p. 2747 ss.; F. COLAIANNI – D. COLOMBO, Indebita compensazione e dichiarazione fraudolenta tra crediti non spettanti e inesistenti. Focus sul cd. “superbonus 110%”, in Giurisprudenza penale web, n. 12/2021).

Una deroga alla regola generale in tema di responsabilità del beneficiario è contenuta nel comma 6 dell’art. 121 del D.L. n. 34/2020, che afferma che il recupero dell’importo di cui al precedente comma 5 è effettuato nei confronti del soggetto beneficiario della detrazione, ferma restando, in presenza di concorso nella violazione, oltre all’applicazione dell’articolo 9, comma 1, del D.Lgs. n. 472/1997, anche la responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e dei cessionari per il pagamento dell’importo di cui al comma 5 e dei relativi interessi (escluse le sanzioni). La responsabilità in solido di fornitori e cessionari pare essere, dunque, circoscritta al caso di concorso nella violazione perpetrata dal beneficiario.

La previsione da parte del legislatore della responsabilità in solido del cessionario o del fornitore nel caso in cui essi concorrano nella commissione della violazione pone due interrogativi.

Il primo ha ad oggetto il significato attribuibile alla «responsabilità in solido» di cui al comma 6 dell’art. 121 del D.L. n. 34/2020. Come noto, infatti, nel diritto tributario esistono due ipotesi di solidarietà passiva: la prima paritaria, la seconda dipendente. Solo in relazione alla solidarietà passiva di tipo dipendente si parla, in dottrina, di “responsabile d’imposta” (per tutti F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Vol. I. Parte generale, Torino, 2020, p. 126). Il termine “responsabile” nel diritto tributario pare dunque caratterizzato da uno specifico significato. Ciò induce a ritenere che la posizione di fornitori o cessionari, nel caso di concorso di persone ex art. 9 D.Lgs. n. 472/1997, appartenga al novero della solidarietà passiva dipendente. Conseguentemente, nell’ipotesi in cui fornitore o cessionario, quali responsabili d’imposta, paghino il tributo, avranno diritto di regresso per l’intero nei confronti dell’obbligato principale, ovvero il soggetto beneficiario dell’agevolazione. Tali conclusioni paiono peraltro coerenti con la decisione del legislatore di ritenere generalmente responsabile il beneficiario dell’agevolazione nel caso in cui sia accertata la mancata sussistenza dei requisiti collegati al godimento della stessa, in quanto soggetto che ha realizzato, e cui è riferibile, la fattispecie in relazione alla quale la legge collega il diritto alla detrazione d’imposta.

Il secondo interrogativo riguarda l’effettiva applicabilità della fattispecie del concorso di persone di cui all’art. 9 del D.Lgs. n. 471/1992 ai casi in cui sia accertata la mancata sussistenza dei requisiti per il godimento delle agevolazioni di cui agli artt. 119 e 121 del D.L. n. 34/2020 dopo che sia stata esercitata l’opzione per la cessione del credito o dello sconto in fattura.

In dottrina, si è ritenuto che la semplice consapevolezza – solitamente inidonea ad applicare la disciplina del concorso ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n. 472/1997 (C. RICCI, Il concorso di persone, in A. GIOVANNINI – A. DI MARTINO – E. MARZADURI (a cura di), Trattato di diritto sanzionatorio tributario, Tomo II, p. 1525; L. DEL FEDERICO, Violazioni e sanzioni in materia tributaria: I – Violazioni e sanzioni amministrative, in Enc. giur., 2001, Vol. XXXVII, p. 9 – in relazione alla fattispecie in questione implica automaticamente la conversione del “fatto” del contribuente in “fatto proprio” anche del terzo. Inevitabilmente, infatti, la semplice conoscenza del fatto fa sì che fornitore o cessionario utilizzino scientemente un credito inesistente o non spettante, alimentando una circolazione illecita (così S. GIORGI, Superbonus: riqualificazione energetica, “rivoluzione verde” e dubbi sul regime di responsabilità di fornitori e cessionari, in Riv. dir. trib., Supplemento online, 6.9.2021, in cui si sostiene che, più che di concorso di persone in senso tecnico, il fornitore o il cessionario risponderanno per fatto proprio, per una violazione autonomamente commessa, utilizzando in compensazione il credito inesistente non spettante). Nulla vieta tuttavia che, come anticipato, l’Agenzia contesti il concorso non del fornitore o del cessionario nella realizzazione della violazione propria del beneficiario dell’agevolazione, ma viceversa. In tal caso, infatti, la violazione principale sarebbe addebitabile al cessionario o al fornitore che abbiano effettuato l’indebita compensazione, mentre il beneficiario sarebbe responsabile a titolo di concorso, in quanto soggetto che ha fornito loro il credito d’imposta. Ciò permetterebbe peraltro all’Amministrazione finanziaria di poter trarre vantaggio dalla solidarietà tra il beneficiario ed il soggetto che ha realizzato materialmente la compensazione.

Finora si è avuto riguardo ad ipotesi in cui fornitore o cessionario sono consci dell’inesistenza o della non spettanza del credito ottenuto dal beneficiario; ipotesi riconducibile, dal punto di vista dell’elemento soggettivo, al dolo. Ai fini della responsabilità amministrativa tributaria, ai sensi del comma 1 dell’art. 5 del D.Lgs. n. 472/1997, è tuttavia sufficiente la colpa. Ciò induce a riflettere, come peraltro anticipato, sulla possibilità che l’Amministrazione finanziaria ritenga responsabile il fornitore o il cessionario che abbiano utilizzato un credito non spettante o inesistente anche qualora essi, pur non essendo a conoscenza dell’irregolarità del credito, non abbiano utilizzato la dovuta diligenza nell’acquisire e nell’utilizzare (in compensazione) lo stesso; diligenza che, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., dovrà essere valutata tenendo conto della natura professionale dell’attività esercitata dal fornitore o dal cessionario.

 

  1. Con il D.L. 11 novembre 2021, n. 157 (c.d. Decreto Anti-frode) – le cui disposizioni sono confluite nella L. 30 dicembre 2021, n. 234 – il legislatore è intervenuto al fine di ridurre il rischio che le agevolazioni possano essere utilizzate in maniera indebita o fraudolenta. Da un lato, il D.L. n.157/2021 ha introdotto nuovi adempimenti per i contribuenti che vogliono avvalersi delle agevolazioni di cui agli artt. 119 e 121 del D.L. n. 34/2020; dall’altro, è intervenuto in tema di controllo preventivo e di recupero delle somme indebitamente non versate da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Relativamente al primo ambito di intervento, è stato esteso l’ambito di applicazione dell’obbligo di richiedere il visto di conformità dei dati relativi alla documentazione che attesta la sussistenza dei presupposti che danno diritto al godimento dell’agevolazione (art. 119, comma 11, D.L. n. 34/2020), nonché dell’obbligo dell’asseverazione da parte di un tecnico abilitato della congruità delle spese sostenute (artt. 119, commi 13 e 13-bis, e 121, comma 1-ter, D.L. n. 34/2020).

Tali modifiche non paiono tuttavia portare elementi di novità relativamente a quanto affermato finora in tema di responsabilità del beneficiario nel caso di utilizzo indebito delle agevolazioni in esame. Il rapporto d’imposta è infatti un rapporto di diritto pubblico tra il contribuente che sostiene le spese per le le quali la legge prevede il diritto alla detrazione fiscale e l’Erario, mentre il rapporto tra il soggetto che rilascia l’attestazione o l’asseverazione ed il contribuente che si rivolge ad esso è di tipo privatistico. Ciò significa che nel caso in cui il professionista rilasci un’attestazione o un’asseverazione errata o non veritiera egli non sarà in nessun modo responsabile dell’errore commesso nei confronti del Fisco, né potrà “sostituirsi” al beneficiario nel pagamento della maggior imposta dovuta e non versata in seguito all’indebito utilizzo delle agevolazioni previste dalla legge. Tuttalpiù il fatto che il contribuente sia stato incolpevolmente tratto in errore da un’errata attestazione o asseverazione, potrebbe essere ritenuto un fatto idoneo ad escludere la colpevolezza dello stesso, andando ad influire non sui tributi da versare e sui relativi interessi ma sulle sole sanzioni. Nulla vieta, tuttavia, che, nel caso in cui il professionista o il tecnico incaricati svolgano la propria attività in modo errato, il beneficiario della detrazione potrà “rivalersi”, con azione di risarcimento danni, nei confronti degli stessi.

In relazione al secondo ambito di intervento, le novità apportate dal Decreto anti-frode sono due.

L’art. 2 del D.L. n. 157/2021 introduce nel D.L. n. 34/2020 il nuovo art. 122-bis, comma 1, ai sensi del quale l’Agenzia delle entrate, entro cinque giorni dall’invio della comunicazione dell’avvenuta cessione del credito, può sospendere, per un periodo non superiore a trenta giorni, gli effetti delle comunicazioni delle cessioni, nonché delle opzioni di cui all’art. 121, comma 1, che presentino profili di rischio, ai fini del relativo controllo preventivo. Ai sensi del successivo comma 2, se all’esito del controllo risultano confermati i profili di rischio individuati nel precedente comma 1, la comunicazione si considera non effettuata. Se i rischi non risultano confermati, ovvero decorso il periodo di sospensione di trenta giorni, la comunicazione produce gli effetti previsti (sul punto e per approfondimenti si veda S. RIVETTI, Il punto su… il contrasto alle frodi nel settore delle agevolazioni fiscali edilizie e il d.l. n. 157/2021: quando la gatta frettolosa mette al mondo figli ciechi, in Riv. dir. trib., Supplemento online, 07/01/2022).

L’art. 3, comma 2, del D.L. n. 157/2021 (disposizione ora contenuta nell’art. 1, comma 32, della L. 30 dicembre 2021, n. 234) prevede che per il recupero degli importi dovuti non versati, compresi quelli relativi a contributi indebitamente percepiti o fruiti ovvero a cessioni di crediti di imposta in mancanza dei requisiti, nonché relativi interessi e sanzioni, l’Agenzia delle entrate può procedere, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione, alla notifica di un atto di recupero emanato in base all’art. 1, commi 421 e 422 della L. 30 dicembre 2004, n. 311. Ciò, sia nei casi di indebita detrazione sia in quelli di utilizzo in compensazione di un credito non spettante o inesistente.

A differenza degli avvisi di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. n. 600/1973, degli avvisi di accertamento emessi in ambito IVA, e del procedimento ordinario d’irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 16 del D.Lgs. n. 472/1997, l’atto di recupero non pare dover essere sottoposto ad alcun contradditorio preventivo (sulla criticata non estendibilità dell’obbligo del contradditorio preventivo endoprocedimentale laddove esso non sia espressamente previsto dalla legge, si vedano G. MARONGIU, Il contraddittorio non è d’obbligo, in Dir. prat. trib., n. 2/2016, p. 702; G. CORASANITI, Il principio del contraddittorio nella giurisprudenza nazionale e dell’Unione europea, in Dir. prat. trib., n. 4/2016, p. 1575 ss.; A. GIOVANNINI, Il contraddittorio endoprocedimentale, in Rass. trib., n. 1/2017, p. 11 ss.). Ciò comporta sicuramente uno svantaggio per il contribuente, il quale potrà ricevere la notifica di tale atto, peraltro dotato di efficacia esecutiva, senza aver prima la possibilità di instaurare un preventivo contradditorio con l’Amministrazione.

Il termine di cinque anni previsto dall’art. 3, comma 3, del D.L. n. 157/2021 (ora art. 1, comma 422, L. 30 dicembre 2021, n. 234) non si applica relativamente al recupero delle somme derivanti da utilizzo in compensazione di crediti inesistenti. In tal caso, infatti, l’art. 27, comma 16 del D.L. n. 185/2008 prevede che l’atto previsto dall’art. 1, comma 421, della L. 30 dicembre 2004, n. 311, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazioni deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello in cui è avvenuta la compensazione.