Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

04/10/2021 - Ristretta base azionaria: la necessità di una disciplina legislativa in materia tributaria

argomento: IRES - Giurisprudenza

Alcuni istituti del diritto tributario italiano, spesso, violano e non tutelano i diritti dei contribuenti. In tale ambito, è possibile inquadrare la ristretta base azionaria, da cui la giurisprudenza presuppone la presunzione di distribuzione di utili extrabilancio. I recenti interventi della Corte di Cassazione, sul punto, rendono necessaria l’analisi delle criticità dell’istituto in esame, ponendo l’obiettivo di valutare possibili interventi legislativi al fine di istituire una apposita disciplina tributaria.

PAROLE CHIAVE: ristretta base sociale - distribuzione utili - presunzione -


di Stefano Gargano

  1. Nell’ottica di un giusto processo ex art. 111 Cost., al fine di garantire la condizione di parità tra la posizione dell’Amministrazione finanziaria ed il contribuente, appare sempre più evidente l’esigenza di regolamentare legislativamente la presunzione fondata sulla ristretta base azionaria di origine giurisprudenziale, in base alla quale si presume, ai fini fiscali, la distribuzione di utili ai soci da parte delle società di capitali.

Difatti, in tale ambito, numerosi sono gli elementi che rendono tale presunzione in contrasto con il diritto di difesa e la parità delle armi, su cui si fonda il processo tributario.

Nelle ipotesi di società a responsabilità limitata, composta da un numero ristretto di soci, l’Amministrazione Finanziaria presume la distribuzione ai fini impositivi, in capo ai soci, di utili extracontabili, applicando lo schema per trasparenza, relativo però alle società di persone. Sarà onere del contribuente, poi, offrire la prova contraria, anche mediante presunzioni, utile a vincere le contestazioni mosse dall’Ufficio.

Poiché, ad ora, la giurisprudenza non è giunta a soluzioni che si conformino al principio di parità delle armi, al giusto processo ed al diritto di difesa, occorrerebbe regolare correttamente, attraverso una specifica disciplina legislativa, il riparto dell’onere della prova mediante una apposita disciplina tributaria. 

 

 

  1. Sulla base della ristretta base sociale, quale compagine sociale composta da un numero ristretto di soci, legati spesso da rapporti di parentela, la giurisprudenza degli anni 2000 ha fondato la presunzione di distribuzione ai soci di utili non contabilizzati (Cass. nn. 214157/2007, 7234/2000, 5607/2011, 10793/2016, 3990/2000). Ciò ha legittimato, nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate effettui controlli nei confronti di una società a ristretta base azionaria (esempio lampante è la società a responsabilità limitata), l’emissione dell’accertamento in capo alla società in questione, e nei confronti dei soci (F. Rasi, La “trasparenza per presunzione” delle società a ristretta base proprietaria: l’attendibilità delle presunzioni ed il problema della qualificazione del reddito, in Riv. Trim. Diritto Tributario, 2021), poiché presuntivamente ritiene distribuiti gli utili non contabilizzati.

Appare chiaramente, che la ristretta base azionaria quale fatto noto su cui si fonda la distribuzione di utili societari, sia frutto di una doppia presunzione, nonostante l’ormai acclarato divieto di presunzione di secondo grado, essendo fondata, a sua volta, sull’accertamento presuntivo di utili extra-bilancio in capo alla società. In realtà, la giurisprudenza di legittimità, oltre a riconoscere, irragionevolmente, la legittimità delle doppie presunzioni nel nostro ordinamento (Cass. 23860 del 29.10.2020: “La giurisprudenza di questa Corte si sta progressivamente assestando sulla posizione per cui l’invocato divieto di doppia presunzione, o di presunzione di secondo grado o a catena, è, in realtà, inesistente nel nostro sistema, nel senso che non è previsto e codificato da alcuna disposizione di legge … Il problema, quindi, come rilevato anche dalla dottrina, non è stabilire se sia giuridicamente ammissibile ricavare un fatto per presunzione da una precedente presunzione, ma, piuttosto, valutare l’attendibilità del risultato di questa sequenza logica”) e la progressiva, ed allarmante, tendenza in tale direzione, ha più volte ribadito che il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario (sentenze Cass. nn. 27067/2016, 8032/2013, 24572/2014, 25271/2014), dall’elemento della familiarità (il concetto di familiarità e parentela non è elemento essenziale, ma esclusivamente rafforzativo della presunzione, in quanto la ristrettezza della base sociale indica un elevato grado di compartecipazione dei soci, Suprema Corte, sentenza n. 24572/2014) e dal vincolo di solidarietà, presumendo la complicità (per presunzione di complicità Cass. n. 6225/1995; Cass. n. 5729/1995) ed il reciproco controllo dei soci, che caratterizza, normalmente, la gestione sociale (Cass. 18640/2008). Affinché tale presunzione possa operare nei confronti del singolo socio, occorre che sia stato notificato preventivamente l’avviso di accertamento nei confronti della società in riferimento agli utili non dichiarati. Invero, già tale concetto espresso dalla Suprema Corte appare contraddittorio in quanto la presunzione può basarsi sulla ristrettezza della base sociale, ma è connessa preliminarmente all’accertamento societario e quindi fondato su precedenti presunzioni, relative a maggiori utili non dichiarati, nel caso di accertamento induttivo. Pertanto la ristretta base partecipativa, assume valore principale, come se fosse una presunzione legale, di distribuzione di utili per le società di capitali, a cui la giurisprudenza riconosce i requisiti della gravità, precisione e concordanza dell’art. 39, c. I, lett. d), DPR 600/1973. Per di più, è evidente che non può, in alcun modo, ritenersi sufficiente sul piano probatorio la sola ristrettezza della base azionaria (Della Valle, Presunzione di riparto di utili occulti nelle società a ristretta base azionaria, in Le Società, 1991, p. 826; Rossi, Società a ristretta base azionaria e presunzione di distribuzione di utili ai soci, in relazione al problema dell’elusione fiscale, in Dir. prat. trib., 1991, p. 546), ai fini della dimostrazione degli utili occulti. Si tratta infatti di un mero indizio (Cass. n. 3254/2000) su cui non è possibile fondare il ragionamento presuntivo senza altri elementi gravi, precisi e concordanti ai sensi dell’art. 2729 c.c. che consentano di far risultare la distribuzione di utili come conseguenza ragionevole della ristrettezza della base partecipativa. A tal fine, la dottrina (F. Amatucci, Diritto di difesa e presunzioni di distribuzione di utili nelle società di capitali a ristretta base azionaria, in Corr. Trib. 2018, p. 525; F. Rasi, La “trasparenza per presunzione” delle società a ristretta base proprietaria: l’attendibilità delle presunzioni ed il problema della qualificazione del reddito, in Riv. Trim. Diritto Tributario, 2021) e la giurisprudenza di merito considerano necessaria l’esistenza di elementi concreti, quali movimentazioni bancarie, delibere societarie ed effettuazione di operazioni finanziarie, da parte dell’Ufficio su cui fondare l’effettiva distribuzione al socio di utili extracontabili rilevabili in capo alla società, in grado di determinare un maggior reddito imponibile. A ben vedere, inoltre, attraverso la presunzione di distribuzione di utili, fondata sulla ristretta compagine sociale (fatto noto), si riconosce automaticamente l’esistenza, nel caso specifico, di un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo della società da parte dei soci (fatto ignoto), che va dimostrato, creando quindi una catena di presunzioni interne. La sentenza n. 66/2007 della CTR Puglia ha affermato in proposito  che “dalla ristretta base azionaria non solo si fa discendere sia la presunzione di complicità fra i soci che quella di effettiva distribuzione di utili ai soci stessi, ma si fa ulteriormente discendere che tali utili sono stati distribuiti nello stesso anno di produzione e nella stessa porzione di partecipazione al capitale sociale, in una concatenazione di presunzioni che mostra i suoi gravi limiti sia nel fatto che esclude che possa esservi stata alcuna distribuzione, ovvero che vi possa essere stata una diversa misura di distribuzione di tali utili o che la distribuzione possa essere avvenuta in esercizi diversi da quello al quale vengano riferiti”. La presunta complicità tra i soci della compagine sociale dovrebbe essere dimostrata concretamente, invero la Cassazione non richiede mai tale prova.

Per meglio analizzare tale istituto, occorre esaminare preliminarmente la maggior criticità della ristrettezza azionaria; invero il punto centrale della questione è rappresentato dalla corretta ripartizione dell’onere della prova (Ficari, Presunzione di assegnazione di utili extrabilancio ai soci e imputazione di costi fittizi, in Corr. trib., 2008, p. 1054). Difatti mediante tale presunzione di distribuzione degli utili, vi è l’inversione dell’onere della prova, che è esclusivamente in capo al contribuente, il quale dovrà dimostrare la mancata distribuzione degli utili non contabilizzati o di non aver percepito alcunché dalla società, in totale distorsione dell’istituto della parità delle armi.

Le conseguenze dell’operato dell’Amministrazione Finanziaria, in questa direzione, possono rivelarsi piuttosto gravi, considerando che il tessuto imprenditoriale italiano è costituito prevalentemente da piccole e medie imprese, spesso a carattere familiare, motivo per cui, dimostrare la mancata percezione degli utili non contabilizzati, appare quantomeno diabolico. Sul punto, la recente pronuncia della Cassazione n. 4117/2021 ha accolto il ricorso dell’Ag. E. in quanto non ha ritenuto sufficiente, ai fini del superamento della presunzione di distribuzione di utili non contabilizzati, la denuncia proposta dal socio nei confronti dell’amministratore societario per appropriazione indebita né la richiesta di informazioni sull’andamento della società.

 

  1. Occorrerebbe innanzitutto dare una definizione giuridica di società a ristretta base sociale, ad oggi non ravvisabile nel diritto tributario italiano. Bisognerebbe ridurre la possibilità di utilizzo di tali presunzioni giurisprudenziali come esclusivi elementi fondanti e probanti della pretesa impositiva, a tutela del contribuente, ma non l’ambito di intervento e applicazione dell’Amministrazione Finanziaria.

La giurisprudenza fino ad ora ha ritenuto “ristretta” una società composta da uno a cinque soci, ancor di più se legati da rapporti di parentela (Ceriana, La presunzione di distribuzione degli utili in presenza di società a ristretta base azionaria, in Dir. e prat. trib., 2004, p. 1451 ss). Ma tale interpretazione non offre alcuna garanzia, né certezza per il contribuente. Non è sufficiente la mera indicazione numerica per la definizione di ristretta base azionaria, mentre può assumere rilevanza il vincolo che lega i diversi soci. Peraltro appare assolutamente non necessario da solo il concetto di familiarità, parentela e solidarietà, considerando che la maggior parte delle piccole società italiane è a conduzione familiare, e che la scelta del socio con cui costituire la società è influenzata inevitabilmente dal vincolo di solidarietà e conoscenza.

Dunque, può rappresentare, senza dubbio, elemento di utilità, certezza e garanzia per il contribuente un intervento legislativo volto a normare giuridicamente la società a ristretta base azionaria, ma ciò deve considerarsi esclusivamente un punto di partenza. Oltre alla mera indicazione numerica relativa al numero di soci costituenti la società per la definizione di ristretta base, occorre, necessariamente, ribaltare l’onere della prova. L’Amministrazione Finanziaria, mediante l’Agenzia delle Entrate, effettua attività di accertamento, pertanto oltre ad accertare utili non contabilizzati in capo alla società, è e deve essere in grado di accertare e successivamente di dimostrare, la distribuzione degli utili non contabilizzati in capo al socio ai fini dell’emissione dell’avviso di accertamento nei confronti di quest’ultimo, mediante prove piene e dirette. La fase istruttoria del procedimento tributario non dovrebbe limitarsi a ricostruire il maggior reddito in capo alla società, ma sarebbe necessaria una attenta e precisa ricostruzione della provenienza e del trasferimento di tali maggiori redditi (CTR Lombardia n. 3662/2015, CTR Emilia Romagna n. 2322/2016, CTR Lazio n. 2502/2016 e CTR Lombardia n. 1812/2016).

Non si comprende come da una presunzione semplice di natura giurisprudenziale, mediante la quale si disconosce l’esistenza giuridica della società di capitali (CTP Bari n. 6354 del 16 febbraio 1994), si possa dedurre una prova in ordine all’esistenza di utili non contabilizzati e in relazione alla ripartizione di tali utili in capo ai singoli soci (Cass.14046/2009: deve ritenersi apodittica ed apparente, e di conseguenza inficiata dal vizio di motivazione, la sentenza che legittima l'accertamento nei confronti del socio, affermando che i ricavi non contabilizzati della società, pur non provati documentalmente, siano da soli idonei a dimostrare il maggior reddito del socio in base alla logica, al buon senso e all'id quod plerumque accidit). Difatti, tenendo conto della natura delle compagini societarie nazionali, non tutti i soci hanno il controllo amministrativo contabile della società, motivo per cui non possono essere edotti su tutte le movimentazioni effettuate da chi detiene la gestione finanziaria della società. Vi sono, poi, casi in cui i soci non si occupano direttamente della gestione societaria, ad esempio società ereditate dai familiari, i cui eredi, in molti casi, hanno esclusivamente quote di partecipazione. Possono esserci, inoltre, casi in cui un socio ha posto in essere operazioni commerciali non fatturate all’insaputa degli altri componenti della compagine societaria. Non di minor importanza, è la circostanza che i rapporti sociali, di frequente, tendono nel tempo a mutare ed a deteriorarsi, fino a che alcuni soci operino, nel contesto sociale, contrariamente al vincolo di solidarietà, tendendo conto esclusivamente dei propri interessi. Pertanto, per i soggetti che non hanno effettivamente beneficiato di utili extra bilancio, appare tortuosa la dimostrazione della prova contraria.

L’Ufficio, nell’emettere tali accertamenti, presume che gli utili non contabilizzati siano stati distribuiti in parti uguali ai singoli soci, o in base alle quote di partecipazione; tale orientamento è stato confermato dalla Suprema Corte (Cass. 18383/2020, 16913/2020, 24534/2017, 27067/2016). Invero, è ragionevole ipotizzare che gli utili non contabilizzati potrebbero non essere stati ripartiti tra i soci in proporzione delle rispettive quote di partecipazione, difatti occorre tener presente di elementi quali il diverso apporto dato dai singoli soci nella realizzazione degli utili in questione, i vincoli, le responsabilità, le gerarchie familiari esistenti nella compagine societaria e, ancor di più, che solo alcuni soci ne abbiano effettivamente beneficiato.

In questo senso, l’intervento da parte del legislatore nazionale dovrebbe essere diretto alla regolamentazione dell’onere della prova che, stante l’attività accertativa dell’Amministrazione finanziaria, necessariamente deve ricadere in capo a quest’ultima sulla base degli elementi di gravità, precisione e concordanza. L’amministrazione, ai sensi dell’art. 53 Cost. deve verificare la concreta ed effettiva capacità contributiva da parte dei soci, in presenza di una ristretta base azionaria; in tal senso opera il principio del buon andamento della P. A., secondo il quale nella fase istruttoria l’Ente impositore deve valutare ogni aspetto attinente alla fattispecie impositiva, potendo emettere l’atto tributario solo quando sarà stata superata la valutazione dei requisiti previsti ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c.

Può dunque assumere rilevanza, ai fine della dimostrazione della distribuzione di utili in capo al socio, l’acquisto di immobili nel medesimo contesto temporale, l’effettuazione di operazioni  bancarie e finanziarie, la sottoscrizione di polizze o rendite vitalizie, i rapporti bancari, ed il tenore di vita del contribuente (Piccardo, Sul valore meramente indiziario della ristretta base azionaria ai fini della prova della distribuzione ai soci del maggior reddito accertato a carico di un società, in Dir. prat. trib., 2000, II, p. 1131). Potrebbe essere utile quindi, fondare la presunzione di distribuzione di utili extra-bilancio in capo ai soci su presunzioni legali relative, in grado di individuare condizioni e requisiti specifici, al fine di rafforzare, ma anche di ridimensionare, l’istituto della ristretta base sociale (F. Amatucci, Diritto di difesa e presunzioni di distribuzione di utili nelle società di capitali a ristretta base azionaria, in Corr. Trib. 2018, p. 525). Solo in seguito alla dimostrazione di tali elementi da parte dell’Ag. E., può incombere la prova contraria in capo al contribuente (Beghin, Rapporti partecipativi, elusione della società e conseguente evasione dei soci. Osservazioni critiche tra funambolismo” degli uffici fiscali e il torpore” dei giudici, in Boll. trib., 2007, p. 1765).

Risultano, inoltre, necessari interventi anche sull’onere della prova contraria in capo al contribuente. La giurisprudenza ritiene “salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti” (Cass. n. 18383 del 04.09.2020). Secondo tale orientamento il contribuente, per superare le presunzioni dell’Amministrazione Finanziaria, dovrebbe fornire esclusivamente una prova contraria piena e diretta, come prevedeva inoltre il precedente orientamento giurisprudenziale di legittimità in merito agli accertamenti bancari (Cass. n. 18016/2005). Poiché, però, l’Ufficio fonda gli avvisi di accertamento in questione su mere presunzioni giurisprudenziali, sarebbe opportuno, in virtù della parità delle armi, che il contribuente potesse fornire la prova contraria anch’egli attraverso presunzioni semplici. Tale deduzione trae origine dal recente orientamento di legittimità in tema di accertamenti bancari, attraverso cui la Suprema Corte, con la sentenza n. 27818 del 04.12.2020, ha stabilito che il contribuente può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici.

 

  1. Il giudizio di impugnazione instaurato dal socio avverso l’accertamento di distribuzione di utili extra-bilancio, deve essere sospeso sino alla definizione del giudizio sull’accertamento societario (l’art. 295 c.p.c., prevede la sospensione nel caso di pregiudizialità tra i giudizi; il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa), in quanto la verifica dell’effettiva esistenza dei redditi non dichiarati dalla società ed il suo preciso ammontare è condizione necessaria per determinare il corretto importo dei dividendi presuntivamente distribuiti ai soci; in tal senso il giudizio societario è pregiudiziale a quello dei soci. L’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte ha ravvisato l’esistenza di pregiudizialità del giudizio sull’accertamento societario, prevedendo la sospensione necessaria (Luiso, Diritto processuale civile – Il processo di cognizione, vol. II, Milano, 2007, p. 223) ed asserendo che “l’accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a base ristretta, nella specie riferito ad utili extrabilancio, costituisce un indispensabile antecedente logico giuridico dell’accertamento nei confronti del socio … con la conseguenza che … quello relativo al maggior reddito in capo al socio deve essere sospeso“ (Cass. Ordinanza n. 12900/2018); La S.C. ritiene che tra l’art. 39 d.lgs. 546/92 e l’art. 295 c.p.c. non vi sia incompatibilità logica, pertanto il processo tributario può essere sospeso anche in casi diversi da quelli previsti dalle norme citate ( Cass., sez. trib., 31 gennaio 2011, n. 2214; Cass., sez. trib., 10 marzo 2006, n. 5366; Cass., sez. trib., 14 maggio 2007, n. 10952; Cass., sez. trib., 10 marzo 2006, n. 5366; Cass., sez. trib., 6 settembre 2004, n. 17937).

Rappresenta, quindi, un principio consolidato quello secondo cui il socio destinatario di un accertamento, fondato sulla distribuzione di utili non contabilizzati accertati in capo alla società, può chiedere la sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c. e art. 39 d.lgs. 546/92 sino all’esito della definizione del giudizio pregiudiziale, al fine di valutare correttamente e definitivamente l’effettiva esistenza degli utili societari non contabilizzati, per poi valutare la posizione fiscale dei singoli soci.

Soltanto la definitività dell’accertamento sul reddito extra-bilancio della società partecipata può costituire il presupposto logico giuridico su cui fondare il ragionamento di tipo presuntivo (Cass. n. 9849/2011, Cass. n. 8207/2011, Cass. n. 3980/2000). In assenza di giudicato, difatti, manca il fatto economico ed il presupposto giuridico per la ripresa a tassazione nei confronti del socio e la ristretta base assume esclusivamente valore di mero indizio della ripartizione occulta (Cass. n. 2409/2011, Cass. n. 8209/2011; Ficari, Presunzione di assegnazione di utili extrabilancio ai soci, in Corr. Trib. 2008, p. 1055; Fanelli, Quando gli utili extrabilancio sono tassabili in capo ai soci, in Corr. trib., 2000, p. 2130).

Di contro, vi è una giurisprudenza, residuale, di Cassazione che non ritiene necessaria la sospensione del giudizio relativo ai soci per pregiudizialità, bensì reputa sufficiente la riunione dei giudizi del socio e della società. L’ordinanza di legittimità n. 16294/2014, dando seguito alle sentenze nn. 2214/11 e 1865/12, ritiene che “la contemporanea pendenza del processo sull’avviso di accertamento nei confronti della società e del processo sull’avviso di accertamento nei confronti del socio impone un coordinamento realizzabile o attraverso il meccanismo della sospensione … o attraverso il meccanismo, utilizzato dalla Commissione Tributaria Regionale, della riunione dei processi”. Secondo tale orientamento, in contrasto con la disciplina della sospensione prevista dall’art 39 co. 1 bis d.lgs. n. 546/92 ed art. 295 c.p.c., la riunione dei giudizi assicura l’unitarietà di trattazione e l’uniformità di giudizio. In realtà, la sospensione del giudizio per pregiudizialità rappresenta, ad ora, l’unico elemento a tutela del contribuente, come confermato dagli orientamenti giurisprudenziali più recenti, pertanto dovrebbe essere sempre garantita dai giudici di merito.

 

  1. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27049 depositata il 23 ottobre 2019 (“In attuazione del principio costituzionale di eguaglianza formale e sostanziale e del principio costituzionale di capacità contributiva e del principio, che ne è corollario, del divieto dell'abuso del diritto tributario, la presunzione dell'imputazione degli utili extra bilancio ai soci di una società di capitali K, a ristretta base sociale, opera nei confronti dei soci della società di capitali L, che sia socia della società K e che, a sua volta, sia a ristretta base sociale”), ha affermato che la presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio opera anche nei confronti dei soci di secondo grado. Ciò accade qualora la società a ristretta base azionaria abbia tra i propri soci un’altra società, anch’essa a ristretta base sociale, pertanto l’accertamento, nella fattispecie in esame, sarà notificato anche al socio della società che risulta socia della prima compagine, poiché, come asserito dalla Suprema Corte, riconosciuto come titolare effettivo dei redditi prodotti dalla prima società. Tale pronuncia è diretta all’attuazione del principio costituzionale di eguaglianza formale e sostanziale, del principio costituzionale di capacità contributiva e del principio, che ne è corollario, del divieto dell'abuso del diritto tributario.

In opposizione a tale orientamento di legittimità, i Giudici di merito della CTR della Lombardia con la recente sentenza n. 719/2020, limitando l’ambito di applicazione dell’istituto in esame, hanno statuito che la presunzione non trova applicazione qualora la società accertata risulti partecipata da un soggetto giuridico terzo ancorché a ristretta base societaria. Nella fattispecie il Collegio della CTR ha accolto l’appello del contribuente sostenendo che la presunzione di riparto “riguarda il rapporto diretto società soci … tale rapporto risulta intermediato dalla presenza di un altro e diverso soggetto giuridico, società non sottoposta a controllo e non essendovi collegamento diretto tra la società ed il socio e non essendo noto se gli utili accertati in capo alla prima siano confluiti in capo alla società interposta”. Tale sentenza di merito, oltre l’inedita interpretazione circa la presunzione di distribuzione in capo ai soci di secondo grado, appare innovativa relativamente all’onere della prova in quanto prevede una prova piena e diretta in capo all’Amministrazione Finanziaria ai fini di dimostrare che la maggior ricchezza, correlata agli utili extracontabili, sia realmente pervenuta nella disponibilità diretta dei soci persone fisiche.

In totale accordo, da parte di chi scrive, con l’esame critico della CTR menzionata, concernente l’onere della prova, dovrebbe intendersi lecito l’accertamento emesso in capo ai soci di secondo grado esclusivamente nell’ipotesi in cui venisse realmente dimostrato, dall’Ufficio, il trasferimento di denaro, a tali soci, mediante ampia dimostrazione probatoria, quale dettagliata movimentazione bancaria, a condizione che la seconda società risulti destinataria dell’avviso di accertamento.

Nella realtà, però, l’interpretazione dei giudici di merito non è, ad ora, confermata dalla Suprema Corte, il cui orientamento in favore dell’Amministrazione Finanziaria, nell’ammettere nel nostro ordinamento, come esaminato precedentemente, la liceità delle doppie presunzioni e la legittimità delle presunzioni di distribuzione nei confronti dei soci di secondo grado, nel caso di società a ristretta base sociale, rafforza ancor di più l’esigenza di regolamentare normativamente l’istituto della ristretta base sociale, al fine di evitare presunzioni ed accertamenti a cascata, potenzialmente lesivi dei diritti del contribuente.

La necessità di una disciplina tributaria, relativamente alla ristretta base sociale, trova la propria ragione fondante nel mancato adeguamento della Suprema Corte ai più recenti orientamenti espressi dai Giudici di merito.

 

  1. Altro elemento critico di tale istituto, è da identificare nella tipologia di avviso di accertamento emesso nei confronti del contribuente. Nella fattispecie inerente la ristretta base partecipativa, è frequente l’emissione di accertamenti parziali, ai sensi dell’art. 41 bis DPR n. 600/73, poiché l’Ufficio, mediante tale strumento, può sottrarsi all’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente, quale principio generale di origine europea previsto dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Tale strumento deflattivo, ai sensi dell’art. 5 ter d.lgs. 218/97, di cui è stata ampliata la portata dall’art. 4 octies D.L. 34/2019, ha lo scopo di garantire l’effettiva partecipazione del contribuente al procedimento di accertamento e di prevenire la fase contenziosa, e dovrebbe essere previsto espressamente nelle ipotesi di presunzioni di distribuzione di utili esaminate.

Invero, l’utilizzo di tale metodologia di accertamento, adoperabile in seguito ad accessi, ispezioni e verifiche nonché segnalazioni della Guardia di Finanza, rappresenta, spesso, uno stratagemma dell’Amministrazione Finanziaria, con l’intento di voler evitare, in ogni modo, l’instaurazione del contraddittorio preventivo.

Pertanto, appare necessario regolamentare anche la tipologia di accertamento rispetto alla ristretta base sociale. Sarebbe opportuno, quindi, ampliare la portata dell’art. 5 ter d.lgs. 218/97 per estendere il contraddittorio anche alle ipotesi di accertamento parziale ex art. 41 bis, ovvero impedire l’utilizzo dell’accertamento parziale nei casi di presunzione di distribuzione di utili non contabilizzati per ovviare a tale problematica.

Esclusivamente mediante tali interventi legislativi volti a disciplinare l’istituto della ristretta base sociale, quale fattispecie peculiare nell’ambito degli accertamenti induttivi, il contribuente potrà ottenere le garanzie di parità delle armi e del giusto processo, cui è ispirato il giudizio innanzi le Commissioni tributarie.