argomento: IRAP e tributi locali - Giurisprudenza
L'omesso svolgimento da parte del comune del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti in una determinata zona del territorio comunale non comporta l'esenzione dalla tariffa rifiuti -TARI, ma il pagamento del tributo in misura non superiore al 40 della tariffa, da determinare, anche in maniera graduale, in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona servita dal comune.
» visualizza: il documento (Corte di Cassazione, ordinanza 22 settembre 2020, n. 19767)PAROLE CHIAVE: TARI - rimozione e smaltimento rifiuti - riduzione
di Stefania Cianfrocca
I giudici della Corte di Cassazione, se con l’ordinanza n. 14907 del 2020 nell’affrontare un’analoga controversia, erano stati molto laconici, questa volta, al contrario, hanno esaminato la fattispecie sotto varie angolazioni, ripercorrendo innanzitutto le molteplici fasi del regime fiscale dei rifiuti la cui scena è stata dominata per anni dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani - TARSU, disciplinata dal D. Lgs. n. 507 del 1993, sostituita dapprima dalla tariffa di igiene ambientale -TIA 1 di cui all’art. 49 del D.Lgs. n. 22 del 1997, e dalla tariffa integrata ambientale - TIA 2 di cui all’art. 238 del D.Lgs. n. 152 del 2006, per poi lasciare il passo al tributo comunale sui rifiuti e sui servizi - TARES, previsto dall’art. 14 del D.L. n. 201 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 214 del 2011, fin quando, il 1° gennaio 2014, non si è aperto il sipario sulla tassa sui rifiuti - TARI, disciplinata dall’art. 1, commi 639 e seguenti della legge n. 147 del 2013, (sull’evoluzione del tributo vd. diffusamente SELICATO “L’imposta unica comunale tra novità e conferme di precedenti modelli impositivi” in "Diritto e Pratica Tributaria" 2015, 2, 10242).
La Corte ha ribadito ancora una volta che alla TARI, entrata di natura tributaria, sono estensibili gli orientamenti di legittimità che si sono formati in passato per gli analoghi tributi che l'hanno preceduta, vale a dire la TARSU e la TIA. E’ stato agevole, allora, per i giudici di legittimità riassumere che la tassa è dovuta da chiunque occupi o conduca i locali, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nel territorio del comune, che è chiamato ad istituire obbligatoriamente un apposito servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. La ratio sottesa al prelievo è, infatti, quella di garantire all’ente locale le risorse necessarie per la copertura dei costi anche del servizio che viene svolto nei confronti dell’intera collettività e non certo quella di fornire prestazioni riferibili a singoli utenti sulla base di un rapporto sinallagmatico.
Questo principio, derivante dalla struttura autoritativa della prestazione, comporta che la tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l'utente utilizzi in concreto il servizio di smaltimento dei rifiuti, rilevando solo che questi ne possa usufruire pienamente. Quel che assume importanza, quindi, è la fruizione potenziale del servizio da parte del contribuente che viene determinata sulla base di criteri presuntivi che, oltre all’occupazione e alla detenzione di locali ed aree, sono rappresentati dalla quantità e qualità di rifiuti che possono essere in essi prodotti. (cfr: da ultimo Cass. Sent. n. 23058 del 2019).
Anche la disciplina contenuta nei commi 639 e seguenti dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013, ricalca, quindi, il tracciato segnato in passato dalle varie entrate dal nomen iuris alquanto variegato. Le norme in esame non riconoscono, pertanto, spazi alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utenti del servizio, che debbono sempre assolvere al pagamento del tributo, anche nel caso in cui non volessero avvalersi dei servizi offerti, come ripetutamente sostenuto dalla giurisprudenza.
In questo contesto il legislatore, anche al fine di sollecitare gli enti territoriali ad un’efficiente prestazione del servizio, ha delineato alcune fattispecie che comportano, a seconda dei casi, la mitigazione del prelievo in termini di riduzione o di esenzione.
Ebbene la nuova disciplina della TARI racchiusa nell’art. 1, della legge n. 147 del 2013, contempla un’ipotesi di riduzione nel comma 657, il quale stabilisce che nelle zone in cui non il servizio di raccolta dei rifiuti non è effettuato, la TARI è dovuta in misura non superiore al 40 per cento della tariffa, da determinare, anche in maniera graduale, in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita.
La Corte nell’ordinanza in commento consolida il suo indirizzo sostenendo che questa tipologia di riduzione tariffaria, al pari di quella prevista al comma 656 - relativa al mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti e ad altre ipotesi simili che determinano il pagamento della tassa nella misura massima del 20 per cento della tariffa - deve decisamente definirsi obbligatoria, giacché predeterminata dalla legge, che nell’utilizzare l'espressione "la TARI è dovuta" riconosce al contribuente una mitigazione dell’importo del tributo nel momento in cui si verificano le condizioni oggettive individuate dalla norma che determinano una contrazione del servizio di raccolta e di smaltimento dei rifiuti a favore dell’intera platea degli utenti. Detta riduzione, pertanto, deve essere riconosciuta ope legis senza, cioè, l’interposizione del filtro del regolamento comunale e senza che sia condizionata dalla presentazione di un’istanza da parte del contribuente, come, invece, è necessario per il riconoscimento di riduzioni facoltative che l’ente locale, a norma dell’art. 1, commi 659 e 660 della legge n. 147 del 2013, può prevede nel proprio regolamento.
L’intervento normativo statale, da più parti considerato troppo penetrante e in controtendenza rispetto alle istanze di federalismo fiscale (sul punto vd. FEDELE “Federalismo fiscale e riserva di legge”, “Rassegna tributaria” 2010, 6, 1525) è legittimato dal fatto che il tributo in esame è considerato dalla giurisprudenza costituzionale “un tributo erariale, istituito, nell'ambito della competenza legislativa esclusiva statale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., dalla legge dello Stato (art. 58 del citato d.lgs. n. 507 del 1993) e da questa disciplinato, salvo quanto espressamente rimesso dalla stessa legge statale all'autonomia dei Comuni” (Corte Cost. sent. n. 442 del 2008) che disciplinano la materia con proprio regolamento adottato ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 446 del 1997. Ed invero, la Corte Costituzionale (Cfr: Corte Cost. sent. n. 75 del 2006 e n. 298 del 2009 in materia di ICI; sent. n. 99 del 2012 in materia di IRAP; ex multis: sent. n. 296 e n. 297 del 2003, n. 288 del 2012, n. 209 del 2018 in materia di tassa automobilistica; sent. n. 397 e n. 335 del 2005, n. 85 del 2017 in materia di tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi) sostiene che la natura erariale del tributo discende non certo dalla destinazione del gettito, ma dal carattere statale dell’atto normativo istitutivo dello stesso (su tali aspetti vd. più diffusamente GALLO “Ancora in tema di autonomia tributaria delle Regioni e degli Enti locali nel nuovo Titolo V della Costituzione”, "Rassegna tributaria" 2005, 4, 1033).
Ebbene i giudici hanno ritenuto che nel caso di specie non fosse necessario alcun ulteriore accertamento rispetto a quello effettuato negli altri gradi di giudizio, in quanto appariva chiaro che il comune aveva istituito e svolto regolarmente il servizio di raccolta dei rifiuti, ma che questo non veniva espletato all’interno della zona Interporto - area privata con libero accesso di vastissime dimensioni - ma solo fino ai punti di accesso. In effetti al suo interno il servizio veniva svolto da una società privata, vista l'impossibilità per le aziende che operavano nell’Interporto di fruire di un servizio di raccolta sino alla prossimità delle strutture.
L’ultimo atto da compiere ad opera del giudice di rinvio rimane, pertanto, quello di accertare la concreta misura della riduzione applicabile, che deve essere graduata, anche in mancanza di esplicite indicazioni del regolamento comunale, tenendo conto di circostanze di fatto quali l'ubicazione dei locali o aree oggetto di tassazione all'interno della zona e la loro distanza dal più vicino punto di raccolta; fermo restando che la misura della TARI deve essere non superiore al 40 per cento della tariffa ordinaria.
E’ interessante notare come la medesima questione relativa al pagamento della TARI per lo stesso anno di imposta 2015 sia stata affrontata diversamente nella sentenza n. 10721/16/18 del 2018 della CTR della Campania che, dopo aver rilevato l'assenza di allegazione di circostanze di fatto idonee a graduare diversamente l'agevolazione, ha dichiarato il tributo dovuto nella misura del 40 per cento del totale, evidenziando che l'ente impositore aveva documentato di aver svolto il servizio fino all'ingresso dell'Interporto, ma non anche all'interno di essa. La Corte di Cassazione, infatti, con la sentenza n. 17334 del 2020, di contenuto assai simile a quella in commento, ha rigettato il ricorso del comune, sostenendo che la CTR aveva fatto corretta applicazione dei principi stabiliti dalla legge.
La riduzione tariffaria, secondo la Corte, non si atteggia come una forma di risarcimento del danno da mancata raccolta dei rifiuti, né come una sanzione per il comune inadempiente, ma come uno strumento per realizzare un tendenziale equilibrio impositivo tra “l'ammontare della tassa comunque pretendibile, che nella misura ordinaria tiene conto dei costi generali del servizio completo svolto nell'area municipale, con i costi che il cittadino è tenuto presumibilmente a sostenere per far fronte alla mancata raccolta, laddove il Comune non assicuri in un ambito territoriale della zona perimetrata l'intero ciclo di smaltimento, ma lo garantisca solo in parte” (negli stessi termini: Cass. ord. n. 9109 del 2020).
Il raggiungimento di tale equilibrio impositivo diventa ancora più significativo ed impegnativo se solo ci si sofferma a considerare che, poiché il gettito della TARI deve coprire integralmente i costi di investimento e di esercizio relativi al servizio, “accade inevitabilmente che una determinata agevolazione si traduca nella necessità di ammortizzare la minore entrata traendo le risorse nell’ambito della stessa forma di prelievo (e quindi andando ad incidere direttamente sugli altri destinatari del servizio)” (GIOVANARDI, ”L’autonomia tributaria degli enti territoriali” Milano 2005).
Il diritto del comune a introitare il tributo appare, in ultima analisi, subordinato, allo svolgimento del servizio di raccolta e spazzamento dei rifiuti secondo criteri di efficienza ed efficacia, soprattutto in situazioni in cui trovano applicazione disposizioni che consentono un collegamento diretto tra fruizione del servizio ed applicabilità del tributo.
Ed invero, il reperimento delle risorse necessarie per il finanziamento dei servizi connessi ai rifiuti rappresenta un elemento caratterizzante di un tributo improntato all’attuazione del principio comunitario “chi inquina paga”; la TARI esprime, infatti, un inscindibile legame tra fiscalità e tutela dell’ambiente ed è oggi al centro del dibattito che si è sviluppato sulla nozione di “tributo ambientale”, annoverato tra gli strumenti economici per la tutela dell’ambiente (più diffusamente: Gallo, Marchetti "I presupposti della tassazione ambientale Rassegna tributaria, 1999, 1, 115; GUIDO “I tributi ambientali fra capacità contributiva ed autonomia degli enti territoriali”, ne “FICARI- SCANU, “Tourism taxation - sostenibilità ambientale e turismo fra fiscalità locale e competitività”, Torino, 2013).
Tale tutela, che sta acquistando sempre maggior interesse, è stata alquanto valorizzata anche nell’art. 117 della Costituzione che attribuisce alla competenza esclusiva statale la materia “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, nella quale la costante giurisprudenza costituzionale inquadra anche la disciplina dello smaltimento dei rifiuti (Corte Cost.sent. n.249/2009 e, da ultimo, sent. n. 76 del 2021).
La materia in esame, per la molteplicità dei settori di intervento, assume una struttura complessa che interferisce con altri interessi e competenze, per cui, secondo la Corte, la disciplina statale deve fissare, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale e deve essere applicata nell’accezione che consenta di preservare il bene giuridico “ambiente” dai possibili effetti distorsivi derivanti da vincoli imposti in modo differenziato in ciascuna Regione (così Coste Cost. sent. n. 58 del 2015 e n. 85 del 2017), ferma restando la competenza di queste ultime alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli ambientali (sui problemi della tassazione ambientale anche nel federalismo fiscale vd. GALLO, Profili critici della tassazione ambientale, Rassegna tributaria 2010, 2, 303).
Un ultimo aspetto affrontato, in realtà, preliminarmente, dalla Corte con l’ordinanza in esame ha interessato i limiti di applicazione del giudicato esterno. La necessità di assicurare lo svolgimento di un’indagine concreta per verificare la sussistenza delle condizioni che consentono l’applicazione delle norme di favore per il contribuente ha indotto, infatti, la Corte a sostenere che non vi è alcuna preclusione ad un esame della controversia derivante dalla presenza di un giudicato esterno formatosi tra le stesse parti in relazione al medesimo tributo, ma per una diversa annualità. Occorre, però, effettuare dei distinguo, in quanto l'effetto vincolante del giudicato esterno in relazione alle imposte periodiche attiene agli “elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di annualità, abbiano carattere stabile o tendenzialmente permanente mentre non riguarda gli elementi variabili, destinati a modificarsi nel tempo”.
Conseguentemente l'accertamento sulle modalità di espletamento del servizio di raccolta rifiuti e sulla percentuale di riduzione applicabile compiuto dai giudici tributari di Napoli con sentenza passata in giudicato con riferimento alla TARI dovuta per l'anno di imposta 2014, non può essere esteso all’anno 2015, in quanto tale valutazione non investe un elemento costitutivo della fattispecie a carattere stabile e comune ai vari periodi di imposta, dal momento che sia le condizioni di erogazione del servizio sia le concrete modalità di attuazione dell'attività di raccolta dei rifiuti, possono essere mutevoli nel tempo e richiedono di volta in volta una verifica ed un accertamento per ciascun periodo di imposta.