Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

07/04/2021 - I riflessi della mutualità consortile sull’imputazione fiscale dei componenti positivi e negativi e la non obbligatorietà a tutti i costi del ribaltamento nell’orientamento della Suprema Corte

argomento: IVA - Giurisprudenza

La Corte di Cassazione, dopo aver affermato la compatibilità dello scopo mutualistico con quello di lucro nei consorzi, torna sul regime IVA degli stessi affermando la non operatività dell’obbligo di ribaltamento dei costi e dei ricavi nei casi in cui il consorzio svolge un‘attività autonoma. Il ribaltamento diviene, invece, obbligatorio nelle ipotesi in cui, per effetto dell’operare della causa mutualistica, l’attività consortile sia espressione del servizio reso alle consorziate. Nel settore IVA, poi, nei casi di commesse assunte dal consorzio per conto delle consorziate e da queste rese ai terzi, opera l’art 3, comma 3 del Decreto IVA (e il correlato art. 13, comma 2 in tema di determinazione della base imponibile) che imponendo il cosiddetto “doppio passaggio” nel caso di prestazioni rese nell’ambito del mandato senza rappresentanza, rende obbligatoria la rifatturazione dalle imprese consorziate al consorzio dei servizi fatturati da quest’ultimo alla committente, pur riconoscendo, la Corte, al consorzio il diritto di trattenere la provvigione se prevista. La Corte richiama, poi, molto marginalmente, i suoi precedenti sulla possibilità che il consorzio, attraverso condotte abusive, possa essere utilizzato per conseguire un indebito risparmio fiscale.

» visualizza: il documento (Cass., sent. 12 novembre 2020, n. 25518) scarica file

PAROLE CHIAVE: consorzio - mutualità - clausola c.d. di ribaltamento


di Maurizio Interdonato

  1. Il caso esaminato dalla Corte

Nella sentenza in commento la Suprema Corte, Sezione Tributaria, ritorna sul tema del regime fiscale dei consorzi tra imprenditori, sulla compatibilità dello scopo mutualistico perseguito da tali enti con quello di lucro, sull’incidenza dei due diversi scopi sul trattamento tributario dei costi e ricavi consortili e sulla necessarietà del loro ribaltamento sulle consorziate.

Nel caso esaminato, la Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia sul presupposto che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe negato tout court l’operatività dell’obbligo del “ribaltamento” dei costi e dei ricavi sostenuti dal consorzio sulle consorziate, senza distinguere tra attività autonomamente svolta dal consorzio e attività svolta, sempre dal consorzio, ma per conto delle singole consorziate e correlata al servizio consortile reso nell’ambito della finalità mutualistica. In conseguenza di ciò, ha cassato il pronunciamento del giudice di seconde cure con rinvio nel merito allo stesso, in diversa composizione, affinché applichi il principio enunciato.

La sentenza richiama nella motivazione, facendoli propri, i precedenti assolutamente maggioritari (tranne un caso isolato) delle Sezioni Unite del 2016 (in particolare sent. nn. 12191, 12192, 12193, 12194 del 14/06/2016) e della stessa Sezione Tributaria (sent. nn. 5398 del 2017). Occorre, tuttavia, ricordare che prima dei citati arresti delle Sezioni Unite, la Corte aveva affermato, in taluni casi, il principio esattamente opposto, ovvero quello dell’obbligo generalizzato del ribaltamento senza distinzioni (sul punto, si rinvia a INTERDONATO, “Il ribaltamento obbligatorio di costi e ricavi nei consorzi, tra esasperata valorizzazione della mutualità ed esigenze di contrasto all’abuso di diritto”, in Riv. Trim. Dir. Trib, 2012, p. 523 a commento di Corte Cass, sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13925) e ciò, evidentemente, sul presupposto della sostenuta incompatibilità dello scopo mutualistico ontologicamente perseguito dal consorzio con quello di lucro proprio, invece, delle società commerciali.

Riferendosi la sentenza all’IVA, si distingueranno, nel presente commento, due diversi aspetti dell’imposizione consortile: il generale problema dell’imputazione tra consorzio e consorziate delle componenti di reddito originati dalle attività consortili (anche sotto il profilo IRES) e quello, più specifico, dell’IVA, legato al trattamento del mandato senza rappresentanza per le commesse assunte dal consorzio per conto (e non in nome) delle consorziate, che riceve in questo settore impositivo una particolare disciplina.

 

  1. L’irrilevanza fiscale della soggettività ai fini dell’imputazione dei componenti reddituali e i limiti alla rilevanza fiscale dello scopo mutualistico

Occorre premettere che la soggettività del consorzio non esclude necessariamente la diretta riferibilità alle consorziate  - piuttosto che al consorzio - delle attività poste in essere per il tramite di quest’ultimo; e ciò proprio per l’operare dello scopo mutualistico normalmente perseguito dalle strutture consortili.

Nel diritto commerciale alla causa consortile viene normalmente attribuita natura mutualistica (cfr. PAOLUCCI, I consorzi per il coordinamento della produzione e dello scambio, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, Torino, 1983, p. 434 e 448; BORGIOLI, Consorzi e società consortili, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1985, p. 95 ss.; VOLPE PUTZOLU, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico economico, diretto da Galgano, Padova, 1981, p. 327; MINERVINI, La nuova disciplina dei consorzi, in Giur. Comm., 1982, I, p. 873). La mutualità consortile, di cui all’art. 2602 c.c., si sostanzia nello svolgimento o nella disciplina in comune di una o più fasi delle imprese consorziate al fine di conseguire direttamente, nelle economie di queste ultime, un vantaggio normalmente concretizzato in maggiori entrate o in minori spese per le medesime. L’utilità che le consorziate non otterrebbero senza la struttura consortile, non viene “normalmente“ conseguita dal consorzio e, in un secondo momento, distribuita alle consorziate, ma viene realizzata direttamente da queste ultime nella propria gestione quale miglioramento del proprio risultato economico (CAPURSO, Agevolazioni ai consorzi e alle società consortili, in Giur. Comm., 1982, I, p. 873 e BORGIOLI, op. cit. p. 95). Si è detto “normalmente” posto che, soprattutto in passato, ci si poneva il problema della compatibilità dello scopo mutualistico perseguito (principalmente e normalmente) dai consorzi con lo scopo lucrativo (VOLPE PUTZOLU, op. cit., p. 345; BELVISO, Intervento, in Giur. Comm., 1978, I, p. 329; COTTINO, Diritto commerciale, I, tomo II, 1999, p. 677 e 678; LUCCARELLI, Art. 2615 ter c.c., in Commentario del codice civile diretto da E. Gabrielli, Delle società. Dell'azienda. Della concorrenza a cura di Santosuosso, Torino, 2014, p. 759 ss.; DI RIENZO, Gli effetti della riforma sulla disciplina delle società consortili, in Riv. Società, 2006, 205 ss; SPADA, Dalla trasformazione delle società alle trasformazioni degli enti e oltre, in Scritti in onore di Vincenzo Buonocore, Milano, 2005, 3879; per un esame della funzione consortile e della compatibilità delle clausole di ribaltamento dei costi nelle società consortili si veda ONZA, La clausola c.d. di ribaltamento nelle società consortili, in Riv. dir. soc., 2019, 349 e ss.). Oggi, sia per l’operare di norme specifiche che sembrano ammetterlo (le norme in tema di appalti pubblici, che riprenderemo infra; l’art. 4 della Legge n. 240 del 1981 e l’art. 18 della Legge 317 del 1991 che hanno previsto per i consorzi e le società consortili tra piccole e medie imprese, per poter fruire di una determinata agevolazione fiscale, l’obbligo di prevedere il divieto statutario di distribuire sotto qualsiasi forma utili alle imprese consorziate), sia per la più recente giurisprudenza (Cass. civ. Sez. Unite sent. n. 12190 del 14/6/2016), si può affermare che i due scopi possono convivere, anche se vi è chi lo ritiene possibile solo in presenza di una esclusione o limitazione del c.d. lucro soggettivo (SPOLIDORO, Società consortili: disciplina, mutualità spuria e ribaltamento dei costi e dei ricavi, in Società, 2016, 11, p. 1193 ss.), chi ritiene perseguibile lo scopo lucrativo solo secondariamente (BORGIOLI, op. cit., p. 137), chi accessoriamente a quello mutualistico (e mai in senso soggettivo: MARASÀ, Le “società” senza scopo di lucro, Milano, 1984, p. 218) e chi ancora ritiene che il consorzio possa conseguire un utile solo in via occasionale (MOSCO, I consorzi tra imprenditori, Milano, 1988, p. 116).

La Corte, nella sentenza qui annotata, conferma la più recente impostazione dottrinale e giurisprudenziale favorevole alla compatibilità tra i due scopi e si pone, giustamente, il problema del riflesso della mutualità sul regime fiscale del consorzio nell’ipotesi di svolgimento autonomo dell’attività.

Che un consorzio possa svolgere non solo “determinate fasi” delle imprese consorziate, ma l’intero ciclo produttivo o il compimento di un unico affare (benché sul punto si registrino, ancorché datate, voci contrarie) non vi è dubbio alcuno: la stessa legislazione sugli appalti pubblici lo consente per i cosiddetti consorzi stabili che operano attraverso una comune struttura di impresa (artt. 45, comma 2, lett. c) del Codice dei contratti pubblici - D.lgs. n. 50 del 2016 - e, in passato, artt. 94 e 277 del D.P.R. n. 207 del 2010 e, prima ancora, l’art. 10 della Legge n. 109 del 1994).

Orbene, quando il consorzio si limita a procacciare le commesse o a svolgere una fase del processo produttivo delle consorziate, l’attività consortile integra perfettamente lo scopo mutualistico, svolgendo il consorzio, in chiave mutualistica, un servizio alle stesse.

Di contro, il fine mutualistico non sembra immediatamente percepibile laddove il consorzio procacci la commessa e vi dia autonoma esecuzione, anche tramite soggetti terzi non consorziati.In questo caso è però necessario fare un ulteriore distinguo. Sarebbe, infatti, errato sostenere che quando un consorzio svolge autonomamente per intero il processo produttivo, l’attività resa senza il coinvolgimento delle consorziate sia sempre estranea alla causa mutualistica. Potrebbe accadere che il consorzio svolga tale attività comunque a favore delle imprese socie, procurando, direttamente nelle loro economie, un vantaggio in termini di contenimento dei costi e/o di conseguimento di maggiori ricavi (MOSCO, op. cit., p. 116).

Ad esempio, un consorzio di imprese di impiantistica potrebbe essere costretto, per aggiudicarsi una commessa per la costruzione di un impianto chiavi in mano (o per l’esatto adempimento della stessa), ad acquisire esternamente, o a fornire autonomamente in proprio, una serie di servizi edili complementari per l’alloggiamento del macchinario (servizi che nessuna delle consorziate sarebbe in grado di svolgere): in tale ipotesi l’attività direttamente curata dal Consorzio (i servizi edili) soddisfa in pieno lo scopo mutualistico perseguito dallo stesso poiché, in sua assenza, il consorzio non avrebbe potuto aggiudicarsi la commessa della quale, per la gran parte, hanno beneficiato le consorziate fornendo i loro servizi e conseguendo le utilità direttamente nelle loro economie.

Viceversa, qualora la commessa eseguita dal consorzio non sia riferibile in alcun modo all’attività delle consorziate ed esaurisca un ciclo produttivo completo, la stessa (completa, autorganizzata o espletata tramite soggetti terzi, e della quale il consorzio sostiene tutti i relativi costi e spese) non può essere configurata come un’attività di servizio alle consorziate, non avendo alcun effetto diretto sulle stesse. Nella fattispecie in parola, dunque, lo “scopo mutualistico” finisce col ridursi ad una mera aspettativa alla distribuzione del risultato economico conseguito dal consorzio stesso.

La conseguenza, in termini di imputazione dei risultati economici (e quindi anche del reddito imponibile), è che, quando il consorzio si limita ad assumere commesse che poi vengono eseguite dalle consorziate, i componenti positivi e negativi dovranno essere ribaltati attraverso la fatturazione sulle consorziate in proporzione al quantum di utilizzo del servizio consortile da parte di ciascuna di esse, vale a dire secondo un criterio mutualistico (cfr. INTERDONATO, Il regime fiscale dei consorzi tra imprenditori, Milano, 2004, p. 171 e ss.). Allo stesso modo, anche nel caso di una o più attività autonomamente svolte dal consorzio e estranee alle attività delle consorziate, ma comunque facenti parte di un’attività più ampia per la maggior parte svolta dalle medesime, appare corretto ripartire e ribaltare anche i componenti positivi e negativi afferenti tale attività autonoma del consorzio, secondo lo stesso criterio mutualistico di utilizzo del servizio consortile (criterio sicuramente utilizzabile per la maggior parte del processo produttivo).

Se, invece, il consorzio assume ed esegue autonomamente un’attività, senza che quest’ultima possa essere ricondotta, anche indirettamente, alla causa consortile (non potendo essere qualificata, nemmeno in ipotesi, come attività al servizio delle consorziate), non è possibile individuare un criterio mutualistico per la ripartizione tra le consorziate dei componenti positivi e negativi dell’attività posta in essere dal consorzio. In tal caso, a meno di ricorrere a criteri del tutto arbitrari, l’unica soluzione appare la ripartizione di dette componenti tra le imprese consorziate in ragione della loro partecipazione al fondo consortile.

In questo secondo caso, l’organizzazione consortile non si distingue dalle società lucrative e non si vede, quindi, perché il risultato economico realizzato dal consorzio nello svolgimento delle attività autonomamente svolte debba subire, dal punto di vista tributario, un trattamento differente rispetto al risultato economico di una società non consortile.

La Corte, nella sentenza in commento, fa proprie le conclusioni a cui erano già giunte le S.U. (in particolare sent. nn. 12191, 12192, 12193, 12194 del 14/6/2016) - e, in verità ancor prima la dottrina (pur in presenza, si ribadisce, di precedenti contrari del Supremo consesso) - ed afferma, quindi, nella parte motiva della sentenza commentata, i seguenti principi:

  1. qualora il consorzio acquisisca una commessa e proceda autonomamente ad eseguirla, indipendentemente dalla partecipazione delle consorziate, non si deve procedere ad alcun ribaltamento di costi e ricavi tra tutti i consorziati;
  2. il ribaltamento è, invece, doveroso nel caso in cui il consorzio, pur avvalendosi di proprie strutture, svolga servizi complementari, comunque correlati alla finalità mutualistica di utilizzo del servizio consortile (così anche Cass. Sez. 5, n. 5398 del 2017);
  3. il ribaltamento giustifica il trattenimento da parte del consorzio:
  4. di una somma pari alle proprie spese generali di gestione che andranno ripartite e addebitate ai singoli consorziati (d.a., secondo il criterio mutualistico);
  5. del costo dei servizi specifici forniti dal consorzio al consorziato in relazione ai lavori che questo è deputato a svolgere;
  6. delle eventuali provvigioni dovute dal consorziato (mandante) al consorzio (mandatario senza rappresentanza), escluse dall’imponibile IVA, in base all’art. 13 del D.P.R. 633/72;
  7. del costo e degli utili (ovvero dei ricavi lordi fatturati al terzo) per gli ulteriori servizi forniti solo dal consorzio, quale soggetto imprenditoriale, in favore del terzo committente, in relazione ai lavori posti in essere dal consorziato a seguito della commessa in suo favore.

Rispetto a quanto detto sopra, la Corte, tuttavia, nel principio enunciato ex art. 384 c.p.c., sembra discostarsi dal precedente delle S.U. solo per le componenti di reddito di cui alla citata lettera d). Invero, per servizi resi solo dal consorzio a favore del committente, ma nell’ambito di una commessa procacciata dal consorzio, pur potendo individuarsi un criterio mutualistico di riparto (la misura dell’utilizzo del servizio consortile, data dal quantum di commesse affidate alle varie consorziate) la Corte sembra alla fine non consentire il ribaltamento. Dire, infatti, che la “differenza costituita dal costo e dagli utili” per tali servizi può essere trattenuta dal consorzio significa affermare che i ricavi provenienti dai suddetti servizi sono imputati al consorzio anche se sussiste un criterio mutualistico di riparto. Tale impostazione, per quanto relativa ad un aspetto marginale, appare, a parere di chi scrive, eccessivamente limitativa della causa mutualistica e dei riflessi di questa sull’imputazione dei componenti di reddito prodotti dal consorzio e dalle consorziate, e appalesa, inoltre, una lieve contraddittorietà tra la parte motiva e i richiami autorevoli alle S.U. rispetto al principio in ultima enunciato.

 

  1. Il consorzio quale mandatario senza rappresentanza delle consorziate e l’applicabilità degli artt. 3, comma 3 e 13, comma 2, del Decreto IVA

La Corte affronta, poi, il tema del ribaltamento ai fini IVA nel caso delle commesse formalmente assunte dal consorzio, ma svolte dalle consorziate. Quanto affermato dalle S.U. in tema di imputazione (e di cui si è già detto supra) poteva essere, sul punto, a parere di chi scrive, già di per sé risolutivo. Il servizio reso dal consorzio alle consorziate consiste, infatti e normalmente, solo nell’assunzione della commessa per conto (e non in nome) delle stesse. I lavori vengono assegnati, di prassi, in base alle norme statutarie e regolamentari del consorzio e l’assegnazione non costituisce un nuovo negozio, né un subappalto, bensì l’esecuzione del patto consortile (così GALGANO, Diritto civile e commerciale, L’impresa e le società, Padova, 1994, p. 194). Le consorziate, oltre a svolgere i lavori, ne assumono anche la responsabilità (unitamente al consorzio) ex art. 2615, comma 2, c.c.. Appare evidente, quindi, che il servizio consortile si esaurisce nella sola fase di stipula del contratto per conto della o delle consorziate e che, per il principio mutualistico, il consorzio deve ribaltare alla consorziata (e ricevere fattura da essa per) i ricavi fatturati a sua volta al terzo committente, oltre ovviamente le eventuali spese generali sostenute. Il consorzio potrebbe anche trattenere eventuali provvigioni a copertura delle proprie spese, ma ciò dipende dal modulo organizzativo previsto per il singolo consorzio dallo statuto o dalle norme di regolamento.

La Corte, tuttavia, non si è accontentata di applicare quanto detto in tema di riflessi e limiti della mutualità sull’imputazione fiscale delle attività consortili, ma ha voluto verificare l’applicabilità al sistema consorzio-consorziate della norma di cui all’art 3, comma 3, del Decreto IVA, secondo la quale, nel mandato senza rappresentanza, le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti tra il mandante e il mandatario (cfr. Corte giust. 14 luglio 2011, causa C-464/10; sul punto si veda anche Cass. sez 5, n. 5398 del 2017 cit.). La norma, sia per assicurare nel modo migliore il meccanismo delle detrazioni di imposta, sia per ovviare alle difficoltà tecniche per far affluire sui committenti gli effetti fiscali delle operazioni compiute per loro conto, ma in nome proprio dai commissionari (cfr. NUSSI, voce Mandato (dir. Trib.), in Enc. giur., Roma, 1990, p. 3, FILIPPI, Le cessioni di beni nell’IVA, Padova, 1984, p. 139) ha considerato il mandatario senza rappresentanza operatore in proprio e reso operativo nel settore IVA il cosiddetto “doppio passaggio”.

Per quanto non sia scontato in campo commerciale l’inquadramento del vincolo consortile che lega consorzio e consorziate come rapporto di mandato (anzi, sembra affermata da tempo la tesi contraria volta ad inquadrare autonomamente il suddetto vincolo: MOSCO, op. cit., p. 227, FRANCESCHELLI, Dei consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, comm. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 87), si può affermare che per i consorzi per l’assunzione di appalti “le regole consortili si combinano con quelle relative al mandato senza rappresentanza” (così GALGANO, op. cit., p. 191, ma anche la stessa Corte nel suo precedente, sent. n. 12191 del 2016, punto 25).

Correttamente, dunque, la Corte ritiene applicabile, per le commesse assunte dal consorzio per conto delle consorziate e da queste svolte, la norma sul doppio passaggio e la correlata disposizione dell’art. 13 D.P.R. n. 633 del 1972 che fissa, in tali casi, l’obbligo di rifatturazione dalle consorziate al consorzio, al netto della provvigione eventualmente prevista (e che dovrà, afferma la Corte, essere provata dalla consorziata) dei ricavi fatturati dal consorzio al terzo committente. La Corte nella motivazione sembra non inquadrare sistematicamente tale ribaltamento nell’ambito della mutualità, ma nell’applicazione obbligata, nel campo IVA, dell’art 3, comma 3. I Giudici, infatti, ammettono che il ribaltamento dei ricavi possa essere solo parziale nel caso (e nei limiti) in cui sia prevista (e dimostrabile da parte della consorziata) la provvigione a favore del consorzio, circostanza, questa, compatibile con l’attività consortile, proprio per “lo scolorare della causa mutualistica”.

La visione, tuttavia, si amplia più correttamente nel principio enunciato, ove la Corte non fa solo riferimento ai ricavi (netti provvigione), ma anche a tutti i costi inerenti alle commesse svolte dal consorziato-mandante in relazione alle commesse assunte dal consorzio-mandatario senza rappresentanza. Sembra, dunque, possibile coprire le spese generali del consorzio per la sola assunzione di commesse o con apposite provvigioni determinate dal consorzio o attraverso la fatturazione della quota parte delle stesse alla consorziata, come, del resto, affermato nello stesso principio enunciato per il rinvio e come già desumibile dalla causa mutualistica operante in tali fattispecie.

 

  1. Il ribaltamento deve avvenire nel rispetto del divieto di abuso del diritto

La Corte non si sofferma, invece, sul tema dello strumento consortile utilizzato come possibile mezzo per conseguire un indebito vantaggio fiscale (tema sicuramente oggetto del ricorso), limitandosi a richiamare i propri precedenti (Cass. S.U. del 23/12/2008 nn. 30055, 30056, 30057).

I criteri di ribaltamento non devono essere privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti. Detta in termini di abuso di diritto, tali criteri non devono rappresentare un “utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale”.

Potrebbe essere il caso di un consorzio che non ribalti i costi generali (come previsto nello statuto), con l’effetto che sarà il consorzio, e non le consorziate, a detrarre l’IVA sugli acquisti afferenti tali attività. Nell’ipotesi in cui le consorziate patiscano limiti al diritto alla detrazione (ad esempio, pro rata, limiti oggettivi e/o soggettivi, ecc.) il mancato ribaltamento potrebbe, in assenza di ragioni economiche, costituire un aggiramento degli obblighi di fatturazione e delle norme disciplinanti il diritto alla detrazione volto a massimizzare l’IVA detraibile, conseguendo un vantaggio in termini di riduzione del carico tributario.

Solo, dunque, l’impiego distorto del ribaltamento può, in assenza di valide ragioni economiche, creare un indebito risparmio di imposta.