Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

02/04/2021 - Il perimetro di applicazione del reato di autoriciclaggio e la clausola di non punibilità

argomento: Sanzioni e contenzioso - Legislazione e prassi

I caratteri salienti del fatto tipico del reato di autoriciclaggio, ex art. 648 ter1 c.p., emergono solamente da una lettura congiunta delle condotte rilevanti (impiego, sostituzione e trasferimento del denaro, dei beni o delle utilità provenienti da reato) e dei due ulteriori elementi volti a specificare le modalità della condotta: da un lato, la destinazione “in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali, speculative” delle utilità oggetto di autoriciclaggio, dall’altro, il concreto ostacolo alla ricostruzione del paper trail. La definizione del perimetro di applicazione del reato di autoriciclaggio non si esaurisce con le previsioni di cui al comma primo, dovendosi tenere conto delle esimenti del quarto comma. Muovendo dall’analisi di quest’ultima previsione, l’obiettivo è quello di superare le incertezze ermeneutiche derivanti dalla formulazione per determinare la portata della fattispecie penale di autoriciclaggio, in particolare quand’essa si realizzi all’interno di un ente collettivo.

PAROLE CHIAVE: autoriciclaggio - reato fiscale - cause di non punibilità


di Alessandra Interdonato

  1. A completamento del fatto tipico punibile, il comma 4 dell’art. 648 ter1 c.p. esime il soggetto dalla responsabilità penale per autoriciclaggio quando “il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale”.

Si tratta di una previsione di non facile interpretazione, oggetto di diverse problematiche in seno alla giurisprudenza e alla dottrina, ad iniziare dalla clausola di esordio “fuori dei casi di cui ai commi precedenti”. Su quale sia la reale funzione di tale inciso e, ancor prima, la sua natura, si sono formati sostanzialmente due orientamenti in dottrina: ad avviso del primo, la previsione in oggetto, pur ridondante, andrebbe intesa come una delimitazione in negativo della fattispecie criminosa (MUCCIARELLI F., Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, in Dir. pen. cont.Riv. trim., 2015, 1, 121; CAVALLINI S.–TROYER L., Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del “vicino ingombrante”, in Dir. pen. cont.–Riv. trim., 2015, 1, 102).         

Seguendo il secondo orientamento, invece, la clausola andrebbe inquadrata come una causa di non punibilità del fatto (SGUBBI F., Il nuovo delitto di “autoriciclaggio”: una fonte inesauribile di “effetti perversi” dell’azione legislativa, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., 2015, 141).

I sostenitori della prima tesi ritengono opportuno rifarsi strettamente al dato letterale della locuzione introduttiva “fuori dei casi dei commi precedenti(...)”, nel senso di escludere le condotte del comma quarto, da quelle tipizzate in precedenza nella norma; detto comma delineerebbe, quindi, una fattispecie penale autonoma, estranea a quelle previste dal primo comma. Tuttavia, essendo condotte atipiche, esse si potrebbero già escludere in via interpretativa senza ricorrere alla previsione in commento. Difatti, alla irrilevanza penale delle due nuove condotte si sarebbe già potuti giungere, in via interpretativa, dalle previsioni dei commi precedenti: i comportamenti di “mera utilizzazione” e “godimento personale”, essendo ex se esclusi da quelli rilevanti di cui ai commi 1, 2 e 3 (in ragione dell’assenza del vincolo di destinazione tipizzato dal primo comma e del modus operandi decettivo) non avrebbero comunque integrato il reato di autoriciclaggio, anche in mancanza dell’incipit dell’esimente.

L’inutilità della disposizione era già stata rilevata in sede di stesura della norma, tant’è vero che in diverse proposte di legge, tra le quali quella dalla Commissione Fiandaca, non vi era traccia di alcuna previsione riconducibile a quella in commento.

La seconda tesi presuppone, però, una lettura lontana dal dato letterale, che si giustificherebbe sul presupposto di un lapsus calami del legislatore: si sarebbe quindi voluto scrivere “nei casi di cui ai commi precedenti (...)”, così da poter sussumere il comma quarto alle condotte del primo comma.

Solo se riformulata e letta in tal senso sarebbe, allora, possibile interpretare la clausola del quarto comma come una causa di non punibilità e applicarla alle condotte di autoriciclaggio disciplinate nei primi commi tutte le volte che, attraverso queste, si destinino i proventi all’utilizzo o al godimento personale.

Non si può tuttavia condividere questa tesi per diverse ragioni.

In primo luogo, non si ritiene opportuno andare oltre il tenore letterale della clausola, non potendo questa che svolgere una funzione interpretativa, in negativo, del comma primo. A tal proposito, sebbene la previsione del comma quarto sia carente dal punto di vista della descrizione della condotta (elemento valorizzato dai sostenitori della tesi avversa), è da ritenere che la sostituzione, il trasferimento e l’impiego siano presupposte tranne nelle fattispecie in cui, appunto, tali condotte avvengano per consentire all’autore del reato il godimento o la mera utilizzazione “personale” senza che ciò comporti la necessaria immissione dei proventi nel circuito economico, immissione in grado di alterarne il funzionamento.

In secondo luogo, la preferibilità della prima tesi emerge anche dall’applicazione del principio di prevedibilità (ai sensi dell’art. 7 Cedu, la formulazione del dispositivo penale deve poter consentire ai consociati di prevedere le conseguenze che possono derivare da una condotta da loro attuata).

Nel considerare la previsione di cui al suddetto comma come una causa di non punibilità, si presuppone che, anche le condotte da essa disciplinate, rientrino nella punibilità dell’autoriciclaggio. Come si è in precedenza evidenziato, tuttavia, in via interpretativa si tende ad escludere dall’alveo delle condotte del primo comma, quelle di “mera utilizzazione” e “godimento personale”, non seguite, tra l’altro, da una condotta modale decettiva. Se le si facessero, invece, forzatamente rientrare, seppur prevedendo per esse un’area di non punibilità, si perverrebbe ad una lettura del primo comma lontana dal principio di prevedibilità, posto che, difficilmente, il consociato potrebbe prefigurarsi agevolmente la configurazione del reato a seguito di tali condotte (utilizzo e godimento personale).

Le conseguenze delle due tesi, nell’ipotesi in cui il legislatore decidesse di abrogare il comma quarto, mettono ulteriormente in risalto la rilevanza del problema. Seguendo la prima tesi, verrebbe abrogata una fattispecie autonoma e, pertanto, non verrebbe intaccata la rilevanza penale delle condotte del fatto tipico di autoriciclaggio. Diversamente, seguendo il secondo orientamento, le modalità del quarto comma verrebbero punite necessariamente, anche se non offensive del bene giuridico.

Ecco allora che l’analisi della portata della previsione non può prescindere dall’individuazione del bene giuridico tutelato: se le condotte del quarto comma fossero lesive dello stesso bene tutelato dalla previsione del primo comma, allora si potrebbe ammettere la via della causa di non punibilità, altrimenti, le condotte autonome non potrebbero che fungere da limite negativo (MUCCIARELLI F., op. cit., 121).

La volontà legislativa, in sede di stesura della disposizione, era quella di punire solamente le condotte “autenticamente frappositive”, ovverosia quelle condotte che, in quanto concretamente capaci di ostacolare la tracciabilità del provento illecito, potessero facilitare l’immissione e la ripulitura di questo nel circuito economico legale. In effetti, solo ove queste utilità siano facilmente tracciabili, è possibile individuarle e impedire che queste inquinino l’economia, distorcendo le dinamiche del mercato. A ben vedere, le condotte di “mera utilizzazione” e “godimento personale” non paiono idonee ad alterare le dinamiche concorrenziali. Atteso che la valorizzazione in concreto della ratio legis conferma la natura plurioffensiva del reato di autoriciclaggio (si ritiene che le condotte incriminate siano lesive sia dell’ordine economico, sia dell’amministrazione della giustizia), bisogna anche verificare se le condotte di cui al comma quarto siano in grado di ledere, almeno, il bene giuridico dell’amministrazione della giustizia, altro interesse tutelato dalla norma.

Mancando anche il requisito modale del concreto ostacolo (richiesto, invece, dal primo comma), le condotte del quarto comma non possono, a parere di chi scrive, ascriversi a quelle perseguibili per autoriciclaggio, ai sensi dell’art. 648 ter1 co.1 c.p.

Così ragionando, si giunge alla conclusione che la previsione del quarto comma non può che essere una fattispecie autonoma e che l’esclusione dalla punibilità delle condotte di “mera utilizzazione” o di “godimento personale”, risponde all’intento di chiarire, oltre ogni dubbio, che la fattispecie di nuovo conio intende sanzionare solo le forme di re-immissione, ancorchè non lucrative, del provento nei circuiti economici, ovvero solo le condotte connotate da un maggior disvalore e realmente offensive dell’ordine economico e dell’amministrazione della giustizia (TOPPAN A. – TOSI L., Lineamenti di diritto penale dell'impresa, CEDAM, Milano, 2017, 156).

La finalità garantista della previsione è coerente con il principio del ne bis in idem sostanziale: sanzionare per autoriciclaggio un soggetto per il solo consumo o il godimento personale delle utilità prodotte contra jus, negandogli, quindi, qualsiasi possibilità di gestire le stesse senza incorrere in ulteriori punizioni, sarebbe infatti una violazione del principio summenzionato.

Anche la Corte di Cassazione abbraccia la prima delle tesi sopra prospettate, considerando il comma quarto come un particolare caso di non punibilità che, definendo in negativo la fattispecie di cui al primo comma, ad essa si accosta concorrendo a precisarne l’ambito di operatività.

 

 

  1. Rimane, tuttavia, da chiarire cosa si intenda per “mera utilizzazione” e “godimento personale”: il loro significato nozionistico risulta vago e poco chiaro, sia in relazione alle singole locuzioni, sia per quanto attiene alla differenza che sussiste tra le due.

In dottrina si è ipotizzato che il termine “utilizzo” si riferisca ai beni mobili (più frequentemente al denaro), mentre il godimento ai beni immobili.

Oltrepassando queste considerazioni, che paiono irrilevanti sul piano pratico, ci si interroga su quale possa essere il significato di “personale”, quale attributo riferito ad entrambe le condotte. Nonostante la genericità del termine, si ritiene che esso possa alludere al consumo privato, inteso come fruizione condivisa e non strettamente personale (ad esempio, nell’ambito familiare o in regime di comunione dei beni); contra la tesi, più restrittiva, secondo cui “mera” starebbe ad indicare un utilizzo esclusivamente personale del provento.

Sul punto, ancora, non risulta chiaro se la previsione di cui al comma quarto sia applicabile solo quando la destinazione personale sia avvenuta in modo diretto (sia, cioè, la prima operazione posta in essere dopo il reato presupposto) o, in via estensiva, quando sia il risultato finale di una serie di operazioni.

A tal proposito, la Corte ha ritenuto ammissibile la tesi più restrittiva. Di conseguenza, una volta che il reato è integrato in tutti i suoi elementi, l’agente sarà perseguibile per autoriciclaggio anche quando, a conclusione delle diverse operazioni, abbia meramente fatto utilizzo o goduto del bene (Cass. pen., sez. II, 5 luglio 2018, n. 30399).

 

 

  1. Ulteriore quesito sorto, con riguardo alla clausola in esame, attiene alla possibilità di applicare le esenzioni di responsabilità ex co. 4 nel caso in cui il reato presupposto e il reimpiego di utilità illecita avvengano all’interno di un ente collettivo.

In particolare, ci si è chiesti se, rispetto ad una società dotata di piena autonomia patrimoniale e, pertanto, configurabile come ente a sé stante, sia ipotizzabile l’utilizzo o il godimento “personale” del provento illecito eventualmente conseguito in capo alla stessa.

Il dubbio sorge quindi in relazione all’“autoriciclaggio dell’ente” (TROYER L., Autoriciclaggio e responsabilità degli enti tra problemi dogmatici e suggerimenti pratici, in Le Società n. 5, 2016, 632): in tal caso, posto che la provvista illecita si trova già, ab origine, nel patrimonio dell’ente e viene reimpiegata all’interno dello stesso, tale reinvestimento si può definire mero utilizzo o godimento personale?

A parere di chi scrive, una risposta negativa al quesito posto non la si può ricavare semplicemente dal fatto che il reato è ascrivibile alla persona fisica (in virtù del principio “societas delinquere non potest”) mentre l’utilizzo o godimento personale sono riferibili alla società. E ciò perché, come evidenziato dalla dottrina il quarto comma citato opera esclusivamente avuto riguardo alla condotta posta in essere dalla persona fisica (apicale o subordinato) che, nel caso di specie, agisce nell’interesse o a vantaggio dell’ente (GULLO A., La responsabilità dell’ente e il sistema dei delitti di riciclaggio, in CADOPPI – CANESTRARI– MANNA– PAPA (a cura di), Diritto penale dell’economia, Torino, 2016, 3024). È proprio la circostanza che la persona fisica opera in virtù del rapporto organico che non è possibile con certezza escludere che l’utilizzo e il godimento personale non possano riferirsi anche all’ente.

A far propendere più decisamente per una risposta negativa è invece il requisito della destinazione richiesto dal fatto tipico delineato dall’art. 648 ter1, in base al quale la condotta di autoriciclaggio è rilevante se i proventi illeciti sono destinati ad attività economiche (e non solo). Anche in questo caso tuttavia, ancorché la giurisprudenza sembri invece più tranchant sul punto (vedi Cass. pen. sentenza n. 9755/2020, secondo la quale l’utilizzo o godimento personale soccombono davanti alla piena integrazione del requisito della destinazione, anche qualora avvenga per il tramite del pagamento di fatture per operazioni inesistenti, non rilevando il fatto che quel denaro rientri, poi, in contanti, successivamente destinati a consumo personale e non ad investimento), occorre fare un distinguo: invero, se è vero che il provento del reato, come pare, rimanendo nella disponibilità della società e confondendosi nella liquidità generale di essa, implica necessariamente una destinazione ad una attività economica (quella appunto della società) – ciò che depone ancora una volta per la tesi negativa – è anche vero che la ratio del requisito della destinazione è finalizzata, come del resto l’intera fattispecie dell’autoriciclaggio,  a impedire l’inquinamento del mercato e della concorrenza con la reimmissione nel circuito economico dei proventi derivanti da reato.

Ciò detto, sarà necessario, quindi, valutando anche l’ulteriore requisito modale del concreto ostacolo, evitare che l’amministratore, l’imprenditore e la società stessa, siano perseguiti (per illecito penale i primi e per illecito amministrativo l’ente) per automatismi di responsabilità discendenti dalla prima condotta illecita qualora il provento illecito (ad esempio, il risparmio fiscale ottenuto illegalmente in capo alla società) sia necessariamente inglobato nelle disponibilità dell’ente.

Si pensi al caso in cui l’amministratore, avendo commesso il reato di omesso versamento IVA (art. 10 ter D.lgs. n. 74/2000), semplicemente utilizzi il risparmio per pagare i dipendenti o i creditori dell’ente. In questa ipotesi, qualora un’analisi economico finanziaria della società attesti che tali spese di gestione ordinaria si sarebbero dovute e potute già sostenere in assenza del provento illecito, non si creerà una effettiva lesione delle dinamiche del mercato, anche nel caso in cui si voglia ritenere che la necessità di una analisi di tal fatta implichi di per sé una condotta decettiva (poiché pecunia non olet, è difficile dimostrare che i denari utilizzati effettivamente coincidano proprio col risparmio illecito).

Al contrario, nell’ipotesi di produzione di ricavi in evasione, sopra soglia penale in capo alla società, il loro successivo reimpiego nel medesimo ente attraverso aumenti di capitale o finanziamenti da parte del socio (dal punto di vista amministrativo tributario i ricavi in evasione prodotti dalle società di capitali a ristretta base societaria si presumono distribuiti ai soci) implica sicuramente un reimpiego non necessitato e comunque un comportamento oggettivamente decettivo.

 

 

  1. All’esito di queste considerazioni, pare ragionevole ritenere che la clausola di cui al co. 4 dell’art. 648 ter1, nel prevedere l’irrilevanza penale delle due condotte autonome, abbia la funzione di consolidare la tipicità del fatto punibile al primo comma e, al contempo, circoscriverne in negativo i confini applicativi (in tal senso anche la giurisprudenza di legittimità).

Di conseguenza, il soggetto può andare esente da responsabilità penale solamente quando consumi o goda personalmente dei guadagni del reato presupposto, senza effettivamente compiere su di essi operazioni atte a ostacolarne la ricostruzione della provenienza illecita e senza ledere le ordinarie dinamiche economiche e finanziarie di mercato.