Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

08/02/2021 - Profili fiscali della cessione del “cartellino” del calciatore: il concetto di onerosità nelle cessioni a “a costo zero”.

argomento: IRES - Giurisprudenza

La Suprema Corte, a distanza di un anno, si pronuncia nuovamente sulla natura di cessione del contratto di prestazione sportiva del calciatore, rigettando la tesi del collegamento contrattuale tripartito e ritenendo invece configurabile una cessione ai sensi dell’art. 1406 del Codice Civile. Un siffatto inquadramento consente l’applicazione della disciplina della deducibilità delle minusvalenze, a condizione che la cessione sia avvenuta a titolo oneroso. Contestualmente, la Cassazione si dedica alla delicata questione circa il corretto inquadramento della fattispecie di cessione del “cartellino” in assenza di corrispettivo. Nonostante la cessione sia “a costo zero”, l’operazione negoziale è caratterizzata da onerosità, essendo sorretta da reciproci costi e benefici, tale da legittimare l’applicazione della disciplina della deducibilità delle minusvalenze generate ai sensi degli artt. 86 e 101 T.U.I.R. Tale nuovo approccio critico al concetto di onerosità operato dalla Suprema Corte implicherebbe una nuova valutazione dell’assetto negoziale, apprezzabile alla luce dell’equilibrio complessivo e globale che le parti hanno ritenuto di imprimere alla fattispecie contrattuale.

» visualizza: il documento (Cass. civ., sez. V, 8 ottobre 2020, n. 21701) scarica file

PAROLE CHIAVE: cessione - prestazione sportiva - minusvalenze


di Davide Stefani

  1. La sentenza in commento presenta due profili di rilevante interesse, entrambi meritevoli di essere esaminati: in primo luogo, la natura di cessione del contratto ex art. 1406 c.c. dell’atto di trasferimento del “cartellino” di un calciatore da una società sportiva all’altra; in secondo luogo, la rilevanza fiscale delle minusvalenze realizzate in occasione della cessione di contratti di prestazioni calcistiche c.d. “a costo zero”, ai fini del calcolo delle imposte dirette, purché sia dimostrato un equilibrio tra sacrificio e vantaggio dei contraenti.

Nella fattispecie in esame, dalla ricostruzione offerta dalla Suprema Corte, l’Agenzia delle Entrate, per gli anni d’imposta 2004 e 2005, recuperava ad imponibile ai fini dell’Ires le minusvalenze dichiarate a seguito della cessione del “cartellino” di due calciatori ad un’altra società sportiva militante nella Serie A.

Secondo l’Amministrazione Finanziaria tale operazione avveniva in assenza di corrispettivo e, conseguentemente, doveva essere ritenuta a titolo gratuito, precludendo così l’applicazione della disciplina della deducibilità delle minusvalenze ai sensi degli artt. 86 e 101 comma 1, D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, che richiedono, com’è noto, il presupposto dell’onerosità dell’operazione negoziale.

Si rileva fin da subito che tale pronuncia si pone in aperto contrasto con un recente precedente giurisprudenziale (Cass. civ., Sez. trib., 9 gennaio 2019, n. 345), ove la Cassazione ha disconosciuto la deducibilità delle minusvalenze, poiché la cessione del contratto di utilizzazione della prestazione sportiva “a costo zero” deve considerarsi atto a titolo gratuito, «non rilevando la circostanza che la parte cessionaria dovrà corrispondere al giocatore ceduto il compenso dovutogli».

 

  1. Prima di affrontare la questione principale oggetto della presente pronuncia, pare opportuno soffermarsi sulla questione (propedeutica) della natura dell’atto di cessione del contratto di prestazione sportiva da una società sportiva all’altra.

L’operazione di interpretazione e di qualificazione di tale operazione giuridica ai sensi dell’art. 1406 c.c. non è priva di effetti sul piano pratico.

La deducibilità delle minusvalenze generate a seguito della cessione del “cartellino” è, infatti, condizionata dalla qualificazione dell’operazione negoziale quale cessione del contratto civilisticamente riconosciuta e, conseguentemente, l’assimilazione del diritto all’utilizzazione della prestazione sportiva del calciatore alla categoria dei beni strumentali immateriali legittima l’applicazione della disciplina delle minusvalenze dettata dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (vedi infra).

Com’è noto, è la Legge n. 91 del 1981 che disciplina i rapporti giuridici tra le società sportive e i calciatori e, all’art. 5 comma 2 della Legge citata, è consentito alle parti di cedere il contratto avente ad oggetto la prestazione sportiva, a condizione che il trasferimento del calciatore avvenga prima della scadenza del contratto e che sia prestato il consenso di quest’ultimo (cfr., in generale, F. IOZZO, Cessione di calciatori e rapporto fra ordinamento statuale e normativa sportiva, in Giur. it., 2004, 10).

Se da una parte, l’eliminazione del cd. “vincolo sportivo” ha determinato la proliferazione di operazioni negoziali nella fase antecedente alla naturale scadenza del contratto, dall’altra parte, sono sorte molteplici problematiche inerenti alle conseguenze fiscali (in tema di Ires e Irap), discendenti dalla controversa configurazione dell’atto di trasferimento del diritto all’utilizzazione della prestazione sportiva dell’atleta (non potendo qui esaminare le problematiche concernenti l’imponibilità ai fini Irap del corrispettivo derivante dalla cessione, che peraltro a seguito della novella del 2015 parrebbe aver perduto, almeno in parte, rilevanza, si richiamano, in dottrina, i contributi di A. GIOVANNINI, Irap e cessione di calciatori, in Sport e Fisco, V. UCKMAR (a cura di), 2016, 213; M. PROCOPIO, Irap e SSD, la rilevanza delle plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione dei diritti sportivi, Dir. e prat. trib., 2009, 331 A. CONTRINO, La rilevanza impositiva di “proventi” e “oneri” generati da operazioni di calciomercato, in Riv. dir. trib., 2020, 217).

Per quanto interessa ai nostri fini, con la pronuncia in esame, la Suprema Corte ha confermato l’orientamento maggioritario, inaugurato dalla prassi amministrativa (cfr. Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 231 del 19 dicembre 2001 e Circolare n. 37/E del 23 dicembre 2013) e successivamente sposata dalla giurisprudenza amministrativa del Consiglio di Stato (cfr. parere n. 5285 del 2012), secondo cui «il contratto con cui è ceduto il diritto all’utilizzo esclusivo della prestazione dell’atleta verso corrispettivo ben può essere ricondotto allo schema tipico della cessione del contratto» (cfr., in sede di giurisprudenza di legittimità, Cass. civ., sez. VI, 2 dicembre 2015, n. 24588; Cass. civ., sez. VI, 25 gennaio 2019, n. 2144, 2145, 2146; Cass. civ., sez. V, 4 aprile 2019, n. 9433; in dottrina, si veda A. A. CONTRINO, La rilevanza impositiva di “proventi” e “oneri” generati da operazioni di calciomercato, cit., 201; M. T. SPADAFORA, Diritto del lavoro sportivo, Torino, 2004, 211; P. FAVA, Cessione del contratto di prestazione calcistica e disciplina Irap, in Il Fisco, 2000, 964; G. INGRAO, L’imponibilità ai fini dell’Irap dei proventi, connessi alla cessione degli atleti da parte delle società sportive, in Riv. dir. trib., 2008, 527; P. BORIA, Irrilevanti le minusvalenze per cessione senza corrispettivo del contratto di calciatori, in GT – Riv. giur. trib., 2019, 404; F. GALGANO, La compravendita dei calciatori, in Contr. impr., 2001, 1).

Viene così rigettata l’interpretazione offerta dall’orientamento giurisprudenziale e dottrinale contrario, che sposa invece la tesi “atomistica”, ravvisando nell’operazione de qua una fattispecie complessa, frazionata, e non più unitaria.

La scomposizione dello schema negoziale (comprendente l’accordo per il trasferimento tra società sportiva cedente e atleta ceduto – l’accordo tra la società cedente e cessionaria per la risoluzione del contratto – la stipulazione di un nuovo contratto tra l’atleta ceduto e la nuova società cessionaria) non viene ritenuta meritevole di interesse. Invero, gli schemi contrattuali singolarmente intesi non assolverebbero ad alcuna causa in concreto, se non uno scopo obiettivamente orientato ad ottenere un vantaggio fiscale (G. INGRAO, L’imponibilità ai fini dell’Irap dei proventi, connessi alla cessione degli atleti da parte delle società sportive, cit., 527).

Tale tesi è sostenuta da chi ritiene che l’oggetto del negozio giuridico non sia la prestazione dell’atleta, bensì la rinuncia al diritto di esclusiva alla prestazione sportiva. Il corrispettivo versato per tale trasferimento, pertanto, sarebbe fiscalmente irrilevante, non costituendo alcuna autonoma funzione produttiva idonea a generare plusvalenze o minusvalenze, poiché il trasferimento del “cartellino”, e quindi l’instaurazione del rapporto di lavoro con il calciatore, sarebbe soltanto un effetto indiretto (cfr., in giurisprudenza, CTR, Lazio Roma, Sez. XXVIII, 21 maggio 2012, n. 92; CTP, Lecce, Sez. V, sentenza n. 587 del 2009; CTR, Lombardia Milano, Sez. XXXIII, sentenza n. 120 del 2011; CTP, Parma, Sez. IX, sentenza n. 11 del 2008; in dottrina, cfr. G. LUSCHI, G. STANCATI, Aspetti fiscali della “cessione dei calciatori”, con particolare riguardo al regime Irap, in Rass. trib., 1999, 1742; M. PITTALIS, Sport e diritto. L’attività sportiva fra performance e vita quotidiana, 2019, 176; R. STINCARDINI, La cessione del contratto: dalla disciplina codicistica alle peculiari ipotesi d’applicazione in ambito calcistico, in Riv. dir. econ. sport, 2008, 136; C. SOTTORIVA, Considerazioni in merito al trattamento fiscale ai fini Irap delle plusvalenze nell’ambito delle società di calcio professionistiche, in Dir. e prat. trib., 2012, 637, il quale osserva che, a sostegno di tale tesi, viene dedotto: «la disciplina civilistica esige che il tipico effetto sostitutivo tra soggetto cedente e soggetto cessionario si verifichi solo se l’oggetto dell’obbligazione rimane immutato»; circostanza, questa, smentita dalla prassi ove a seguito del trasferimento dell’atleta le parti possono modificare sia la durata del contratto, sia il corrispettivo).

Come sottolineato dalla Corte di Cassazione, pertanto, «la scelta dell’opzione interpretativa non è indifferente»: infatti, nella fattispecie considerata, solo con la qualificazione di cessione di contratto ai sensi dell’art. 1406 c.c., fiscalmente e civilisticamente rilevante quale bene immateriale “atipico”, è possibile che si generino minusvalenze ex artt. 86 e 101 T.U.I.R.

La configurazione della prestazione dell’atleta quale bene strumentale tuttavia non è pacifica e la natura della stessa è stata ed è ancora oggetto di discussione (cfr., in dottrina, G. PIZZONIA, Le immobilizzazioni immateriali nelle imposte diretta, il caso dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori, in Rass. trib., 2011, 1217; G. LUSCHI, G. STANCATI, Aspetti fiscali della “cessione dei calciatori”, con particolare riguardo al regime Irap, cit., 1742; A. CONTRINO, Rilevazioni nel bilancio d’esercizio e ricadute sul reddito imponibile delle società sportive dei trasferimenti (onerosi, gratuiti e a parametro zero) di calciatori professionisti, in Riv. dir. sport., 2019, 278; in generale, cfr. G. E. COLOMBO, Il bilancio di esercizio. Strutture e valutazioni, Torino, 1987, 117; F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Parte speciale, 2013, 111; A. FANTOZZI, F. PAPARELLA, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, 2019, 186).

La natura di bene strumentale del diritto di utilizzazione della prestazione calcistica, in considerazione della “funzione servente” del calciatore al raggiungimento degli obiettivi aziendali, implica l’impossibilità di qualificare il “cartellino” quale bene-merce oggetto tipico dell’attività d’impresa (in argomento, si veda anche P. BORIA, Irrilevanti le minusvalenze per cessione senza corrispettivo del contratto di calciatori, cit., 405).

Sotto quest’ultimo profilo, tuttavia, come sottolineato in dottrina, occorrerebbe valutare l’arco temporale di utilizzazione dell’atleta. Invero, se l’acquisto del calciatore sia avvenuto «a cavallo di due esercizi al fine di valorizzarlo e cederlo a breve», il bene potrebbe trovare la corretta configurazione nell’ambito dei beni-merci e così produrre ricavi; diversamente, ossia qualora il trasferimento rappresenti un investimento durevole e servente l’attività d’impresa, tale diritto dovrebbe essere allora correttamente collocato tra i beni strumentali immateriali, come tali idonei a generare minusvalenze fiscalmente rilevanti (A. CONTRINO, La rilevanza impositiva di “proventi” e “oneri” generati da operazioni di calciomercato, cit., 213, il quale trae argomentazione anche sul presupposto che il bene strumentale, per essere tale, deve essere oggetto di plurime utilizzazioni nel ciclo produttivo).

Conseguentemente, precisato per dovere di completezza quanto sopra, essendo «premessa ormai acquisita che si tratti di fattispecie riconducibile nell’alveo dell’art. 1406 c.c.» e configurando il contratto di prestazione sportiva nell’ambito dei beni strumentali dell’impresa, la Suprema Corte statuisce, in via definiva, che «non parrebbero esservi ragioni per non ritenere tale operazione negoziale suscettibile di generare plusvalenze o minusvalenze».

 

  1. Atteso che la deducibilità delle minusvalenze è sottoposta al rispetto della condizione di cui all’art. 86 T.U.I.R., ossia l’onerosità dell’operazione negoziale, nel caso di specie occorre ora determinare se la cessione “a costo zero” del diritto di utilizzazione della prestazione sportiva sia da considerarsi atto a titolo oneroso o a titolo gratuito.

Le problematiche che sono sorte in seno al concetto di onerosità ai sensi dell’art. 86 T.U.I.R. potrebbero derivare dall’assenza, nel sistema tributario, di una chiara e precisa definizione di tale concetto e, al tempo stesso, dall’evoluzione nella gestione degli scambi commerciali, ove ormai i vantaggi di natura patrimoniale scaturiscono, non raramente, da operazioni negoziali caratterizzate dalla mancanza, almeno sul piano formale, dell’elemento della corrispettività (per un’analisi preliminare, per tutti, cfr. V. FICARI, Le diverse dimensioni della corrispettività, onerosità, gratuità, liberalità, in V. FICARI, V. MASTROIACOVO (a cura di), Corrispettività, onerosità e gratuità. Profili tributari, Torino, 2014, 4, il quale rileva che la crisi economica ha modificato le modalità di determinazione del valore di scambio in assenza di denaro).

Come osservato nella parte motiva della pronuncia, la Suprema Corte critica in prima battuta il concetto di onerosità fiscalmente rilevante, il quale non dovrebbe coincidere con l’elemento del corrispettivo, seppur sia ritenuto essenziale ai fini del perfezionamento della compravendita.

Infatti, se da una parte, la giurisprudenza valorizza la nozione di causa in concreto, ritenendo irrilevante il rapporto costi-benefici valutato nel complesso dell’operazione “a costo zero”; dall’altra, invece, osserva che sono contratti a titolo oneroso quelli in cui i vantaggi sono reciproci al pari dei sacrifici, mentre atti a titolo gratuito sono quelli in cui il sacrificio a vantaggio dell’altro è sopportato solo da un contraente (si veda, in argomento, C. M. BIANCA, Il contratto, 2000, 493).

Come osservato dalla Cassazione, conseguentemente, «la mancata previsione del corrispettivo della cessione di un bene non deve sempre ricondurre l’operazione fuori della vendita stessa», poiché anche un’operazione negoziale formalmente gratuita, valutata nel complesso, potrebbe assumere un valore sostanzialmente oneroso.

Viene così introdotto il tema delle alienazioni delle cd. discommodities; operazioni negoziali che vengono attuate trasferendo un determinato bene “a prezzo negativo”, ma anche “a costo zero”. Non è richiesto, in sostanza, per il perfezionamento del negozio, la corresponsione di un’utilità economica monetariamente quantificata, che rimane invece a carico dell’alienante, senza che ciò significhi aprioristicamente l’esistenza di un disequilibrio sinallagmatico (per approfondire, si veda L. BALLERINI, Crisi di mercato e «prezzo nullo o negativo» nella vendita di lunga durata», in Contr. Impr., 2018, 328 e relativa bibliografia citata).

Sotto quest’ottica, l’utilità economica non è a priori inesistente. In effetti, dalla cessione di un bene a “prezzo negativo”, o “sotto-costo”, o “a costo zero”, si potrebbe comunque individuare una marginalità economica e ciò potrebbe accadere qualora l’operazione negoziale sia valutata, nel complesso, economicamente sostenibile.

Conseguentemente, l’alienazione del bene ritenuto non in linea con il piano di sviluppo societario, nell’ottica della Suprema Corte, ben potrebbe individuare un interesse economicamente quantificabile, sia in capo al cedente (che trasferisce a terzi i costi della gestione, ritenuti ormai insostenibili), sia in capo al cessionario (il quale instaurerà il rapporto di lavoro con l’atleta sportivo a fronte della corresponsione di un compenso), ancorché il vantaggio non sia direttamente collegato al contratto posto in essere (per approfondire, si veda S. MASSAROTTO, M. ALTOMARE, Revirement della Cassazione sulla (in)deducibilità delle minusvalenze da cessioni “a zero” di calciatori, in Riv. dir. trib., supplemento online, 2019, 114, i quali operano un’interessante disamina dell’evoluzione del concetto di onerosità sul piano delle imposte indirette).

Pertanto, la controprestazione può concretizzarsi in una diversa forma rispetto al mero pagamento di un corrispettivo in denaro (V. FICARI, Le diverse dimensioni della corrispettività, onerosità, gratuità, liberalità, cit. 14, il quale ricorda che il vantaggio economico può derivare anche in presenza di atti rinunciativi).

La quintessenza dell’onerosità dovrebbe essere valutata alla luce dell’intera dell’operazione negoziale, tenendo in considerazione il rapporto giuridico nel suo complesso, sia dal lato attivo che dal lato passivo. In questo senso, allora, sarebbe possibile considerare come onerosi anche tutti quegli atti negoziali privi di corrispettività.

Si pensi sotto questo profilo, sul piano prettamente civilistico, alla costituzione di un usufrutto ai sensi dell’art. 1333 c.c., ossia con prestazione a carico del solo proponente, che se considerata singolarmente, l’oblato riceverebbe indubbiamente un vantaggio economico dalla costituzione dell’usufrutto ma che, se apprezzata complessivamente, potrebbe emergere un pregiudizio, anche potenziale, derivante dalla trasmissione in capo al beneficiario degli oneri di custodia, gestione e manutenzione che gravano sull’usufruttuario (si veda, in giurisprudenza, Cass. civ., Sez. II, 18 giugno 2018, n. 15997).

Tale interpretazione, a nostro avviso, parrebbe essere anche conforme alla giurisprudenza sovrannazionale che, in un recente arresto (relativamente però ad un caso del tutto estraneo a quello di cui in oggetto), ha inteso valorizzare la complessità dell’operazione negoziale e giuridica, senza limitarsi ad una valutazione ridotta ad unità delle singole fattispecie (cfr. Corte di Giustizia UE, 26 febbraio 2019, cause C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, N Luxembourg 1 e a. c. Skatteministeriet, cd. “Sentenze danesi”). Ma anche alla giurisprudenza nomofilattica nazionale, che ha imposto una nuova valutazione del concetto di gratuità, avulsa dal concetto tradizione di causa in astratto e più aderente ad una valutazione complessiva dell’operazione economica (cfr. Cass. civ., Sez. un., 18 marzo 2020 n. 6538; in dottrina, si veda E. LOFFREDO, Economicità nelle imprese individuali e societari, in FICARI, V. MASTROIACOVO (a cura di), Corrispettività, onerosità e gratuità. Profili tributari, Torino, 2014, 201, la quale individua la categoria di “atti gratuiti ma economicamente interessati”, riferendosi a tutti quei contratti formalmente gratuiti ma intrinsecamente onerosi, quali «il trasporto gratuito dei dipendenti, il comodato di un immobile in relazione a prestazioni di custodia o di manutenzione, la gestione della mensa interna e così via», che comunque nella globalità della gestione imprenditoriale determinerebbero un vantaggio in capo al proponente).

Pertanto, come rilevato nella premessa del presente lavoro, la Suprema Corte ha operato un revirement rispetto al suo precedente arresto: l’argomentazione principale a sostegno del disconoscimento della deducibilità delle minusvalenze generate da cessioni “a zero” di calciatori viene individuata nell’assenza di corrispettività; viene infatti ritenuta irrilevante, ai fini dell’attribuzione del carattere oneroso, la circostanza dell’elargizione del compenso all’atleta da parte del cessionario, potendo al massimo precludere la liberalità dell’operazione negoziale (sul punto, in commento alla sentenza, Cass. civ., sez. V, 9 gennaio 2019, n. 345, si veda per tutti, P. BORIA, Irrilevanti le minusvalenze per cessione senza corrispettivo del contratto di calciatori, cit., 408; per approfondire P. STIZZA, Profili fiscali della cessione di calciatori professionisti, in Sport e Fisco, V. UCKMAR (a cura di), 2016, 336; G. ANTICO, Irrilevante fiscalmente la cessione del diritto all’utilizzo esclusivo del calciatore, senza corrispettivo, in Il Fisco, 2019, 471).

Nella fattispecie in esame, invece, se è vero che la società cessionaria acquista la prestazione sportiva dell’atleta senza versare alcun corrispettivo, è anche vero che quest’ultima è soggetta comunque all’obbligo di corrispondere il compenso al calciatore ceduto, mentre la società sportiva cedente non dovrà più pagare tale compenso.

È in questo senso che la pronuncia in esame, in linea con un suo precedente favorevole (Cass. civ., sez. VI, 25 gennaio 2019, n. 2146), e contrariamente all’arresto “quasi-gemello” testé citato, afferma che può sussistere l’onerosità allorché i vantaggi e i costi siano reciproci, con la conseguenza logica di poter dedurre le minusvalenze generate dalla cessione dei contratti de quibus (in senso critico, si veda A. CONTRINO, La rilevanza impositiva di “proventi” e “oneri” generati da operazioni di calciomercato, cit., 219, il quale ritiene che «il giudizio di onerosità o gratuità del negozio va compiuta soltanto in ragione della ‘causa concreta’»).

In sostanza, pur in mancanza di un’immediata e determinata controprestazione, il negozio assumerebbe un carattere oneroso alla luce della globalità dell’operazione economica e negoziale. Da ciò deriva, nell’ottica della Suprema Corte, l’applicazione della disciplina della deducibilità delle minusvalenze, generate mediante cessione a titolo oneroso ai sensi dell’art. 86 comma 1, lett. a) e 101 comma 1 T.U.I.R.

 

  1. In conclusione, il riconoscimento ormai pacifico, come sembra, della natura di cessione del “cartellino” dell’atleta ai sensi dell’art. 1406 c.c. comporta, invece, sotto la qualificazione dell’onerosità o della gratuità, rilevanti problematiche, le quali si ripercuotono, a cascata, sull’applicabilità o meno della disciplina della deducibilità delle minusvalenze fiscalmente rilevanti.

Con la pronuncia in esame, pertanto, la Suprema Corte, prendendo le distanze dal precedente difforme, il quale tuttavia – come esplicitamente precisato – «non consente di ravvisare ancora l’emersione di una vera difformità di decisioni sulla questione di diritto», sposa l’indirizzo ermeneutico favorevole alla ricostruzione unitaria dell’operazione giuridica (già compiuta dal Consiglio di Stato, nella sua veste istituzionale, con il parere n. 5285 del 2012 e in precedente dall’Agenzia delle Entrate), riconoscendo che il concetto di onerosità postula che «l’operazione sia oggetto di considerazione complessiva dei costi e benefici che all’esito del trasferimento ognuna delle società avrà sopportato e avrà conseguito».

Si delinea così, almeno a livello generale, un’evoluzione del concetto di onerosità, funzionale al soddisfacimento di interessi meritevoli di tutela, ed estraneo alla mera e singola valutazione degli interessi delle parti, potendo così assumere importanza, quale schema contrattuale formalmente gratuito ma sostanzialmente oneroso, anche la “purgazione” delle cd. discommodities.