Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

29/01/2021 - L’imposta regionale sulla benzina per autotrazione al vaglio della commissione europea

argomento: Imposte sui trasferimenti e altri tributi - Giurisprudenza

L’imposta regionale sulla benzina per autotrazione-IRBA istituita dalla regione Piemonte è illegittima, poiché non ha finalità specifiche ma unicamente di bilancio. Nel disciplinarla, infatti, non sono state rispettate le due condizioni prescritte dalle norme unionali che devono caratterizzare un’imposta indiretta gravante su un prodotto sottoposto ad accisa: la finalità specifica e la conformità alle norme fiscali dell’Unione europea applicabili ai fini delle accise o dell’IVA.

» visualizza: il documento (CTR Piemonte, sez. IV, Sent. n.53/2020 ) scarica file

PAROLE CHIAVE: imposta regionale - benzina - accisa


di Stefania Cianfrocca

1. Oggetto della controversia decisa dai giudici della Commissione tributaria regionale del Piemonte riguarda l’illegittimità del diniego di rimborso dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione-IRBA, un tributo poco conosciuto, sul quale, però, da qualche anno si sono accesi i riflettori della Commissione Europea.
L’indagine sulla singolare decisione non può prescindere da un preliminare inquadramento dell’imposta che trae origine dall’art. 6, comma 1, lettera c) della legge n. 158 del 1990, che ha riconosciuto al Governo il potere di emanare, uno o più decreti legislativi “al fine di attribuire alle regioni a statuto ordinario una più ampia autonomia impositiva in adempimento del precetto di cui al secondo comma dell'art. 119 della Costituzione”. In attuazione della legge delega il D.Lgs. n. 398 del 1990, l’art. 17 ha attribuito alle regioni a statuto ordinario la facoltà di istituire con proprie leggi un'imposta regionale sulla benzina per autotrazione, erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle rispettive regioni in misura non eccedente lire 30 (0,0154 euro) al litro, elevato poi a 50 lire (0,0258 euro) dall’art. 1, comma 154, della legge n. 662 del 1996, lasciando agli enti il potere di disciplinare le modalità di accertamento, i termini per il versamento dell'imposta, le sanzioni, le indennità di mora e gli interessi per il ritardato pagamento. Con l’art. 3, comma 13, della legge, n. 549 del 1995, è stata delineata una disciplina più dettagliata del tributo, che deve essere versato direttamente alla regione dal concessionario dell'impianto di distribuzione di carburante o, per sua delega, dalla società petrolifera che sia unica fornitrice dell’impianto, sulla base dei quantitativi erogati in ciascuna regione dagli impianti di distribuzione di carburante che risultano da un apposito registro di carico e scarico. Rispetto all’originaria formulazione dell’abrogato art. 18 del D.Lgs. n. 398 del 1990, quindi, ferma restando l’incidenza economica del tributo sul consumatore finale, il soggetto del rapporto tributario che viene ad instaurarsi con la regione va individuato, non più nel soggetto erogatore del carburante (come ad esempio nel gestore che non sia anche concessionario dell’impianto di distribuzione), bensì nel concessionario dell’impianto stesso (Cfr. Cass. Sent. n. 9854 del 2017).
La misura dell’imposta può essere differenziata dalle regioni in relazione al luogo di ubicazione dell'impianto di distribuzione, tenendo conto di condizioni particolari di mercato. La norma consente, poi, alle regioni il potere di svolgere controlli sui soggetti obbligati al versamento dell'imposta e di accedere ai dati risultanti dalle registrazioni fiscali tenute in base alle norme vigenti, al fine di segnalare eventuali infrazioni o irregolarità agli organi competente per l'accertamento, vale a dire Uffici dell’Agenzia delle dogane, che procedono alla liquidazione dell'IRBA e trasmettono, alle regioni i dati relativi alla quantità di benzina erogata nei rispettivi territori.
In virtù della facoltà loro conferita diverse sono le regioni che nel tempo hanno istituito l’IRBA; allo stato attuale, però, l’imposta è applicata soltanto dalle regioni Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Molise e Piemonte. Le regioni Marche, Puglia, Toscana e Umbria, invece, dopo qualche anno dall’istituzione del tributo, complice probabilmente la gravosità della gestione amministrativa ed il nutrito contenzioso con gli operatori del settore, ne hanno disposto la soppressione. (Sulle diverificate scelte regionali si rinvia a PALLOTTA, L´incerto futuro dell´IRBA (imposta regionale sulla benzina per autotrazione), rivista.camminodiritto.it, 2019, 2).
La regione Piemonte ha istituito il tributo con gli artt. 3-5 della L.R. n. 47 del 1993, prevedendo che il gettito “è destinato al finanziamento degli interventi necessari a fronteggiare gli eventi calamitosi verificatisi sul territorio regionale”.
Questa finalizzazione della destinazione del gettito del tributo avrebbe potuto sembrare prima facie in linea con la ratio sottesa all’art. 5, comma 5-quater della legge n. 225 del 1992 che accordava alla regione, a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza, la possibilità di elevare la misura dell’imposta fino a un massimo di cinque centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita. Occorre annotare che è stata quest’ultima una delle poche norme nazionali che ha attribuito un fine predeterminato al gettito dell’IRBA, ma è stata abrogata dall’art. 48 del D.Lgs. n. 1 del 2018.
La Commissione tributaria, invero, non ha indagato molto sul tema, ma si è semplicemente limitata ad affermare che “la tassa sulla benzina è sotto accusa dalla Commissione Europea che ha trasmesso la comunicazione della presunta illegittimità della tassa in un bollettino delle procedure di infrazioni in corso” per poi arrivare a concludere che “la tassa regionale sarebbe contraria al diritto UE perché senza finalità specifiche se non di bilancio”, confermando l’annullamento del provvedimento della regione di diniego di rimborso disposto dai giudici di primo grado.
2. La stringata motivazione dei giudici piemontesi offre lo spunto per approfondire alcuni aspetti dell’IRBA sui quali da qualche tempo la Commissione europea ha concentrato la sua attenzione, avviando il 4 aprile 2017 una richiesta di informazioni sotto forma di progetto pilota (EU Pilot 9174/17/TAXU). Le argomentazioni formulate al riguardo dall’Amministrazione finanziaria italiana a difesa del tributo, però, non sono state ritenute soddisfacenti di tal ché la Commissione Europea ha aperto la procedura di infrazione 2017/2114 ex art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), con lettera prot. C (2018) 4602 del 19 luglio 2018 ritenendo che con il prelievo in esame la Repubblica italiana sia venuta meno agli obblighi derivanti dell’art. 1, par. 2 dalla direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise.
Tale disposizione consente agli Stati membri di applicare su prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette a condizione che, da un lato, queste ultime abbiano “finalità specifiche” e, dall’altro lato, che “siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l’imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell’imposta”. Queste due condizioni devono sussistere contemporaneamente per permettere la coesistenza dell’accisa armonizzata sulla benzina e di altre imposte indirette supplementari sullo stesso prodotto. (Cfr: CGUE 5 marzo 2015, in causa C-553/13, Statoil Fuel & Retail, punti 35 ss., con riferimento alla direttiva n. 2008/118/CE; CGUE 25 luglio 2018, in causa C-103/17, La Messer France SAS, punti 35 ss., con riferimento alla direttiva n. 92/12/CEE):
La Commissione ha fondato le sue argomentazioni sull’interpretazione, ormai consolidata, che la Corte di Giustizia ha fornito nelle sue pronunce in merito al concetto di “finalità specifica”, che deve essere intesa come “una finalità che non sia puramente di bilancio” (Cfr. sentenza 27 febbraio 2014 Transportes Jordi Besora, EU:C:2014:108, punto 25).
Un aspetto che non è sfuggito alla Commissione è che nella fattispecie in esame è stato lo stesso legislatore nazionale a dichiarare esplicitamente nella legge delega che la facoltà offerta alle regioni a statuto ordinario di istituire il tributo aveva lo scopo di attribuire loro “una più ampia autonomia impositiva”. Infatti il rafforzamento dell’autonomia impositiva di un ente territoriale attraverso il riconoscimento di un potere di prelievo fiscale “costituisce un obiettivo puramente di bilancio, il quale non può, di per solo, costituire una finalità specifica”. E’ necessario, invece, che il tributo miri, di per se stesso, a garantire la realizzazione di una finalità specifica e quindi che sussista un nesso diretto tra l’utilizzo del gettito derivante dall’imposta e la finalità specifica individuata alla norma, non essendo sufficiente la sola destinazione del gettito del tributo al finanziamento di spese generali che l’ente impositore deve sostenere in uno specifico settore, tanto più che dette spese possono essere finanziate con il gettito di altre imposte. La Commissione ha richiamato a tal proposito la sentenza del 5 marzo 2015, C-553/13, Statoil Fuel & Retail, con cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con riguardo ad un’imposta sulle vendite, gravante anche su quelle dei combustili liquidi - molto simile all’IRBA - ha statuito che l’art. 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008 dev’essere interpretato nel senso che detta norma non consente di ritenere che un’imposta persegua una finalità specifica quando grava sulle vendite al dettaglio di combustibile liquido soggetto ad accisa. Ciò neanche in una situazione in cui il tributo è diretto a finanziare l’organizzazione del trasporto pubblico nel territorio dell’ente locale che lo istituisce e detto ente locale abbia l’obbligo, a prescindere dall’esistenza della suddetta imposta, di eseguire e di finanziare tale attività.
A nulla sono valse le osservazioni delle autorità italiane tendenti a sottolineare che l’IRBA avrebbe l’effetto di contribuire a disincentivare il consumo di benzina, conseguendo in tal modo anche finalità ambientali, e che le regioni hanno, di fatto, utilizzato il gettito dell’imposta per coprire le spesa sanitarie e del trasporto pubblico locale.
Secondo la Commissione, invece, per l’IRBA non sussiste un meccanismo di assegnazione predeterminata del gettito per le suddette finalità.
La Commissione ha, inoltre, evidenziato come, in mancanza di un meccanismo di assegnazione predeterminata del gettito, un’imposta che grava sui prodotti soggetti ad accisa può essere considerata perseguire una finalità specifica soltanto qualora venga concepita, quanto alla sua struttura “in modo tale da influenzare il comportamento dei contribuenti nel senso di consentire la realizzazione della finalità specifica invocata, ad esempio mediante una forte tassazione dei prodotti di cui trattasi al fine di scoraggiarne il consumo”. Anche su tale versante, però, l’IRBA presta il fianco a critiche, dal momento che incide sulla sola benzina, circostanza che potrebbe orientare i consumatori verso l’acquisto di carburanti ben più nocivi per l’ambiente, ponendosi in tal modo in contrasto con la finalità specifica invocata; né l’aliquota molto bassa - pari a 2 centesimi per litro di benzina a fronte dei 72 centesimi a titolo di accisa - può in concreto rappresentare un efficace effetto deterrente.
Non ha dato i risultato sperati neanche l’indagine condotta dalla Commissione sulla verifica della sussistenza della seconda condizione richiesta dall’art. 1, par. 2 dalla direttiva 2008/118/CE, vale a dire il rispetto da parte dell’IRBA delle regole di imposizione unionale applicabili ai fini delle accise o dell'IVA in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell’imposta, che giustificherebbe la legittimità di un’imposizione indirette aggiuntiva all'accisa. Lo scopo di questa disposizione è infatti quello di evitare che le imposizioni indirette supplementari all’accisa ostacolino indebitamente gli scambi, attraverso l’assoggettamento degli operatori economici, da parte degli Stati membri, a procedure e formalità diverse da quelle previste dalla normativa unionale relativa alle accise o all'IVA. Sul punto per la Commissione è stato sufficiente riportare quanto sostenuto dalle autorità italiane e cioè che l’IRBA è un’imposta diversa dall’accisa sotto vari aspetti che riguardano la determinazione della base imponibile, i debitori dell’imposta e le sanzioni applicabili per omesso o ritardato pagamento del tributo elementi che rendono, pertanto, assai diversi i due tributi.
In estrema sintesi la Commissione europea ha ritenuto che l’IRBA non persegua alcuna finalità specifica e non rispetti le norme applicabili ai sensi dell’art. 1, par. 2 dalla direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise, che è stata recepita dallo Stato italiano con D.Lgs. n. 48 del 2010.
3. Queste conclusioni sono fatte proprie dai giudici piemontesi che hanno preferito non soffermarsi a ripercorrere le tappe argomentative della Commissione europea sui singoli aspetti che caratterizzano il tributo regionale, e pur rispettando l’obbligo imposto dalla Corte di giustizia in capo al giudice nazionale di interpretare il diritto interno in modo conforme al contenuto precettivo delle direttive (MELIS, Diritto tributario, 2013) a dispetto della richiesta di disapplicazione della norma regionale avanzata dalla società resistente, hanno dichiarato, invece, l’illegittimità del prelievo perché la tassa regionale, non avendo finalità specifiche se non di bilancio,“sarebbe contraria al diritto UE”. Non sono riaffiorati nella memoria gli insegnamenti della Corte Costituzionale che più volte ha evidenziato che “il contrasto tra norme statali e disciplina UE non dà luogo all'invalidità o all’illegittimità delle norme interne”. Ed invero la disapplicazione è una tecnica di risoluzione delle antinomie normative che “non produce alcun effetto sull'esistenza delle stesse e, pertanto, non può esser causa di qualsivoglia forma di estinzione o di modificazione delle disposizioni che ne siano oggetto. Resta dunque ferma l'esigenza che gli Stati membri apportino le necessarie modificazioni o abrogazioni del proprio diritto interno al fine di depurarlo da eventuali incompatibilità o disarmonie con le prevalenti norme dell’Unione” (Corte cost. sent. n. 389/1989).
Il dispositivo della sentenza in esame nella sua estrema stringatezza e singolarità, tradisce, altresì, la sua contraddittorietà nella parte in cui i giudici arrivano inspiegabilmente a sostenere che “la natura, la gestione condivisa tra Regioni beneficiarie del gettito ed Agenzia delle Dogane portano a ritenere l’imposta un’accisa sulla benzina”; di tal ché l’IRBA è “tecnicamente un’accisa perché la base imponibile resta l’unità di prodotto”.
La natura di accisa, infatti, è stata espressamente esclusa per l’IRBA dalle stesse autorità italiane per le ragioni che sono state avallate dalla Commissione. Infatti, mentre la determinazione della base imponibile dell’l’IRBA va operata sul quantitativo di benzina erogato, per l’accisa, invece, si tiene conto del quantitativo prodotto o importato; l’accisa è esigibile all'atto dell'immissione in consumo della benzina nel territorio dello Stato, mentre per l’IRBA l’obbligazione tributaria sorge al momento dell’erogazione della benzina dagli impianti di distribuzione di carburante al consumatore finale, quando cioè il prodotto è già stato assoggettato ad accisa. I debitori dell’IRBA, inoltre, sono i gestori dei distributori di carburante o, per espressa delega, la società petrolifera in quanto unico fornitore del prodotto, e si distinguono, quindi, sotto tutti gli aspetti dai soggetti obbligati al pagamento dell’accisa che sono i depositari autorizzati ovvero gli importatori. Diverse sono, inoltre, le sanzioni in caso di omesso o ritardato pagamento, giacché per l’IRBA trova applicazione la sanzione di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997, per l’accisa, invece, quelle stabilite dal D.Lgs. n. 504 del 1995 - TUA.
Del resto ove si trattasse un’accisa aggiuntiva all’accisa sulla benzina, l’IRBA sarebbe incompatibile con le disposizioni unionali armonizzate che non consentono differenziazioni della tassazione delle accise su base regionale. La questione sulla natura del tributo, purtroppo, resterà irrisolta, poiché la sentenza non è stata impugnata dalla Regione.
4. La vicenda affrontata dai giudici piemontesi, che per primi hanno aperto la strada ai rimborsi dell’IRBA, induce ad un parallelismo con la sentenza 23 ottobre 2019, n. 27101 con la quale la Corte di Cassazione ha affrontato il caso delle addizionali provinciali all’accisa sull'energia elettrica stabilendo che il legislatore nazionale con tale tributo ha rispettato soltanto la prima condizione richiesta dalle norme della direttiva in esame - le addizionali, infatti, erano liquidate e riscosse con le stesse modalità dell'accisa sull'energia elettrica - ma non la seconda, relativa alla sussistenza della finalità specifica “non essendo in armonia con il diritto unionale la destinazione di tali addizionali a semplici finalità di bilancio”. In tale occasione i giudici hanno stabilito che l’addizionale provinciale all’accisa “va pertanto disapplicata per contrasto con l'art. 1, p. 2, della direttiva n. 2008/118/CE, per come interpretati dalla Corte di giustizia della UE rispettivamente con le sentenze 5 marzo 2015, in causa C-553/13, e 25 luglio 2018, in causa C-103/17". Secondo la Corte, infatti, la disapplicazione è operata “in ossequio al principio per cui l'interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia della UE è immediatamente applicabile nell'ordinamento interno ed impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure all'esito di una corretta interpretazione, risultino in contrasto o incompatibili con essa (cfr., ex multis, Cass. n. 21248 del 08/11/2004; Cass. n. 22067 del 22/10/2007; Cass. n. 25701 del 09/12/2009; Cass. S.U. n. 3674 del 17/02/2010; Cass. n. 11641 del 15/05/2013; Cass. n. 25278 del 16/12/2015; Cass. n. 16923 del 10/08/2016; Cass. n. 27822 del 31/10/2018).”
Come è avvenuto per le addizionali provinciale e comunale all’accisa sull'energia elettrica - nel loro caso, in realtà, ancor prima della decisione della Corte di Cassazione - anche per l’IRBA deve registrarsi un intervento risolutore ad opera del legislatore statale che, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva riconosciuta dall'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, con l’art. 1,comma 628 della legge 30 dicembre 2020, n. 178, ha previsto l’abrogazione delle disposizioni che istituiscono e disciplinano l’IRBA a decorrere dal 1° gennaio 2021.
L’IRBA, infatti, rientra tra i cosiddetti “tributi propri derivati”, cioè quei tributi che, come precisa l’art. 7, comma 1, lett. b), n. 1, della legge n. 42 del 2009 - la legge delega sul federalismo fiscale - sono “istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle Regioni”. Detta definizione ha trovato adeguata sede nel D.Lgs. n. 68 del 2011, che all’art. 8 ha elencato i tributi delle regioni a statuto ordinario distinguendo al comma 1 i tributi propri autonomi “ceduti”- che possono, cioè, essere istituiti e interamente disciplinati o anche soppressi con legge regionale; al comma 2 la tassa automobilistica - che si configura come un tertium genus, vale a dire un tributo proprio derivato particolare, parzialmente “ceduto” alle regioni (Cfr. Corte Cost. n. 122 del 2019), in Giur. cost., 3, 2017, 1206); al comma 3 i “tributi propri derivati” e cioè gli altri tributi riconosciuti alle Regioni a statuto ordinario dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del decreto stesso. (Per un inquadramento generale dei profili tributari del federalismo fiscale si vedano: ANTONINI “Federalismo fiscale: la manovrabilità dei tributi propri”. Commento all’art. 7 l. n. 42 del 2009 (di prossima pubblicazione nel Commentario ANCI sulla legge delega sul federalismo fiscale), in Astrid online; GIOVANARDI “La fiscalità delle Regioni a statuto ordinario nell’attuazione del federalismo fiscale” in “Rassegna tributaria” 2010, 6, 1617).
Questi tributi, che sono quindi individuati dalla norma in via residuale, come in numerose occasioni ha affermato la Corte costituzionale “conservano inalterata la loro natura di tributi erariali (ex multis, sentenze n. 123 del 2010, n. 216 del 2009, n. 397 del 2005, n. 37 del 2004, n. 296 del 2003)”; la loro disciplina appartiene, dunque, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato “la quale consente al legislatore statale di variarne la disciplina, incidendo sulle aliquote, e persino di sopprimerli” (sentenze n. 97 del 2013 e n. 26 del 2014; sul punto si rinvia a GALLO, “Ancora in tema di autonomia tributaria delle Regioni e degli enti locali nel nuovo titolo V della Costituzione”, in “Rassegna tributaria”, 2005, 4,1033. Per una rassegna della giurisprudenza costituzionale: RIVOSECCHI, Profili di diritto tributario nel contenzioso Stato-Regioni, ISSIRFA, 2016).
E proprio tale è stata nel caso in esame la scelta del legislatore, che ha reputato evidentemente poco praticabile sia la strada per addivenire alla completa revisione dell’IRBA sia l’ipotesi di accordare alle regioni la facoltà di istituire, con proprie leggi, un analogo tributo, a causa dell’oggettiva difficoltà di individuare nuove fattispecie assoggettabili ad imposizione che potessero rispettare le regole di imposizione applicabili ai fini delle accise o dell’IVA ed il vincolo della finalità specifica.
Nella relazione illustrativa della norma si è puntato l’accento sullo scarso appeal del tributo, vista l’estrema limitatezza del numero delle regioni che lo applicano e sul fatto che la sua gestione, affidata all’Agenzia delle dogane e monopoli, è risultata particolarmente gravosa dal punto di vista amministrativo e spesso foriera di contenziosi tra l’Amministrazione finanziaria e gli operatori del settore della distribuzione dei carburanti (Cfr. Corte di Cassazione Sentenze n. 9854/2017 e n. 3949/2020).
Non bisogna, inoltre, sottovalutare la circostanza che la soppressione del tributo risponde anche all’esigenza di effettuare scelte impositive più aderenti agli impegni programmatici assunti dall’Italia in ambito unionale e internazionale. Si rammenta, infatti, che l’OCSE nelle raccomandazioni nei confronti dell’Italia ha messo in evidenza come sia indispensabile una riforma delle imposte sull’energia ispirata a criteri di efficienza ambientale e di uso delle risorse nella direzione di una crescita ecologica. In tale prospettiva è sembrato, quindi, essenziale assicurare innanzitutto un’omogenea tassazione dei prodotti energetici sull’intero territorio italiano, riservando sempre meno spazio a imposte regionali che per le loro caratteristiche si discostano da tale finalità e rischiano di minare il progetto di armonizzazione della tassazione.
E’ di tutta evidenza che l’abrogazione delle norme che disciplinano il tributo determinerà anche l’archiviazione della procedura d’infrazione avviata dalla Commissione europea, la quale, comunque, decorsi i due mesi dall’emissione del parere motivato, non ha compiuto alcuna iniziativa finalizzata ad avviare il giudizio dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea, pericolo questo che, con l’approvazione della legge di bilancio, sarà definitivamente scongiurato.
In tale contesto il legislatore ha reputato essenziale anche fornire un’immediata risposta alle istanze delle regioni che hanno istituito l’IRBA e che sono chiamate, come stabilisce il comma 629 del citato art. 1 della legge n. 178 del 2020, ad adeguare la propria normativa conformandola alle nuove disposizioni, attraverso cioè l’abrogazione delle leggi regionali che disciplinano il tributo. In linea, infatti, con il consolidato indirizzo della giurisprudenza costituzionale e con le disposizioni dell’art. 11 del D.Lgs n. 68 del 2011 - in base al quale gli interventi statali sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi regionali derivati e delle addizionali a tali tributi devono prevedere la contestuale adozione di misure per la completa compensazione - il legislatore nazionale ha previsto che la soppressione dell’IRBA sia accompagnata da un ristoro delle minori entrate delle Regioni che attualmente riscuotono il tributo, disponendo con il successivo comma 630 la creazione di un apposito fondo presso il Ministero dell'economia e delle finanze, con una dotazione di 79,14 milioni di euro a decorrere dall'anno 2021, da ripartire con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Il comma 628 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020 in esame fa, comunque, salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte.