Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

30/11/2020 - POST: Sfuggono all’esenzione ICI gli immobili di un ente religioso destinati a Casa di cura

argomento: IRAP e tributi locali - Giurisprudenza

Non è possibile accordare l’esenzione dall’ICI agli immobili posseduti da un istituto religioso destinati a casa di cura in mancanza di un requisito richiesto dalla norma di agevolazione vigente nel periodo cui si riferisce l’atto di accertamento emesso dal comune: gli immobili utilizzati devono essere, infatti, destinati esclusivamente allo svolgimento delle attività tassativamente elencate dalla norma, attività che non devono avere natura commerciale. Nella sentenza annotata la Corte di Cassazione offre lo spunto per effettuare un’indagine dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale di una problematica che ha dato origine a molto contenzioso ed è stata oggetto di attenzione anche da parte della Commissione europea

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PAROLE CHIAVE: ici - esenzioni - ente religioso - case di cura


di Stefania Cianfrocca

Tornano alla ribalta, con la sentenza in commento, le problematiche sull’applicabilità o meno dell’imposta comunale sugli immobili, l’ICI - nonchè dell’imposta municipale propria, l’IMU – agli immobili posseduti da un istituto religioso destinati a casa di cura.

La controversia nel caso di specie riguarda un avviso di accertamento ICI relativo all’anno 2003. L’annualità di riferimento da cui origina la controversia acquista un’importanza fondamentale, in quanto le norme sulle esenzioni per gli enti non commerciali hanno avuto una singolare evoluzione che può sostanzialmente riassumersi in quattro fasi.

La prima coincide con l’originaria formulazione dell’art. 7, comma 1, lettera i), del D.Lgs. n. 504/1992, che riconosce l’esenzione dall’ICI agli “immobili utilizzati dai soggetti di cui all'art. 87, comma 1, lettera c), del … D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917… destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'art. 16, lettera a), della l. 20 maggio 1985, n. 222”, vale a dire le attività di religione e di culto, che sono “quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi a scopi missionari alla catechesi, all’educazione cristiana”.

Si tratta, quindi, di un’esenzione di natura “mista”, risultante, cioè, dalla combinazione di criteri soggettivi con criteri funzionali, costituiti, nell’ipotesi in esame, dalla destinazione degli immobili; su tale tipologia di esenzione la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha posto, negli anni, alcuni punti fermi precisando che la stessa deve essere riconosciuta quando ricorrono contemporaneamente:

  • un requisito di carattere soggettivo, rappresentato dal fatto che l’immobile deve essere utilizzato da un ente pubblico o privato diverso dalle società, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali, come definiti dall’art. 73 (ex art. 87), comma 1, lettera c) del Testo unico delle imposte sui redditi;
  • un requisito di carattere oggettivo, in base al quale gli immobili utilizzati devono essere destinati esclusivamente allo svolgimento delle attività tassativamente elencate dalla norma, attività che non devono avere natura commerciale.

In questa fase la giurisprudenza della Corte di Cassazione è stata concorde nell’affermare che per accertare la sussistenza dei presupposti richiesti dalla norma è necessario verificare se l’attività che viene posta in essere nell’immobile, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un'attività commerciale (Cass. Sent. n. 20776/2005). E’ inoltre fondamentale appurare che ogni immobile sia utilizzato totalmente per lo svolgimento delle particolari attività richiamate dalla norma agevolativa, in quanto l'esenzione non può essere riconosciuta nei casi in cui l’immobile sia destinato, oltre che ad una delle attività agevolate, anche ad altri usi (Cass. Sentenze n. 5747/2005 e n. 10092/2005).

La seconda fase si è registrata con l’approvazione del comma 2-bis dell’art. 7 del D.L. n. 203/2005 che ha precisato che l'esenzione disposta dall'art. 7, comma 1, lett. i) del D.Lgs. n. 504/1992 spettava alle attività ivi indicate "a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse". Detta norma ha avuto, però, vita breve, in quanto sembrava soddisfare le condizioni per essere considerata un aiuto di Stato ai sensi dell'art. 107, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Il legislatore con l'art. 39 del D.L. n. 223/2006 ha provveduto, quindi, a riformulare la norma agevolativa e, aggiustando un po’ il tiro, ha accordato l’esenzione alle attività "che non abbiano esclusivamente natura commerciale". Val la pena di annotare che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha sgombrato ogni equivoco in ordine al periodo di applicazione delle disposizioni in questione, considerando le due norme di carattere innovativo (Cfr.Cass. n. 24500/2009 3 n.14530/2010).

Nella circolare ministeriale n. 2/DF del 2009, che ha affrontato in maniera diretta l’argomento, è stato precisato che per individuare le attività che non abbiano esclusivamente natura commerciale occorre aver riguardo alle specifiche modalità di esercizio che portano ad escludere la commercialità quando sono assenti gli elementi tipici dell’economia di mercato, ma siano presenti le finalità di solidarietà sociale alla cui tutela mira l’esenzione. Per quanto attiene alle attività sanitarie, fattispecie oggetto della sentenza in commento, la circolare precisa che devono considerarsi svolte con modalità non esclusivamente commerciali le attività accreditate o contrattualizzate o convenzionate dalla regione e che, pertanto, si svolgono, in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico, circostanza che garantisce uno standard di qualità e pone un limite alla remunerazione delle prestazioni rese, assicurando che tali prestazioni non siano orientate alla realizzazione di profitti. Logica conseguenza è che l'esenzione dall’ICI, non può essere riconosciuta alle strutture sanitarie non accreditate.

La  terza fase è stata caratterizzata da un lato dall’intervento della Commissione Europea che ha aperto un'indagine sull’applicazione della norma di esenzione ICI, giacché nella sua riformulazione, continuava a non mostrarsi in linea con la disciplina comunitaria; dall’altro da un ulteriore intervento del legislatore che è corso ai ripari esplicitando con il comma 1 dell’art. 91-bis del D.L. n. 1/2012 che l’esenzione ICI può essere accordata se gli immobili in questione sono destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'art. 16, lettera a), della l. 20 maggio 1985, n. 222 “con modalità non commerciali”.

Negli altri due commi dell’art. 91-bis del D.L. n. 1/2012 vengono, invece, regolamentate le ipotesi di utilizzazione "mista" degli immobili in questione, per l equali è stato introdotto il particolareconcetto dell'attribuzione "proporzionale" del beneficio fiscale. Sicchè:

  • nel caso in cui l'unità immobiliare abbia un'utilizzazione mista, l'esenzione ICI di cui si applica solo alla frazione di unità nella quale si svolge l'attività di natura non commerciale, se identificabile attraverso l'individuazione degli immobili o porzioni di immobili adibiti esclusivamente a tale attività;
  • qualora non sia possibile procedere in tal modo dal 1° gennaio 2013 l'esenzione ICI si applica in proporzione all'utilizzazione non commerciale dell'immobile quale risulta da apposita dichiarazione.

La norma rinvia, poi, ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze – emanato il 19 novembre 2012, n. 200  - la definizione delle modalità e delle procedure relative alla dichiarazione, degli elementi rilevanti ai fini dell'individuazione del rapporto proporzionale, nonché dei requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività di cui alla lettera i) del comma 1 dell'art. 7 del D.Lgs. n. 504 del 1992, come svolte con modalità non commerciali.

La quarta fase è   innanzitutto dalla sostituzione dell’ICI con l’IMU, in virtù dell’anticipazione, a decorrere dal 2012, della sua disciplina, contenuta nel D.Lgs. n. 23 del 2011, ad opera dell’art. 13, del D.L. n. 201 del 2011. La differente denominazione del tributo non ha comportato, tuttavia, una modifica normativa nel campo delle esenzioni, in quanto l’art. 9 del D.Lgs. n. 23 del 2011 precisa, al comma 8, che al nuovo tributo si applica, tra l’altro, l'esenzione prevista dalla lettera i) del comma 1 dell'art.7 del D.Lgs. n. 504 del 1992. Un altro intervento determinante registratosi in questa fase è stato quello della Commissione europea  che con la decisione del 2013/284/UE del 19 dicembre 2012 è giunta alla conclusione che l’esenzione dall’ICI di cui al citato art. 7, comma 1, lettera i), lettera i) del comma 1 dell'art.7 del D.Lgs. n. 504 del 1992, nella versione in vigore prima delle modiche apportate dal D.L. n. 1/2012, soddisfa tutte le condizioni di cui all’art. 107, paragrafo 1, del Trattato e che deve essere, pertanto, considerata aiuto di Stato.

In questo quadro generale la Corte di Cassazione con la sentenza in esame incasella giustamente la controversia nella prima fase del periodo dell’evoluzione normativa innanzi descritta e le è, conseguentemente, agevole arrivare a sostenere che nel caso di specie non sussisteva in capo all’ente religioso uno dei due requisiti essenziali, vale a dire quello oggettivo, per il riconoscimento dell’esenzione dall’ICI. La Corte arricchisce le sue argomentazioni con i principi sostenuti dalla Commissione europea nella citata decisione e cioè che anche un ente senza fine di lucro può svolgere attività economica e che anche laddove un’attività abbia finalità sociale questa non è sufficiente ad escluderne la classificazione di attività economica. Per risolvere ogni questione l’unico criterio rilevante è, quindi, se il soggetto svolga o meno un’attività economica. Per escludere il carattere non commerciale dell'attività di prestazione di servizi è necessario, dunque, che questi vengano offerti a titolo gratuito, ovvero dietro pagamento di corrispettivi o contributi meramente simbolici o comunque radicalmente inferiori ai costi di produzione.                                   

Partendo da tali assunti la Corte arriva a vanificare il contenuto della circolare ministeriale n. 2/DF del 2009, nella parte in cui si afferma che "lo svolgimento di attività assistenziali e attività sanitarie si ritiene effettuato con modalità non commerciali quando le stesse (...) sono accreditate, e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali e sono svolte (...) in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico”. Forte di quanto sostenuto dalla stessa Commissione europea - che aveva chiarito come tale condizione non è di per sé sufficiente a escludere la natura economica delle attività in questione - la Suprema Corte conclude affermando che nel caso in cui la pubblica amministrazione si avvalga dell'opera di privati,  l'attività sanitaria svolta da questi ultimi - ove sia prestata dietro corrispettivi pattuiti o stabiliti in funzione dei costi e dell'adeguata remunerazione dei fattori di produzione dei servizi demandati al privato stesso - è un’attività commerciale. E per corroborare la propria tesi evidenzia che una circolare amministrativa ha una valenza interna e non può certo influire sulla qualificazione giuridica dell'attività che è invece demandata al giudice. Pur consapevole del fatto che la normativa richiamata è posteriore al periodo cui si riferisce l’avviso di accertamento in discussione, la Corte ad abundantiam si sofferma a precisare che “nessun valore vincolante può essere attribuito sul punto al Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze 19 novembre 2012, n. 200, art. 4, comma 2”. Ma vi è di più, in quanto arriva a sostenere che “esso non ha valore di legge, tanto più che lo stesso appare, per questa parte, essere stato emanato ultra vires, dato che il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 91-bis, non demandava al decreto ministeriale il compito di definire autoritativamente il concetto di "modalità non commerciali" ma solo il compito di stabilire modalità e procedure da seguire in caso di utilizzazione mista di un immobile, al fine di individuare il rapporto percentuale tra utilizzazione commerciale e utilizzazione non commerciale dell'immobile stesso”.

Su quest’ultimo aspetto non si può fare a meno di rilevare che la Corte non si è probabilmente soffermata ad analizzare il contenuto dell’art. 9 del D.L. n.174/2012 il cui:

  • comma 6 ha integrato l’art. 91-bis del citato D.L. n. 1 del 2012 precisando che con il decreto ministeriale sono stabiliti altresì “gli elementi rilevanti ai fini dell'individuazione del rapporto proporzionale, nonchè i requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività di cui alla lettera i) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, come svolte con modalità non commerciali”;

comma 6-ter ha precisato che “Le disposizioni di attuazione del comma 3 dell'articolo 91-bis del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, come modificato dal comma 6 del presente articolo, sono quelle del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 19 novembre 2012, n. 200”.

Per amor di completezza si ricorda che quest’ultimo provvedimento:

  • all’art. 1, comma 1, h) stabilisce che le attività sanitarie sono quelle dirette ad assicurare i livelli essenziali di assistenza definiti dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001;
  • all’art. 4, comma 2, precisa che lo svolgimento di attività sanitarie, oltre a rispettare i requisiti prescritti all’art. 3, si ritiene effettuato con modalità non commerciali quando le stesse:
  1. a)  sono accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali e sono svolte, in ciascun ambito territoriale e secondo la normativa ivi vigente, in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico, e prestano a favore dell'utenza, alle condizioni previste dal diritto dell'Unione europea e nazionale, servizi sanitari e assistenziali gratuiti, salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall'ordinamento per la copertura del servizio universale;
  2. b)  se non accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali, sono svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e, comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale, tenuto anche conto dell'assenza di relazione con il costo effettivo del servizio.

Merita, inoltre, un doveroso richiamo la circostanza che nella citata decisione del 2013/284/UE del 19 dicembre 2012 la Commissione europea nel verificare se la nuova esenzione dall’IMU concernente gli enti non commerciali che svolgono le attività in questione sia conforme alle norme in materia di aiuti di Stato, ha “assolto” l’art. 91-bis, del D.L. n. 1/2012 precisando che le nuove norme “esprimono in modo chiaro che l'esenzione può essere garantita soltanto se non vengono svolte attività commerciali” ed evidenziando, altresì che “il regolamento del Ministero dell’economia e delle finanze del 19 novembre 2012 stabilisce, tra l’altro, i requisiti generali e settoriali che permettono di stabilire quando le attività di cui all’articolo 7, primo comma, lettera i), del decreto legislativo n. 504/92 vengono svolte con modalità non commerciali”. La Commissione osserva, infine, che, nei casi in cui un ente svolga attività sia economiche che non economiche, “l’esenzione parziale, di cui beneficia per la frazione dell’immobile utilizzata per attività non economiche, non rappresenta un vantaggio per tale ente quando presta un'attività economica in quanto impresa. In una situazione del genere la misura non costituisce pertanto un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del trattato”.

Un’ultima annotazione riguarda il fatto che le considerazioni svolte dalla Commissione europea mantengono il loro valore anche a seguito dell’ultimo intervento legislativo ad opera della Legge 27 dicembre 2019, n. 160, che ai commi da 739 a 783 ha ridisciplinato l’IMU.

Infatti, la materia delle esenzioni contenuta nel comma 759, poggia su principi ormai consolidati. Non a caso la norma di cui alla lettera g), dopo aver considerato esenti dall’IMU “gli immobili posseduti e utilizzati dai soggetti di cui alla lettera i) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali delle attività previste nella medesima lettera i)”, enuncia a chiare lettere che  “si applicano, altresì, le disposizioni di cui all'articolo 91-bis del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nonché il regolamento di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 19 novembre 2012, n. 200”.