Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

15/09/2020 - I reati tributari e il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231: possibile violazione del principio del ne bis in idem

argomento: Sanzioni e contenzioso - Legislazione e prassi

L’inclusione dei reati tributari all’interno dell’elenco dei reati presupposto per la responsabilità delle persone giuridiche ex D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 contiene, oltre ad elementi di novità, anche dei profili di criticità con particolare riferimento alla possibile violazione del principio del ne bis in idem. Difatti la duplice irrogazione all’ente delle sanzioni tributarie ex D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 e di quelle di cui al D.Lgs. 231/01, comporta l’applicazione di un doppio trattamento sanzionatorio per un medesimo fatto che si traduce, appunto, nella violazione di uno dei principi cardine che governa il nostro ordinamento penale

PAROLE CHIAVE: d.lgs. 231/2001 - reati tributari - responsabilitā degli enti - ne bis in idem


di Francesco Martin

1. Con il D.L. 26 ottobre 2019, n. 124 recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili” convertito con la L. 19 dicembre 2019, n. 157, il legislatore ha inserito nel sistema sanzionatorio delineato dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, inerente la responsabilità degli enti, i reati tributari.

Per inquadrare subito la nuova modifica, il recente art. 25-quinquiesdecies, D.Lgs. n. 231/01 introduce illeciti amministrativi connessi alla commissione dei delitti di dichiarazione fraudolenta (artt. 2 e 3, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74), emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8), occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10), sottrazione fraudolenta al pagamento d’imposte (art. 11), prevedendo le relative comminatorie edittali per la sanzione pecuniaria - sempre aggravabili se l’ente ne ha tratto un profitto di rilevante entità - e l’applicabilità delle sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, c. 2, lett. c), d) ed e).

A seguito di tale riforma sono sorti in dottrina numerosi dubbi circa la violazione del principio del ne bis in idem (SANTORIELLO C., La nuova responsabilità delle società per i reati tributari, in Il Societario, 19.03.20 p. 6).

Lo si evidenzierà subito per chiarezza.

La duplice applicazione all’ente delle sanzioni tributarie ex D.Lgs. 74/00 e di quelle di cui al D.Lgs. 231/01, comporta l’irrogazione di un doppio trattamento sanzionatorio per un medesimo fatto, traducendosi in una possibile violazione del principio del ne bis in idem.

Le sanzioni tributarie hanno infatti una portata già marcatamente punitiva, calibrata sulla gravità del fatto e pensata per costituire una reazione autonomamente adeguata agli illeciti fiscali.

Aggiungervi l’intero campionario delle disposizioni previste dal D.Lgs. n. 231/01, come se si intervenisse in un settore non ancora presidiato da alcuna pena, delinea un intervento assai poco equilibrato e non rispondente all’esigenza di bilanciare gli esiti dei due procedimenti necessaria per evitare eccessi punitivi.

Originariamente, l'impostazione penalistica negava la possibilità di addebitare ad un ente collettivo una responsabilità a titolo penale sulla base del principio societas delinquere non potest, in forza del quale la responsabilità penale potrebbe essere ascritta unicamente alla persona fisica in ossequio al precetto dell’alt. 27 Cost; come noto, tale orientamento deve ritenersi ormai superato a seguito dell’introduzione del D.Lgs. 231/01 in tema di responsabilità degli enti.

A livello amministrativo tributario invece sussiste, a seguito dell’introduzione dell’art. 7, D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (norma che concerne la riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie), una strutturale differenziazione tra le società a base capitalistica e le persone giuridiche, da un lato - nei cui confronti opera una autonoma riferibilità della sanzione amministrativa tributaria - e, dall’altro, tutti gli altri enti collettivi nei cui confronti il meccanismo di attribuzione della sanzione amministrativa rimane improntato, seppure con significativi temperamenti, al principio di personalità con applicazione della stessa in capo all’autore della violazione.

Per tale seconda categoria di soggetti, infatti, rimane valido un regime di responsabilità solidale tra l’autore della violazione e l’ente collettivo per le somme dovute a titolo di sanzione, qualora gli illeciti siano stati commessi nell'interesse di quest’ultimo (S.M. RONCO, Responsabilità dell'ente per gli illeciti tributari: considerazioni alla luce del principio del ne bis in idem e della direttiva n. 2017/1371 del 5 luglio 2017, in Rivista231, n. 3, 2018, p. 63-65).

 

 

  1. Occorre evidenziare come, alla luce di una recente sentenza della Corte di Giustizia (Corte di Giustizia UE, 05.04.17, causa C-217/15 e C-350/15), siano ormai superate le tesi secondo cui, in caso di parallelo svolgimento di procedimento amministrativo per le sanzioni amministrative tributarie nei confronti dell’ente personificato e di procedimento penale nei confronti dell’amministratore o del legale rappresentante, sussisterebbero i presupposti per censurare la violazione del principio del ne bis in idem.

Con tale sentenza si è notevolmente depotenziata la portata del divieto di ne bis in idem, riconoscendosi, a certe condizioni, la legittimità delle discipline che contemplano meccanismi sanzionatori amministrativi e penali di tipo parallelo o, eventualmente, consecutivi.

La Corte, infatti, ha chiarito che la nozione di idem factum rilevante nel quadro del principio del ne bis in idem convenzionale richiede uno scrutinio in ordine alla connessione, in modo sufficientemente stretto, sotto il profilo sostanziale e cronologico dei due procedimenti, quello amministrativo e quello penale.

Solo qualora tale ultima condizione non sia ravvisabile, la complessiva risposta punitiva domestica si paleserebbe censurabile per violazione del principio del ne bis in idem.

In questo quadro pare, allora, evidente come la portata applicativa del divieto del ne bis in idem si riduca in modo significativamente apprezzabile.

Si deve quindi ritenere necessario adottare un'interpretazione autonoma di tale principio nel diritto dell’Unione Europea alla luce dei principi della Carta dei diritti fondamentali, secondo cui, come rilevato in dottrina (F. Vigano, Le conclusioni dell'avvocato generale nei procedimenti pendenti in materia di ne bis in idem tra sanzioni penali e amministrative in materici di illeciti tributari e di abusi di mercato, in Dir. Pen. Cont., 18.09.17, p. 206; I. M. Gallo, Le conclusioni dell'avvocato generale nei procedimenti pendenti in materia di ne bis in idem tra sanzioni penali e amministrative in materia di illeciti tributari e di abusi di mercato, in Rass. Trib., 2017, p. 927), sussisterebbe una violazione del detto principio ogni volta in cui venisse promosso un procedimento penale o inflitta una pena di tale natura, a una persona già punita in via definitiva per lo stesso fatto, con una sanzione tributaria quando quest’ultima, nonostante la sua denominazione, in realtà abbia natura penale.

Sempre a livello giurisprudenziale, la Corte di Giustizia (Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 20.03.18, causa C-524/15) ha avuto modo di pronunciarsi nuovamente sull’argomento stabilendo che, per ritenere legittimo un cumulo sanzionatorio al fine del rispetto degli standard di tutela dei diritti fondamentali dell’Unione, deve necessariamente essere effettuata la verifica in ordine tanto alla sussistenza di un coordinamento tra le misure sanzionatorie previste nelle diverse fonti normative, quanto alla proporzionalità del cumulo di sanzioni, affinché il loro complesso sia limitato a quanto strettamente necessario (Corte EDU, Grande Stevens vs Italia, con commento di A. ALESSANDRI, Prime riflessioni sulla decisione della CEDU riguardo alla disciplina italiana degli abusi di mercato, in Giur. Comm., n.1, 2014, p. 855; F. D’ALESSANDRO, Tutela dei mercati finanziari e rispetto dei diritti umani fondamentali, in Dir. pen. proc., n. 5, 2014, p. 14-16).

La Corte, dopo aver preliminarmente ricordato la centralità della tutela degli interessi finanziari dell’Unione, ha evidenziato come possa ammettersi la legittimità del concorso tra fattispecie sanzionatorie alla condizione che l'onere supplementare gravante sul reo e derivante dal cumulo dei procedimenti sanzionatori sia mantenuto nei limiti di quanto strettamente necessario e la severità della complessiva sanzione all’esito del concorso sia proporzionata alla gravità dell'illecito.

Anche la giurisprudenza nazionale (Cass. pen., sez. V, 16.07.18, n. 45829 con commento di F. MUCCIARELLI, Illecito penale, illecito amministrativo e ne bis in idem: la corte di cassazione e i criteri di stretta connessione e di proporzionalità, in Dir. Pen. Cont., 17.10.18, p. 2-3) ha affrontato il tema del ne bis in idem con riferimento all’illecito amministrativo e l’illecito penale, ponendosi sulla scia della celebre pronuncia della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (La Corte di Giustizia ha avuto modi pronunciarsi con numerose sentenze di cui la più significativa è Corte EDU, Grande Sezione, A e B vs Norvegia, 15.11.16, con nota di F. VIGANÒ, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio, in Dir. Pen. Cont., 18.11.16, p. 1) ritenendo che in tema di manipolazione del mercato, l'irrogazione per il medesimo fatto sia di una sanzione penale che di una sanzione amministrativa definitiva - ai sensi degli artt. 185 e 187-ter, D.L. 24 febbraio 1998, n. 58 (inerente le sanzioni penali e amministrative derivante dall’abuso di mercato) - non determina la violazione del principio del ne bis in idem, a condizione che il cumulo delle sanzioni risulti proporzionale alla gravità del fatto commesso, in conformità ai principi di cui agli artt. 49, 50, 52  Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché dell’art. 4 Prot. n. 7 CEDU, così come interpretati dalle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione Europea C-524/15, C-537/16, nonché dalla sentenza della Corte EDU del 15 novembre 2016, A. e B. c. Novergia.

In definitiva le due Corti di Strasburgo e del Lussemburgo affermano che il divieto di bis in idem cessa di operare laddove vi sia una close connection temporale probatoria tra il procedimento amministrativo e quello penale, che consente di proseguire quest’ultimo anche se il primo si è ormai chiuso con una sentenza definitiva del giudice tributario.

Ed in tal senso si è anche espressa la Corte Costituzionale (Cort. Cost., 24.10.19, n. 222), proprio ispirandosi a questa giurisprudenza, per la quale non c’è bis in idem qualora “le due sanzioni perseguano scopi diversi e complementari, connessi ad aspetti diversi della medesima condotta; quando la duplicazione dei procedimenti sia prevedibile per l’interessato; quando esista una coordinazione, specie sul piano probatorio, trai due procedimenti; e quando il risultato sanzionatorio complessivo, risultante dal cumulo della sanzione amministrativa e della pena, non risulti eccessivamente afflittivo per l’interessato, in rapporto alla gravità dell’illecito” (G. VARRASO, Decreto fiscale e riforma dei reati tributari. Le implicazioni processuali, in Dir. pen. proc., n. 3, 2020, p. 340).

 

 

  1. La tematica del rapporto tra il principio del ne bis in edem e l’inclusione dei reati tributari nell’elenco dei reati presupposto si comprende meglio alla luce delle applicazioni processual penaliste.

In generale, ai sensi degli artt. 34 e 35, D.Lgs. n. 231/01, il procedimento penale non solo dovrà accertare la responsabilità del rappresentante legale e degli eventuali concorrenti che hanno commesso il reato tributario presupposto, ma dovrà ricostruire - di regola nel simultaneus processus ai sensi degli artt. 37 e 38 D.Lgs. 231/01 - la fattispecie complessa che integra l’illecito amministrativo dipendente da tale reato, secondo le regole fissate dagli artt. 5, 6 e 7, D.Lgs. n. 231/01.

Il rischio già evidenziato del moltiplicarsi delle sanzioni patrimoniali, legate pur sempre al medesimo fatto di reato, si incrementa in via ulteriore.

All’ente si dovrà applicare all’esito del processo ed in caso di condanna, anche a seguito di patteggiamento, la confisca obbligatoria diretta o per equivalente di cui all’art. 19, D.Lgs. n. 231/01, che ha ancora una volta ad oggetto il profitto derivante dal reato tributario presupposto, ossia l’imposta evasa comprensiva degli interessi, al netto dei diritti dei terzi in buona fede e delle restituzioni al danneggiato.

A ben vedere, in questo modo, almeno per i delitti tributari di frode elencati in via tassativa nell’art. 25-quinquiesdecies, D.Lgs. n. 231/01, il Pubblico Ministero potrà chiedere il sequestro ex art. 321, c. 2, c.p.p. e art. 53, cc. 1 e 2, di tutti i beni nella disponibilità della società, anche se non legati da alcun vincolo pertinenziale con il reato presupposto, società che non può più considerarsi terzo estraneo al reato (G. VARRASO, Op. cit. p. 341).

In definitiva, a seguito della riforma, in caso di commissione del reato  tributario presupposto nel suo interesse o a suo vantaggio, l’ente, già destinatario, ai sensi dell’art. 19, c. 2,  D.Lgs.  74/00, della sanzione amministrativa, di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (riguardante le sanzioni tributarie non penali), viene attinto anche dalle sanzioni, pecuniarie ed interdittive, previste dal D.Lgs. 231/01.

Ciò si traduce nel fatto che l’ente sarà inevitabilmente sottoposto ad una doppia sanzione e a un duplice procedimento.

E, di certo, non potrà avvalersi del meccanismo salvifico di cui agli artt. 19, cc. 1 e 21, D.Lgs. 74/00, che consente, come evidenziato, di assicurare l’applicazione di una sola sanzione e,  dunque, nella  prospettiva  del ne  bis  in  idem europeo,  di  soddisfare  il parametro della proporzionalità sanzionatoria (PIERGALLINI F., La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell'ente, in Sist. pen., n. 6, 2020, p. 24).

 

 

 

 

 

  1. Esposto così il fulcro del problema, quali le possibili soluzioni?

La dottrina, dopo la conversione e l’entrata in vigore del D.L. 124/19 ne ha prospettato alcune.

Una prima conclusione può essere quella di dare attuazione ai principi di diritto stabiliti in tema di ne bis in idem dalla copiosa giurisprudenza della Corte EDU, della Corte di giustizia, della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione.

Dall’altro lato si può tornare a prospettare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 187-terdecies, D.Lgs. n. 58/98, come modificato dall’art. 4, c.17, D.Lgs. 10 agosto 2018, n.107, nella parte in cui non è applicabile alla responsabilità degli enti (R. BARTOLI, Responsabilità degli enti e reati tributari: una riforma affetta da sistematica irragionevolezza, in Sist. pen., n. 3, 2020, p. 220).

A bene vedere la strada aperta dalla summenzionata, ed in verità molto corposa, giurisprudenza europea sembra essere, anche in ottica di diritto intertemporale e di applicazione concreta, la soluzione migliore, in quanto si inserisce in un solco già delineato, sia a livello comunitario che nazionale, e proprio per tale motivo omogeneamente applicabile anche negli altri Stati dell’Unione.

In alternativa si dovrà attendere che un Tribunale accolga l’eccezione di legittimità costituzionale e che la Corte Costituzionale si pronunci sull’argomento e sulla disciplina applicabile alla persona giuridica.

 

 

4.1 Infine, per quanto attiene alle problematiche applicative concernenti il D.Lgs. 231/01, sarebbe necessaria una rivisitazione e modifica dell’art. 8 del medesimo decreto che disciplina l’autonomia della responsabilità dell’ente, in quanto verrebbe a crearsi una ipotetica disparità di trattamento.

Oltre infatti alla tematica della possibile violazione del principio del ne bis in idem, sussiste un ulteriore problema, sebbene di minore gravità.

Come noto l’art. 13 del D.Lgs. 74/00 prevede delle cause di non punibilità qualora il contribuente si attivi prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.

In particolare, i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, c. 1, del D.Lgs. 74/00 non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.

I reati di cui agli artt. 4 e 5 del D.Lgs. 74/00, a loro volta, non sono punibili se i debiti tributari, comprese le sanzioni e interessi sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento, entro il momento di apertura del dibattimento.

L’ente invece non può beneficiare della medesima circostanza prevista per il soggetto persona fisica; ciò si traduce in una immotivata differenziazione di trattamento, nonché in una inutile e nocumentale forma di accanimento nei confronti della persona giuridica.

Anche su tale punto la dottrina si è interrogata su come risolvere equamente la questione, affermando che tale disparità può essere superata o in via interpretativa ritenendo non operante l’art. 8, c.1, lett. b), D.Lgs. n. 231/01 rispetto alla causa di non punibilità prevista dall’art. 13 D.Lgs. n. 74/00, oppure sollevando ancora una volta questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 D.Lgs. n. 74/00 nella parte in cui non risulta applicabile alla responsabilità degli enti (R. BARTOLI, Op. cit., p. 226).

Tuttavia tali ragionamenti ivi compresi quelle inerenti il principio del ne bis in idem - pur essendo al momento quelli più praticabili - sembrano essere più idonei a procrastinare il problema, affidandolo in alternativa al giudice a quo ovvero alla Corte Costituzionale, che a porre in essere un percorso volto a ricercare, in concreto, una soluzione alle problematiche, già evidenziate, sottese all’introduzione dei reati tributari nell’elenco dei reati presupposto.

 

 

  1. In conclusione, se dunque la nuova norma introduce nuovi ed interessanti spunti di riflessione, dall’altro rischia di tradursi in una, nemmeno troppo supposta, violazione di uno dei principi cardine dell’ordinamento penale con la conseguenza di ingenerare risultati applicativi dannosi e inefficaci.

Pare poi opportuno, per completare il quadro d’insieme, specificare che in data 6 luglio 2020 il Governo ha approvato in esame definitivo il Decreto Legislativo di attuazione della Direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale, c.d. Direttiva PIF.