argomento: IRPEF - Legislazione e prassi
La locazione dell’immobile concesso in comodato pone una serie di questioni interpretative legate all’imputazione del reddito prodotto. La giurisprudenza di legittimità ha recentemente confermato il suo orientamento secondo cui i suddetti redditi devono essere imputati al proprietario come redditi fondiari, pur se egli non risulta essere l’effettivo percettore (Cass., n. 5000/2024). La ricostruzione della Suprema Corte ha suscitato, tuttavia, alcune perplessità in merito al rispetto del principio della capacità contributiva ex art. 53 della Costituzione. Allo stesso tempo, appare in contrasto con un diverso e consolidato indirizzo della stessa Corte, il quale nega la possibilità di includere il reddito da locazione all'interno dei redditi fondiari, ove il contratto sia stipulato dal possessore non qualificato (ex multis, Cass., n. 19166/2003; Cass., n. 15171/2009; Cass., n. 3085/2016; Cass., n. 36488/2023). Laddove si avalli tale ultima ricostruzione, è necessario inquadrare la fattispecie in una diversa categoria reddituale. Si paventa, allora, l'ipotesi di imputare i canoni di locazione al comodatario in qualità di redditi diversi, in analogia alla fattispecie della sublocazione di cui all’art 67, comma 1, lett. h) del TUIR.
PAROLE CHIAVE: locazione - comodato - redditi fondiari
di Angelo Vitelli
1. La locazione dell’immobile concesso in comodato è una fattispecie negoziale di cui non si rinviene traccia all’interno del Testo unico sulle imposte dei redditi (D.P.R. n. 917/1986). L’assenza di una disciplina specifica ha creato, pertanto, un’accesa querelle sulla corretta tassonomia di tali redditi e, di conseguenza, sull’individuazione del soggetto passivo dell’obbligazione tributaria. Andiamo, allora, ad analizzare la ricostruzione prospettata dalla giurisprudenza di legittimità, per poi approfondire le possibili soluzioni alternative.
2. L’indirizzo della Suprema Corte risulta piuttosto granitico nell’attribuire il reddito generato dalla locazione dell’immobile in comodato in capo al proprietario/comodante, nonostante il materiale ed effettivo percettore dei canoni sia il comodatario/locatore.
Tale assunto si basa sul fatto che il presupposto impositivo derivi, seppur in maniera mediata, dal possesso qualificato dell’immobile.
Pertanto, ai sensi dell’articolo 26 del TUIR, il reddito ritraibile dai fabbricati può essere attribuito solo a chi possiede un diritto reale di godimento sul bene, mentre il comodato trasferisce un mero diritto personale di godimento (Cass., n. 5000/2024).
Inoltre, è stato precisato come la norma de qua definisca un concetto di reddito “potenziale”, quindi indipendente dalla percezione materiale di una somma di denaro; in tal senso, la mancata riscossione effettiva dell’importo non può definirsi dirimente per negare la sua natura di reddito fondiario, anzi rappresenterebbe un quid pluris per accertarne la non rilevanza ai fini impositivi; né si potrebbe altrimenti opinare, considerando tale emolumento nella categoria dei redditi diversi, in analogia al reddito da sublocazione.
Infatti, la giurisprudenza nomofilattica ha evidenziato che, conformemente alle risoluzioni n. 381/E/2008 e n. 394/E/2008 dell’Agenzia delle Entrate, non sia possibile assimilare la locazione del comodatario alla sublocazione, atteso che i redditi de quibus trovano un espresso riconoscimento nell’art. 67 TUIR, comma 1, lett. h), mentre non vi è traccia della fattispecie di locazione dell’immobile concesso in comodato (Cass., n. 5588/2021).
A ben vedere, nella sentenza menzionata, la Suprema Corte non argomenta esaustivamente le ragioni per cui la fattispecie in esame non possa essere assimilata alla sublocazione.
Tuttavia, appare ragionevole richiamare quel filone dottrinario che definisce i redditi diversi come un elenco tassativo, fondando tale convincimento sull’analiticità e completezza delle voci che compongono la categoria.
Dunque, secondo gli Ermellini, la soluzione più confacente è quella di considerare il reddito come fondiario e, di conseguenza, appartenente al proprietario, pur se quest’ultimo non ha percepito alcuna utilità economica.
3. La ricostruzione appena riportata ha generato una serie di perplessità che si basano, sostanzialmente, su due rilievi principali.
In merito ai principi generali di imputazione del reddito fondiario, il ragionamento della giurisprudenza risulta, invero, perfettamente coerente con la natura giuridica del contratto di comodato.
Quest’ultimo, disciplinato dagli articoli 1803 e seguenti del codice civile, produce effetti obbligatori, e non reali; cosicché il comodatario è titolare di un diritto personale di godimento e non di un diritto reale.
Il comodatario, dunque, si atteggia a mero detentore dell’immobile.
Pertanto, non è in discussione che, a seguito della stipula di un contratto di comodato, l’immobile produca ancora un reddito fondiario in capo al proprietario; ciò che si contesta è la quantificazione dello stesso.
Si rammenta, infatti, che lo stesso articolo 26 TUIR definisce un concetto di capacità contributiva “potenziale” in quanto, appunto, indipendente da una effettiva percezione di reddito.
Tale assunto deve essere inteso nel senso che il possesso di un diritto reale su un immobile genera, ad ogni modo e in re ipsa, un reddito imponibile.
Altra questione, invece, concerne la modalità di calcolo della base imponibile, che dipende dall’effettiva percezione (rectius maturazione) di un’utilità economica.
Infatti, accanto alla disciplina ordinaria che collega il reddito imponibile alle tariffe d’estimo (art. 37, comma 1, TUIR), vi è una norma speciale che prevede, in caso di locazione, che l’imposta sia applicata sul corrispettivo del contratto di locazione, ridotto del 5%, ove quest’ultimo sia maggiore rispetto alla rendita catastale (art. 37, comma 4-bis, TUIR).
Ora, nel caso di immobile concesso in comodato, il proprietario non percepisce alcuna utilità economica e, dunque, rimane riscontrabile una capacità contributiva potenziale, da quantificare in base all’ordinaria disciplina ex art. 37, comma 1, del TUIR.
Né si potrebbe altrimenti replicare, asserendo che sia proprio l'irrilevanza dell’effettiva disponibilità dei canoni a confermare l’imputazione del reddito da locazione dell’immobile concesso in comodato in capo al comodatario.
Sul punto è intervenuta, ex multis, Cass., n. 3085/2016 che ha precisato la corretta interpretazione da assegnare alla formula "indipendentemente dalla percezione".
Secondo la Corte, essa si limita a fissare il criterio ordinario di concorso dei cespiti di cui all'articolo 25 TUIR alla formazione del reddito complessivo dei soggetti che li possiedono, senza incidere sull’identificazione dei soggetti passivi titolari del reddito.
La pronuncia rileva, ancora, che la disciplina speciale creata dal legislatore ex 37, comma 4, non consente in alcun modo di alterare la qualificazione tributaria dei canoni locativi, ma serve soltanto come criterio di selezione e quantificazione dei redditi che si ritengono rilevanti ai fini della composizione della base imponibile.
L’arresto conclude nel ritenere che, ai fini della corretta attribuzione del reddito derivante dal contratto di locazione, la regola che deriva dalla formula "indipendentemente dalla percezione" sia del tutto irrilevante, dato che essa si riferisce esclusivamente ai redditi fondiari determinati in base alle risultanze catastali.
In merito, dunque, all’inquadramento reddituale del corrispettivo da locazione, si è pronunciata Cass., n. 36488/2023, la quale ha stabilito che il reddito da locazione non può essere inserito fra i redditi fondiari se il contratto è stipulato da persona non proprietaria, né titolare di altro diritto reale sul bene in questione; per espressa previsione dell’articolo 26 TUIR, infatti, la tassazione come reddito fondiario dei canoni locativi presuppone necessariamente che il possesso del bene sia qualificato, ossia derivi dalla proprietà o altro diritto reale.
Si segnala, inoltre, come la ricostruzione de qua risulti coerente con l’orientamento dottrinale che eleva la materiale ed effettiva disponibilità della reddito ad elemento essenziale del concetto di capacità contributiva (Cfr. POTITO, L’ordinamento tributario italiano, Milano, 1978, 181 ss.; FERLAZZO NATOLI, Il fatto rilevante nel diritto tributario. Contributo allo studio del “presupposto di fatto” del tributo, in Riv. dir. trib., 1994, I, 454).
Ragion per cui, appare corretto attribuire soggettività passiva ai titolari di situazioni giuridiche soggettive che consentono legittimamente di disporre della fonte produttiva, ponendo in essere atti di gestione e utilizzandone i frutti (Ex multis, TINELLI-MENCARELLI, Lineamenti giuridici dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, Torino, 2018; A. FEDELE, “Possesso” di redditi, capacità contributiva ed incostituzionalità del , in Giur. Cost., 1976).
Ora, nel caso di specie, non è contestabile che il soggetto che pone in essere la condotta indice di capacità contributiva sia proprio il comodatario.
Il proprietario, al contrario, risulta generalmente estraneo al successivo contratto stipulato dal comodatario.
Una diversa conclusione può ritenersi ragionevole solo nel caso in cui venga dimostrato dall’amministrazione finanziaria, ai sensi del novellato art. 7, comma 5-bis, del D.Lgs. n. 546/1992, la realizzazione di una fattispecie di interposizione fittizia, per cui il contratto di comodato sia stato stipulato surrettiziamente al solo fine di imputare al comodatario i successivi canoni di locazione, i quali, in realtà, sono percepiti ed utilizzati dal comodante (in merito al rapporto tra beneficiario effettivo e apparente si segnalano, tra gli altri, M. NUSSI, L’imputazione di reddito tra soggetto interposto ed effettivo possessore: profili procedimentali, in Rass. trib., 1998, p. 733; F. PAPARELLA, Possesso di redditi ed interposizione fittizia, Milano, 2000, p. 123 e ss.).
Pertanto, appare più conforme al dettato dell’articolo 53 della Costituzione, oltre che agli arresti giurisprudenziali citati, attribuire al proprietario il reddito fondiario derivante dell’ordinaria applicazione delle tariffe d’estimo e, al contempo, imputare al comodatario il reddito da locazione.
4. L'ulteriore questione che è necessario affrontare riguarda la specifica classificazione del reddito da locazione percepito dal comodatario.
Infatti, se esso non trova una corretta collocazione nei redditi fondiari, dato che non appare attribuibile al proprietario, è necessario ricercare una soluzione alternativa.
Si paventa, allora, la possibilità di inquadramento nella categoria dei redditi diversi, assimilando la fattispecie alla sublocazione regolata nel TUIR all’articolo 67, comma 1, lett. h).
In merito, potrebbe ostare l’invocazione di un principio generale di tassatività che permea la categoria dei redditi diversi.
Tuttavia, l’impossibilità di interpretazione analogica dovrebbe essere valutata singolarmente per ogni enunciato, in base al carattere eccezionale o meno della disposizione.
In effetti, vi sono alcune categorie specifiche di redditi diversi che rappresentano norme di carattere derogatorio rispetto alla disciplina ordinaria.
Si rifletta, ad esempio, sulle plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione (art. 67, comma 1, lett. b).
In tal caso la norma, derogando al principio generale di irrilevanza reddituale delle plusvalenze immobiliari non conseguite nell'esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali, è pacificamente insuscettibile di interpretazione analogica, in quanto norma eccezionale (Cass., SS.UU., n. 7377/2021).
Nel caso di specie, invece, la possibilità di ammettere un’interpretazione analogica rispetto al reddito da sublocazione non comporta violazione dei criteri ermeneutici, dato che l’inquadramento dei canoni sublocativi all’interno della categoria dei redditi diversi non deroga ai principi di attribuzione del reddito fondiario.
La sublocazione trasferisce, infatti, solamente un diritto personale di godimento, senza dunque andare ad incidere sulla capacità contributiva del proprietario dell’immobile.
Egli, indipendentemente dall’eventuale sublocazione, subirà l’imposizione fiscale in base alla rendita catastale, rivalutata del 5%, o al corrispettivo del proprio contratto di locazione, decurtato del 5%, se maggiore (come, nella sostanza, accade per la quasi totalità dei casi).
La fattispecie appena descritta appare, invero, perfettamente assimilabile a quella del reddito da locazione dell’immobile in comodato.
Sia il comodatario locatore che il sublocatore percepiscono un corrispettivo in virtù di un diritto personale di godimento acquisito in precedenza.
Il fatto che tale diritto sia stato acquistato a titolo oneroso (nella locazione) o a titolo gratuito (nel comodato) non risulta di particolare rilievo ai fini della qualificazione del reddito incamerato.
In proposito, alcune sentenze di merito (in particolare Ctr Lombardia, sent. n. 215/1/16, del 16/01/2016) hanno statuito come, da una parte, il reddito del comodatario vada qualificato come reddito diverso ex articolo 67 TUIR poiché legato allo sfruttamento economico di un fabbricato detenuto in base a un diritto personale di godimento; dall’altra, che il reddito fondiario del proprietario, che non abbia la disponibilità dell’immobile dato in comodato, deve essere determinato con l’applicazione delle tariffe di estimo.
Da segnalare, inoltre, come vi siano anche pronunce di legittimità che sembrano avallare la ratio sottostante tale ricostruzione. In particolare, si riportano la Cass., n. 19166/2003 e la già citata Cass., n. 36488/2023.
Entrambe le pronunce affrontano un contenzioso riguardante la corretta qualificazione del reddito generato da un contratto di locazione stipulato dal possessore non qualificato dell’immobile, ossia da un soggetto che non è detentore di alcun diritto reale di godimento sul bene, ma che possiede legittimamente la disponibilità dello stesso.
Nel primo caso, il contratto è stato stipulato in qualità di promissario acquirente; nel secondo, in veste di gestore di affari altrui.
Gli arresti de quibus confermano come non sia possibile ipotizzare la sussistenza di un possessore apparente, idoneo a qualificare come reddito fondiario i canoni percepiti dal locatore; si tratterebbe, infatti, di una deduzione erronea, perché farebbe derivare automaticamente dal rapporto di locazione l'insorgere di un reddito fondiario, senza in alcun modo verificare la sussistenza dei requisiti di cui agli articoli 25 e ss. del TUIR.
Ad abundantiam, si sottolinea come qualificare omogeneamente tutte le fattispecie reddituali riguardanti il legittimo sfruttamento economico di un immobile da parte del soggetto privo di un diritto reale di godimento appare come la prospettiva più aderente al principio di eguaglianza espresso dall’articolo 3 della Costituzione.
A riguardo, le medesime argomentazioni formulate dalla Suprema Corte in merito alle fattispecie del promissario acquirente e del gestore di affari altrui potrebbero essere coerentemente perorate anche per il reddito percepito dal comodatario locatore.
5. L’esigenza di equiparazione tra la fattispecie della sublocazione e della locazione con precedente comodato è stata percepita anche dal legislatore, il quale attraverso l’articolo 4, D.L. n. 50/2017, ha permesso sia al sublocatore che al comodatario locatore di applicare un’imposta sostitutiva del 21% (c.d. cedolare secca) per le locazioni brevi, ossia quelle di durata inferiore ai 30 giorni.
Si tratta, pacificamente, di una norma eccezionale poiché deroga al principio generale dall'applicazione della cedolare secca per i soli redditi fondiari; essa, dunque, dovrà essere interpretata restrittivamente non potendo essere applicata per altre tipologie contrattuali.
L’imposta sostitutiva si applica sui canoni lordi, senza poter dedurre i costi sostenuti per la produzione del reddito.
Si tratta, allora, di una norma particolarmente agevolatrice per il comodatario, il quale sostanzialmente non sostiene costi per la percezione dei canoni.
A contrariis, il sublocatore, se eventualmente optasse per la cedolare secca, non potrà computare i costi derivanti dal contratto stipulato in qualità di locatario.
6. Si potrebbe, infine, prospettare un’ulteriore via che consenta di imputare il reddito da locazione al comodatario.
Si tratta di inquadrare i compensi percepiti sempre nella categoria dei redditi diversi, ma utilizzando un ragionamento logico-giuridico differente.
Infatti, all’interno dell’articolo 67 TUIR si trova il comma 1, lett. l), che disciplina la fattispecie di assunzione di obblighi di fare, non fare e permettere.
In questa prospettiva, il comodatario è titolare passivo di un generale obbligo di “pati”, dato che, sostanzialmente, permette al locatore di fruire dell’immobile (nella misura in cui gli era stato concesso, in precedenza, con il contratto di comodato), rinunciando, in tutto o in parte, al godimento del bene.
Ora, tale ricostruzione non sembra generare gravi criticità ermeneutiche, anche perché consente, ad ogni modo, di imputare il reddito da locazione al comodatario, in coerenza con l’impianto argomentativo finora sviluppato.
Tuttavia, il carattere residuale della norma di cui al comma 1, lett. l), comporta che essa debba essere utilizzata come una sorta di “last resort”, ovvero quando, nonostante l’utilizzo dei criteri interpretativi logico-giuridici, non sia possibile addivenire alla sussunzione del fattispecie concreta nell’alveo di una norma più precisa e dettagliata.
Nel contesto in esame, allora, considerato quanto riportato nei paragrafi precedenti, appare maggiormente appropriata la collocazione del reddito percepito del comodatario nel quadro dell’articolo 67, comma 1, lett. h), in quanto, in affinità con le ipotesi specifiche ivi regolate, anche la fattispecie de qua comporta lo sfruttamento economico di un bene detenuto in base ad un diritto di godimento.
7. La ricostruzione tesa ad inserire il reddito da locazione dell’immobile concesso in comodato all’interno dei redditi diversi può porre, prima facie, degli interrogativi.
Ciò deriva da un diffuso orientamento che tende a negare la possibilità di collocare fattispecie esterne nell’ambito del genus dei redditi diversi, sottolineandone il carattere chiuso e tassativo. Tuttavia, tale convincimento potrebbe essere superato prendendo come riferimento quelle diverse statuizioni giurisprudenziali di merito e di legittimità che appaiono particolarmente ossequiose dei dettami costituzionali.
Queste ultime, dapprima, mettono in rilievo come il reddito fondiario attribuibile al proprietario che non abbia la disponibilità materiale ed effettiva dell’immobile, non possa basarsi sui canoni di locazione da lui non percepiti, senza violare il principio di capacità contributiva.
Pertanto, lo stesso reddito fondiario, che, ad ogni modo, rimane in capo esclusivamente al proprietario, dovrebbe essere determinato con l’applicazione delle tariffe di estimo.
La conclusione appena riportata genera come diretta conseguenza la doverosa disamina dell’inquadramento dei canoni di locazione percepiti dal comodatario.
In proposito, poiché non appare plausibile l’inserimento nella specie dei redditi fondiari, l'ipotesi maggiormente convincente, anche tenendo conto del principio di uguaglianza sostanziale ex art. 3 della Costituzione, può ritenersi quella di assimilare il reddito da locazione dell’immobile in comodato alla fattispecie della sub-locazione rientrante nell’art. 67, comma 1, lett. h) del TUIR.
Tale conclusione è suggerita anche da quelle pronunce di legittimità che, nelle ipotesi di canoni percepiti dal promissario acquirente e dal gestore di affari altrui, imputano tali emolumenti all’effettivo percettore, negandone la qualificazione di redditi fondiari in quanto derivanti da un possesso non qualificato.
In conclusione, si segnala l’esigenza di riconoscere univocamente l’autonoma imputazione dei redditi da locazione rispetto al titolo reale di possesso, ogniqualvolta il beneficiario dei canoni sia un soggetto diverso dal possessore qualificato dell’immobile.