Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

21/06/2018 - Criteri di imputazione temporale dei canoni di locazione percepiti dal contribuente.

argomento: IRPEF - Giurisprudenza

I canoni di locazione devono essere inclusi nella determinazione del reddito d’impresa in applicazione del principio di competenza. Essi devono, quindi, ritenersi conseguiti alla data di maturazione del corrispettivo, sebbene quest’ultimo, poi, non sia stato ancora incassato. La Corte di Cassazione ribadisce che, in tema di determinazione del reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti del reddito sono tassative ed inderogabili.

PAROLE CHIAVE: canoni di locazione - determinazione reddito di impresa - imputazione temporale - principio di competenza - norme inderogabili


di Maria Gaballo

La questione affrontata dalla Suprema Corte nell’ordinanza che si annota, ridotta nei suoi termini essenziali, riguarda la determinazione della base imponibile ed, in modo particolare, le questioni concernenti i criteri di imputazione temporale dei canoni di locazione percepiti dal contribuente. In tema di reddito d’impresa, le norme sull’imputazione temporale dei componenti di reddito, dettate in via generale dall’art. 75 del D.P.R. n. 917 del 1986, sono tassative ed inderogabili (Cass., Sez. 5, Ord. dell’11 ottobre 2018, n. 25218; Cass., 21 ottobre 2013, n. 23725 e Cass., 18 dicembre 2009, n. 26665). La Corte afferma che non è, infatti, consentito al contribuente ascrivere a proprio piacimento un componente positivo o negativo di reddito ad un esercizio di competenza diverso da quello cui fa riferimento la norma. In tal senso, i Giudici di legittimità richiamano un consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass., Sez. 6 -5, 17 dicembre 2013, n. 28159).

In linea generale, può dirsi che il regime fiscale delle locazioni commerciali dispone che per l’imprenditore o per una società commerciale, quale locatore, i canoni di locazione devono essere determinati tenendo conto dell’applicazione dell’IVA o di eventuali esenzioni in ragione delle specifiche fattispecie poste in essere. I canoni devono essere inclusi nella determinazione del reddito d’impresa in applicazione del principio di competenza. Ciò vale a dire che essi devono ritenersi conseguiti alla data di maturazione del corrispettivo, sebbene quest’ultimo, poi, non sia stato ancora incassato.

Ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza è essenziale quanto statuito dall’art. 109, comma 2, lett. b) del TUIR, per il quale “i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate, ovvero, per quelle dipendenti da contratti di locazione, mutuo, assicurazione e altri contratti da cui derivano corrispettivi periodici, alla data di maturazione dei corrispettivi”. In definitiva, la Corte ha affermato che i ricavi derivanti dai canoni di locazione devono intendersi conseguiti, a norma dell’art. 109 citato, alla data di maturazione, poiché sino all’eventuale risoluzione del contratto, non possono essere qualificati componenti positivi dei quali non sia certa l’esistenza o la determinazione dell’ammontare, ciò prescindendo dalla effettiva e concreta corresponsione. Sull’irrilevanza del pagamento e della fatturazione (M. Beghin, Principio di competenza, ultimazione della prestazione di servizi, ultimazione «bilaterale», incasso del corrispettivo ed emissione della fattura: un chiarificatore intervento della Corte di cassazione in tema di imputazione a periodo delle componenti negative di reddito, in Riv. dir. trib., 2006, II, 879) si è espressa la dottrina evidenziando l’importanza del momento dell’ultimazione delle prestazioni di servizi. Quest’ultima individuazione non sembrerebbe porre incertezze rilevanti dal punto di vista concettuale, quanto piuttosto problemi fattuali (G. Zizzo, L’imposta sul reddito delle società, in G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte speciale, Il sistema delle imposte in Italia, Padova, 2012, 336).In linea con quanto precisato può anche annoverarsi l’indirizzo giurisprudenziale per il quale la Cassazione ha ribadito che i costi relativi a prestazioni di servizio sono, a norma dell’art. 109 del TUIR, di competenza dell’esercizio in cui le medesime sono ultimate, non essendo necessario che per tale imputazione sia rilevante il momento in cui viene emessa la relativa fattura o viene effettuato il pagamento (in tal senso, cfr. Cass., Sent. 6 maggio 2015, n. 9068).

Il criterio di ultimazione della prestazione è quello scelto dal legislatore per le prestazioni di servizi ed esso può essere ricavato in ragione della disciplina del contratto, ma anche da riscontri di tipo fattuale. Per ciò che attiene ai contratti dai quali derivano corrispettivi periodici (come nel caso dei contratti di mutuo o di locazione) deve precisarsi che il momento di ultimazione della prestazione non è tenuto in conto, quanto piuttosto esso lascia spazio alla maturazione del corrispettivo. In tal senso, la maturazione del diritto è proporzionale al decorrere del tempo, poiché le prestazioni contrattuali effettuate hanno un contenuto economico costante per tutta la durata del contratto posto in essere (A. Cazzato, Art. 109, d.p.r. n. 917/1986, in G. Falsitta – A. Fantozzi – G. Marongiu – F. Moschetti, Commentario breve alle leggi  tributarie. Tomo III – Testo unico sulle imposte sui redditi e leggi complementari, a cura di A. Fantozzi, Padova, 2010, 581).

In dottrina si è osservato che, in relazione alle prestazioni di servizi, il criterio dell’ultimazione della prestazione potrebbe acquisire rilievi di criticità in presenza di un’attività complessa e strutturata secondo più prestazioni. In tali ipotesi potrebbe, infatti, porsi il dubbio se le prestazioni siano autonome e distinte o se esse siano ascrivibili, invece, in una prestazione inscindibile, obbligando, in tal senso, ad un accertamento in concreto e non unicamente documentale (A. Fantozzi – F. Paparella, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Padova, 2014, 113 – 114). Il principio di competenza, anche ipotizzando fattispecie più complesse, comporta, comunque, l’irrilevanza del pagamento e della fatturazione ed, altresì, delle contestazioni che potrebbe eventualmente avanzare il committente (A. Fantozzi – F. Paparella, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, op. ult. cit., 114). Infatti, può dirsi che l’avvenuto pagamento così come l’emissione della fattura non completano in nessun modo il parametro della ultimazione della prestazione.

L’erronea imputazione ad altra annualità non può considerarsi ragionevole, stante il rimedio della rettifica delle dichiarazioni (così, A. Fantozzi – F. Paparella, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, op. cit., 115). Ne consegue che l’elemento del reddito dichiarato in un esercizio di imposta differente da quello di competenza comporterà: l’indeducibilità del costo ed il recupero a tassazione del ricavo nel periodo di imposta corretto. Peraltro, sul principio di competenza la Suprema Corte (Cass., Sez. V, Sent. 3 ottobre 2018, n. 24006) ha affermato che la violazione della norma sull’imputazione temporale dei componenti negativi del reddito, di cui all’art. 75 del d.P.R. n. 917 del 1986 (attualmente art. 109 del medesimo d.P.R.), non è da considerare una violazione meramente formale e, pertanto, non permette la disapplicazione delle sanzioni stabilite a norma dell’art. 10, co. 3, della l. 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente). La Corte, su quest’ultimo aspetto della questione, precisa che per l’inosservanza della regola di imputazione temporale dei componenti positivi e negativi del reddito secondo il principio di competenza debba discutersi “di violazione direttamente incidente sulla determinazione del reddito di impresa, indebitamente ridotto attraverso la contabilizzazione di componenti negativi non riferibili all’anno di imposta in cui sono stati registrati” (così, cfr. Cass., n. 24006 del 2018).

Si può, quindi, concludere che le regole sulla competenza siano inderogabili e ciò al fine di garantire il principio della certezza ed escludere che possano esserci delle valutazioni discrezionali da parte del contribuente in merito alle regole sull’imputazione al periodo d’imposta dei componenti reddituali. La certezza non deve essere intesa come “immodificabilità e irreversibilità del componente positivo o negativo, bensì come sussistenza dell’evento che ne è causa giuridica”, come nell’ipotesi del contratto (G. Falsitta, Corso istituzionale di diritto tributario, Padova, 2016, 434). In questi termini, in dottrina si è osservato che non sarebbe possibile al fine di una sua esclusione anche ipotizzare la semplice pendenza di una controversia con la controparte (G. Falsitta, Corso istituzionale di diritto tributario, op. ult. cit., 434).

La Suprema Corte ribadisce e consolida l’orientamento espresso in tema di determinazione del reddito d’impresa affermando che le regole sull’imputazione temporale dei componenti del reddito sono tassative ed inderogabili. Il contribuente non può, dunque, ascrivere sulla base di proprie scelte un componente positivo o negativo del reddito ad un esercizio diverso da quello che è individuato dalla norma, quale “esercizio di competenza”(su questi aspetti della questione della determinazione della base imponibile si rinvia a Cass., n. 28159 del 2013; Cass., n. 9068 del 2015; Cass., n. 26665 del 2009). A questo proposito è, poi, importante confermare che è, quindi, corretto intendere che con l’espressione “maturazione dei corrispettivi” non può farsi riferimento all’esigibilità, che invece può essere regolata dall’autonomia contrattuale, ma con essa deve intendersi l’esecuzione della prestazione, come stabilito dall’art. 821, comma 3, c.c. (G. Falsitta, Corso istituzionale di diritto tributario, op. cit., 433 - 434). Le parti contraenti, stante la loro autonomia negoziale riconosciuta dall’ordinamento, possono, infatti, stabilire che il corrispettivo sia anticipato o posticipato, ma non possono decidere alcunché sulla sua maturazione (G. Zizzo, L’imposta sul reddito delle società, op. ult. cit., 338). Essa sarà collegata e seguirà l’esecuzione della prestazione cui il corrispettivo è correlato.La percezione della maturazione di cui si è precisato può, quindi, identificarsi con l’acquisizione del diritto sulla base delle regole civilistiche, cioè «giorno per giorno, in ragione della durata del contratto» (A. Cazzato, Art. 109, d.p.r. n. 917/1986, op. ult. cit., 581).

La Suprema Corte (Cass., Sent. 18 gennaio 2017, n. 1107) ha già affermato, inoltre, che la presunzione legale di imputazione dei corrispettivi conseguiti per prestazioni di servizi all’esercizio di competenza nel quale le medesime prestazioni sono ultimate (a norma dell’art. 75, comma 2, lett. b), del Tuir, prima della riforma del 2004, ma con riferimento all’attuale art. 109, comma 2, lett. b), del Tuir) potrebbe essere superata unicamente nell’ipotesi prevista dalla norma (nella seconda parte del primo comma dell’art. 75 citato). È questa l’ipotesi in cui dei corrispettivi “non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obbiettivo l’ammontare”, in quanto, per tale fattispecie, questi corrispettivi concorrono a formare il reddito dell’anno in cui dette condizioni si verificano.