Nella sentenza in comento, la Corte di Cassazione ha espresso il seguente principio di diritto: “La previsione contenuta nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 27, comma 3” … “può configurare un’indebita restrizione della libera circolazione dei capitali in violazione dell’art. 63 TFUE, nella parte in cui non assoggetta allo stesso trattamento fiscale gli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti negli Stati Uniti d’America, laddove non si accerti che le due situazioni sono oggettivamente non comparabili”.
Outbound dividends taxation towards third countries established pensions funds in light of the free movement of capital In the judgment in comment, the Supreme Court stated the following principle of law: “The forecast contained in the D.P.R. 29 September 1973, n. 600, art. 27, paragraph 3” ... “may constitutes an undue restriction on the free movement of capital in breach of art. 63 TFEU, in so far as it does not grant the same tax treatment to profits paid to pension funds established in the United States of America, where it is not established that the two situations are objectively not comparable”.
1. La controversia affrontata nella sentenza in commento ha ad oggetto il corretto trattamento impositivo dei dividendi in uscita (c.d. outbound dividends) percepiti da parte di un fondo pensione costituito negli Stati Uniti d’America, erogati da società italiane nel corso degli anni d’imposta 2008 e 2009. Come ricordato nei fatti di causa, la ritenuta applicabile a tali dividendi ammonta: al 27% (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 27, comma 3); ovvero, nel caso di specie, al 15% (a norma della convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e U.S.A., ratificata con L. 3 marzo 2009, n. 20). Avendo provveduto al versamento, il fondo statunitense richiese all’amministrazione finanziaria il relativo rimborso: secondo il contribuente, infatti, l’applicazione delle suddette ritenute in luogo di quella dell’11% (prevista con riferimento agli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo) configurerebbe un’indebita restrizione alla libera circolazione dei capitali (Art. 63, comma 1, TFUE). Avendo l’amministrazione finanziaria opposto silenzio-rifiuto alla suddetta richiesta di rimborso, il contribuente propose ricorso alla commissione tributaria provinciale di Pescara, che dichiarò inammissibile l’impugnazione. Il fondo, quindi, presentò appello davanti al giudice di seconde cure: quest’ultimo respinse la domanda di rimborso nel merito. In modo segnato, secondo la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo non sarebbe sussistita alcuna fattispecie discriminatoria alla luce del diritto comunitario: il diverso trattamento impositivo riservato al fondo statunitense rispetto ad un fondo italiano si giustificherebbe in virtù della diversità tra la situazione impositiva in cui si trova il primo, rispetto a quella che caratterizza il secondo [art. 65 c.1 lett. a) TFUE]. Nello specifico, come evidenziato dal giudice di secondo grado: al fondo americano viene applicato un modello impositivo di tipo EET (caratterizzato, cioè, dall’esenzione dei contributi e dei rendimenti nel periodo di accumulazione, e dalla loro tassazione nel momento in cui viene erogata la prestazione); i fondi italiani si caratterizzano invece per un modello impositivo di tipo ETT (che prevede un’imposizione dei rendimenti anche nel momento della loro realizzazione).
2. Il fondo ricorre quindi in Cassazione con unico motivo. Secondo il contribuente, la ritenuta che incide i dividendi da esso percepiti integra una restrizione al principio europeo di libera circolazione dei capitali: ciò in quanto tali redditi vengono tassati in misura superiore rispetto a quella prevista nel caso gli stessi fossero percepiti da un fondo stabilito in Italia, in un altro stato membro dell’UE o in un paese aderente all’accordo SEE; nulla rilevando [continua..]