La pronuncia in commento affronta, nuovamente, il delicato tema della ripartizione dell’onere probatorio nelle ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti e dell’annesso diritto di detrazione dell’IVA. Tale questione, ormai consolidatasi nella giurisprudenza nazionale (ed europea), trova qui ulteriore conferma. L’Agenzia delle Entrate, in sostanza, è gravata dal dimostrare i presupposti oggettivi e soggettivi dell’evasione, mentre al soggetto passivo spetta l’eventuale prova contraria della buona fede di non essere stato a conoscenza che la transazione si iscriveva in un’operazione avente natura evasiva. Tale sede, pertanto, può divenire l’occasione utile per soffermarsi su una questione, per così dire, “evolutiva”: ossia, l’individuazione degli elementi sintomatici per dimostrare la buona fede del cessionario di beni e servizi e cioè di non essere stato a conoscenza della frode IVA. Non essendo tali elementi sintomatici espressamente tipizzati dal legislatore, l’utilizzo di protocolli preventivi all’interno dei Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001 potrebbe divenire la strategia più idonea per la formalizzazione e, successivamente, l’applicazione estesa di tali principi di condotta all’interno dell’ambiente societario.
Parole chiave: operazioni soggettivamente inesistenti; detrazione IVA; buona fede; D.Lgs. n. 231/2001; modelli di organizzazione, gestione e controllo.
The good faith of the taxable person in“subjectively non-existent transactions” andthe adoption of preventive protocols forthe management of tax risk The ruling in question once again addresses the delicate issue of dividing the burden of proof in the case of “subjectively non-existent transactions” and the attached right to deduct VAT. This matter, which has now found consolidation in national (and European) jurisprudence, here finds further confirmation. The Revenue Agency is burdened with demonstrating the objective and subjective conditions of the evasive transaction, while the taxpayer is entitled to the proof of the good faith of not having been aware that the transaction was part of an evasive transaction. This context, therefore, can become a useful opportunity to dwell on a “evolutionary” issue: the identification of benchmarks to demonstrate the good faith of the taxpayers that they were not aware of the VAT fraud. Since these benchmarks are not expressly typified, the Organization, Management and Control Model pursuant to Legislative Decree no. 231 of 2001 could become the most appropriate venue for the formalization and, subsequently, the extended application of these principles of conduct within the corporate.
Keywords: subjectively non-existent transactions; VAT deduction; good faith; Legislative Decree no. 231 of 2001; Organization, Management and Control Model.
1. La fattispecie in esame verte sul delicato tema della ripartizione dell’onere probatorio in ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti e del relativo esercizio del diritto di detrazione dell’IVA. Tale questione, occorre precisare, ha ormai trovato consolidamento nell’ambito della giurisprudenza di legittimità nazionale (e della giurisprudenza europea), che suddivide l’onere probatorio tra le parti attribuendo all’Agenzia delle Entrate il dovere di dimostrare i presupposti oggettivi e soggettivi dell’operazione evasiva, mentre sul soggetto passivo incombe la prova contraria della buona fede e cioè di non essere stato a conoscenza che la transazione si iscriveva in un meccanismo avente natura fraudolenta.
Scopo del presente lavoro, pertanto, è di analizzare e individuare i criteri di diligenza non espressamente tipizzati, a mezzo dei quali i soggetti passivi (il cessionario e, nell’ambito delle operazioni intracomunitarie, il cedente di beni e servizi) possono dimostrare la propria buona fede di non essere stati coinvolti, consapevolmente, in una frode IVA. È, infatti, lo stato di incolpevole ignoranza a legittimare l’esercizio del diritto di detrazione dell’imposta armonizzata assolta per l’esecuzione della prestazione.
Apprezzabile, in questo senso, è l’enucleazione da parte della giurisprudenza di una serie di elementi di rilevanza sintomatica idonei a dimostrare la buona fede del contribuente; elementi che potrebbero essere introdotti nelle prassi e nelle procedure amministrative già esistenti all’interno delle società, anche attraverso l’adozione di un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo di cui al D.Lgs. n. 231/2001.
L’ordinanza in commento, occorre precisare, non menziona e non si riferisce al suddetto «Modello 231» come strumento di compliance normativa idoneo a diminuire il rischio di essere coinvolti in tali fattispecie illecite. Nonostante ciò, gli indici comportamentali individuati dalla giurisprudenza, che l’imprenditore diligente dovrebbe preventivamente assolvere per diminuire il rischio fiscale, coincidono – in larga parte – proprio con i criteri di prudenza e accortezza di regola adottati dalle Società per prevenire il rischio-reato circoscritto nell’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 231/2001.
Pertanto, ancorché il c.d. «Modello 231» non sia obbligatorio ai sensi dell’art. 6 del citato decreto legislativo e sia riferito esclusivamente alle fattispecie di natura penale, l’adozione di specifici protocolli preventivi, in linea astratta, potrebbe agevolare anche la dimostrazione della buona fede del soggetto passivo nell’ambito del procedimento tributario, soprattutto quando l’Agenzia delle Entrate, come nella fattispecie in esame, contesti l’esercizio del diritto di [continua..]