argomento: IRPEF - Giurisprudenza
La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 7491 del 2024, torna ad esaminare la questione del recupero a tassazione, pro quota, degli utili extracontabili imputati alla partecipata società S.r.l.. L’indirizzo giurisprudenziale interviene sull’importanza della presunzione di distribuzione degli utili tra i soci. La vicenda non attiene ai rapporti tra i due giudizi (quindi, nei confronti della società e dei soci), ma la questione si pone come riguardante i rapporti di prova all’interno di un unico giudizio. La Suprema Corte conclude che non possa sostenersi l’inversione dell’onere della prova se non vi è stato positivo accertamento in relazione alla verifica dell’esistenza del maggior reddito imponibile societario. Solo quest’ultimo consentirebbe di dichiarare soddisfatta la prova contraria offerta dal socio rispetto all’imponibile sociale. Nelle osservazioni conclusive della Cassazione emergerebbero alcuni aspetti “innovativi” che potrebbero trovare concretezza solo una volta che si attuerà la certezza del diritto anche per la disciplina delle società a ristretta base societaria.
» visualizza: il documento (Corte di Cassazione, 20 marzo 2024, ord., n. 7491)PAROLE CHIAVE: presunzione di distribuzione degli utili tra i soci - modalità di accertamento - prova contraria
di Maria Gaballo
1. La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7491 del 20 marzo 2024 torna ad occuparsi del recupero a tassazione, pro quota, degli utili extracontabili imputati alla partecipata società S.r.l. (Cass. Civ., Sez. 5, Ord., 19 luglio 2024, n. 19993, la Corte di Cassazione ha applicato la presunzione semplice di distribuzione ai soci degli utili extracontabili non dichiarati da una società di capitali a ristretta base partecipativa; inoltre, ha valutato la prova contraria offerta dal contribuente, ritenendola inadeguata a superare tale presunzione. In tema di accertamento a carico del socio di una società di capitali a ristretta base sociale e sull’efficacia riflessa del giudicato che scaturisce in relazione all’accertamento dell’insussistenza parziale di utili extracontabili della società, Cass., Ord. 13 settembre 2024, n. 24621. Cass., Sez. V, 19 giugno 2024, n. 16968, in particolare, sull’accertamento notificato ai soci di una società a ristretta base partecipativa e sul rinvio per relationem alla motivazione dell’atto notificato alla società. Sulla presunzione di distribuzione ai soci di utili extracontabili e sulla ristretta base societaria come elemento sufficiente per attestare la ripartizione occulta dei guadagni tra i soci, Cass., Sent., 30 gennaio 2024, n. 2752).
La giurisprudenza di legittimità si è espressa, di recente, confermando un preciso indirizzo interpretativo, per il quale si è affermata la legittimità della presunzione di distribuzione ai soci, permanendo la possibilità per i soci di fornire prova contraria rispetto alla pretesa dell’Amministrazione finanziaria (sulla trasparenza per presunzione, F. Rasi, La “strana convenienza” della trasparenza per presunzione, in Tax News, Supplemento online della Riv. Trim. Dir. Trib., 2 maggio 2023; Id., L’inarrestabile “lotta” della Cassazione contro le società a ristretta base proprietaria: nuove difese dalla riforma del processo tributario?, in Riv. Tel. Dir. Trib., 17 novembre 2022; Id., La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria. Profili ricostruttivi di un modello impositivo, Padova, 2012; F. Paparella, La presunzione di distribuzione degli utili nelle società di capitali a ristretta base sociale, in Dir. prat. trib., 1995, I, 453 ss.; L. Salvini, La tassazione per trasparenza, in Rass. trib., 2003, 1505; E. Marello, Il regime di trasparenza, in Imposta sul reddito delle società (IRES), opera diretta da Tesauro, Bologna, 2007, 550; V. Uckmar, Il regime impositivo delle società. La società a ristretta base proprietaria, Padova, 1966; per la giurisprudenza in tema, Cass. Civ., nn. 12575/2024; 12466/2024; 12439/2024).
Tra le presunzioni di fonte giurisprudenziale un esempio è rappresentato dalla fattispecie della distribuzione di utili occulti nelle società a ristretta base azionaria. Ebbene, decisioni riguardanti specifici temi di prova sono accolte come astratte formulazioni di principio (P. Piantavigna, La presunzione di onestà in materia tributaria, in Riv. Tel. Dir. Trib., 1, 2024, 38 e ss.). Si introduce un regime di trasparenza degli utili delle società di capitali che è privo di fondamento normativo (almeno sino ad oggi) (sul profilo organizzativo e gestionale delle s.r.l. a ristretta base partecipativa e sulla disciplina della “piccola trasparenza”, assimilando il profilo di cui si è detto a quello delle società di persone, V. Ficari, Profili applicativi e questioni sistematiche dell’imposizione “per trasparenza” delle società di capitali, in Rass. Trib., 2005, 38 ss.; F. Rasi, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria, op. ult. cit., 27 ss.).
Il tema non è nuovo, in particolare anche laddove si è potuta incentrare la questione sulla presunzione giurisprudenziale utilizzata da tempo dall’Agenzia delle Entrate e, poi, avvalorata dall’indirizzo constante della stessa Corte di Cassazione.
Seguendo l’interpretazione della giurisprudenza, se l’Ufficio accerta un maggior reddito d’impresa non dichiarato a carico della società e, poi, quindi, recuperato in relazione alla medesima società, questo tipo di accertamento (nei confronti della società) legittimerebbe quasi tout court un accertamento nei riguardi del socio. Ciò in quanto si presumerebbe che i proventi extracontabili della società siano stati distribuiti ai soci, in ragione della loro percentuale di partecipazione agli utili societari, tranne l’ipotesi di prova contraria.
Queste argomentazioni discenderebbero dal fatto che si discute di società a ristretta base sociale; del vincolo di solidarietà che connota tale fattispecie; del reciproco controllo tra soci.
La presunzione di cui si è detto comporterebbe, così, due indici di attenzione, per cui:
(su questi temi, A. Fedele, Le “piccole” società di capitali nel diritto tributario, in AA. VV., Studi in tema di forma societaria, servizi pubblici locali, circolazione della ricchezza imprenditoriale, Torino, 2007; V. Ficari, Presunzione di assegnazione di utili extrabilancio ai soci e imputazione di costi fittizi, in Corr. Trib., 2008, 13, 1054 ss.; F. Rasi, La “trasparenza per presunzione” delle società a ristretta base proprietaria: l’attendibilità delle presunzioni ed il problema della qualificazione del reddito, in Riv. Trim. Dir. Trib., 2021; Della Valle, Presunzione di riparto di utili occulti nelle società a ristretta base azionaria, in Le società, 1991, 826; F. Amatucci, Diritto di difesa e presunzioni di distribuzione di utili ai soci, in relazione al problema dell’elusione fiscale, in Corr. Trib., 2018, 252; G. Scanu, La presunzione di distribuzione degli utili nelle “piccole” società di capitali tra ragione fiscale e difesa del contribuente, in Riv. trim. dir. trib., 2012, 2, 4443 ss.; E. Ceriana, Società a ristretta base azionaria e presunzione di distribuzione degli utili, in Dir. Prat. trib., 2004, 1449 -1462, 1451 e ss.; M. Basilavecchia, La difficile individuazione degli utili da partecipazione, in Corr. Trib., 2005, 5, 365 ss.; S. Muleo, Alcune perplessità in ordine a recenti orientamenti in tema di imputazione ai soci dei maggiori utili accertati in capo a società a ristretta base sociale, in G.T., Riv. giur. Trib., 2008, 8, 712 ss.; F. Paparella, La presunzione di distribuzione degli utili nelle società di capitali a ristretta base sociale, op. ult. cit., 453 ss. (in particolare, sulla legittimità di tale presunzione, e sui dubbi sottolineati in dottrina); A. Contrino, Ancora sulla presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società di capitali a ristretta base proprietaria, in Rass. Trib., 2013, 5, 1113 e ss.; A. Marcheselli, Le presunzioni nel diritto tributario, Torino, 2008).
La questione della presunzione semplice di distribuzione degli utili extracontabili tra i soci e il tema dell’onere della prova del fatto noto del maggior imponibile societario sono anche gli ambiti di maggior interesse e di dettaglio dell’ordinanza che in commento.
La Corte di Cassazione, di recente, ha affermato che “in tema di onere probatorio gravante in giudizio sull’amministrazione finanziaria in ordine alle violazioni contestate al contribuente, per le quali non vi siano presunzioni legali che comportino l’inversione della onere probatorio, l’art. 7, comma 5 bis, del d.lgs. n. 546 del 1992 …non stabilisce un onere probatorio diverso, o più gravoso, rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale” (Cass. n. 31878/2022; Cass., n. 19993/2024). Nell’ordinamento tributario vi è conferma di un principio immanente per il quale spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare il fondamento della pretesa avanzata nei confronti del contribuente. Così, “Deve senz’altro ritenersi consentito il ricorso alle presunzioni semplici, ossia a quegli indizi che, se gravi, precisi e concordanti, integrano ex artt. 2727 e 2729, comma 1, c.c. la prova richiesta dall’art. 2697 dello stesso codice” (“Nel formalizzare una regola generale già ricavabile dal sistema, essa non ha fissato limiti di sorta al modo in cui l’anzidetta dimostrazione deve essere fornita, né questi sono rinvenibili nell’art. 17 della legge delega n. 111 del 2023 e nella posteriore normativa di attuazione”, in tal senso, cfr. Cass., n. 19993/2024).
2. In merito agli artt. 2967, 2727 e 2729 del c.c. sembrerebbe, infatti, come anche lamentato dal contribuente in sede di merito, che sia discutibile l’assunto che porterebbe la CTR a ritenere legittima l’imputazione pro quota dei maggiori redditi della società in capo ai soci, essendo la sola ristretta base sociale, in mancanza di altri attendibili elementi probatori, insufficiente a dimostrare, con una probabilità maggiore rispetto ad altre ipotesi possibili, l’effettiva ripartizione tra i soci dei maggiori redditi accertati in capo alla società.
La presunzione de qua implicherebbe la necessità di altri fatti indice che, nel caso di specie, l’Ufficio non avrebbe assolutamente dimostrato, affinché gli stessi fatti potessero assurgere al rango di piena prova.
Un ulteriore aspetto riguarderebbe, ancora, l’art. 41 -bis del D.P.R. n. 600/1973 che, com’è noto, attiene all’accertamento parziale, e quindi alla circostanza per la quale vi sia il possesso da parte degli Uffici di elementi certi dai quali desumere errori od omissioni di elementi reddituali e per i quali devono considerarsi ultronee le ricostruzioni induttive da cui scaturirebbe, invece, la presunzione di cui all’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973.
Sulla disciplina degli accertamenti parziali automatizzati che sono fondati sull’incrocio dei dati e delle informazioni in possesso dell’anagrafe tributaria, e sul contraddittorio preventivo deve, tuttavia, osservarsi che tra gli atti esclusi dal contraddittorio medesimo, sulla base del D.M. del 24 aprile 2024, e con riferimento all’art. 2, lett. b), del Decreto ministeriale vi sono anche gli accertamenti parziali, predisposti esclusivamente sulla base dell’incrocio dei dati.
3. La vicenda trae origine dal contenzioso avviato avverso un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione, pro quota, gli utili extracontabili imputati alla società partecipata S.r.l.. In appello la CTR del Lazio confermava la sentenza del giudice di primo grado, sostenendo la legittimità dell’atto impugnato.
Il contribuente proponeva, poi, ricorso per cassazione basato su due motivi: l’illegittimità della sentenza e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia scaturirebbero dal fatto che i giudici di appello non avevano considerato che, contestate alla società anomalie contabili rispetto alle quali non era stata fornita giustificazione ed operate le conseguenti riprese a tassazione nei riguardi del socio, titolare della quota dell’80%, nessun atto di accertamento fosse stato emesso nei confronti della società. Il ricorrente eccepiva che, per il caso di specie, vi sarebbe stata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2967, 2727, 2729 e art. 41 -bis del D.P.R. n. 600/1973.
La Suprema Corte dichiara che i motivi di cui si è precisato sono fondati.
Esaminando la questione così delineata, gli Ermellini dapprima spiegano che è ius receptum che l’accertamento del maggior reddito nei confronti di società di capitali a ristretta base partecipativa legittima la presunzione di distribuzione degli utili tra i soci, poiché la stessa ha origine nella partecipazione e, perciò, prescinde dalle modalità di accertamento. Resterebbe confermata la possibilità per i soci di fornire una prova contraria in relazione alla pretesa dell’Amministrazione finanziaria, dimostrando che i maggiori ricavi: a) sono stati accantonati; b) sono stati reinvestiti (Cass., 20 dicembre 2018, n. 32959; Cass., 7 dicembre 2017, n. 29412).
La presunzione semplice di distribuzione degli utili extracontabili tra i soci, che si fonda sul fatto noto del maggior reddito imponibile societario, non trova, però, supporto in un avviso di accertamento presupposto, tanto meno irrevocabile perché non opposto o passato in giudicato. L’avviso di accertamento nei confronti della società non risulta affatto.
Sebbene possa anche dirsi che non necessariamente ogni accertamento nei confronti del socio debba essere preceduto da un avviso d’accertamento emesso, valido ed efficace, nei confronti della società, a pena di invalidità, la Corte sostiene che la CTR avrebbe dovuto accertare se l’Agenzia delle Entrate avesse, in ogni caso, adempiuto all’onere della prova del fatto noto del maggior reddito imponibile societario, prima appunto di ipotizzare una presunzione a carico del socio.
Ragionando in questi termini, anche in altra occasione, la giurisprudenza (Cass., n. 3980/2020; Cass., n. 8207/2011; Cass., n. 9849/2011) ha osservato che soltanto la definitività dell’accertamento del reddito extracontabile della società partecipata potesse costituire il presupposto logico giuridico per sostenere il ragionamento di tipo presuntivo. Così, la ristretta base acquisterebbe solo valore di mero indizio della ripartizione occulta. In mancanza di un giudicato in tal senso, difetterebbero, pertanto, il fatto economico e il presupposto giuridico per riprendere a tassazione nei riguardi del socio, e quindi pro quota, gli utili extracontabili imputati alla partecipata società S.r.l., come nel caso di specie (Cass., n. 8209/2011; Cass., n. 2409/2011; V. Ficari, Presunzione di assegnazione di utili extrabilancio ai soci, in Corr. Trib., 2008, 1055; Fanelli, Quando gli utili extrabilancio sono tassabili in capo ai soci, in Corr. Trib., 2000, 2130).
4. Le conclusioni dei giudici scaturiscono dalla sentenza appellata, che sarebbe “contraddittoria e confusa sul punto”, in particolare “laddove afferma l'assoluta autonomia dei due giudizi, nei confronti della società e nei confronti dei soci”. I giudici di secondo grado non avrebbero colto la centralità della questione. La fattispecie, infatti, non riguarderebbe i rapporti tra i due giudizi, quanto piuttosto i rapporti di prova all’interno dell’unico giudizio (un principio ormai consolidato è quello per cui il socio che riceve un accertamento, basato sulla distribuzione di utili non contabilizzati accertati in capo alla società, può chiedere la sospensione del giudizio a norma dell’art. 295 del c.p.c. e dell’art. 39 del D.Lgs. n. 546/1992, attendendo l’esito della definizione del giudizio pregiudiziale. In definitiva, sarebbe prodromico accertare correttamente e definitivamente l’effettiva esistenza degli utili societari non contabilizzati, e successiva sarebbe la fase di valutazione dell’aspetto fiscale relativo ai soci della stessa società).
È allora fondamentale “procedere innanzitutto all’accertamento in fatto in ordine alla prova del fatto noto del maggior imponibile societario, e solo in caso di positivo accertamento, alla verifica della esistenza e idoneità della prova contraria offerta dal socio”.
Un indice di riflessione sembrerebbe dovuto, inoltre, in relazione all’art. 41 -bis e, di conseguenza, alla tipologia di accertamento utilizzata nella fattispecie. L’Ufficio con l’accertamento parziale non contempla affatto l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale, che garantirebbe una concreta partecipazione del contribuente al procedimento di accertamento e, peraltro, preverrebbe la fase contenziosa.
Ebbene, il contraddittorio preventivo non è disposto espressamente per le presunzioni di distribuzione di utili ai soci di società a ristretta base societaria, o rectius non è stabilito per gli accertamenti parziali.
Se, quindi, sembra logico sostenere che il contraddittorio preventivo non sia essenziale per l’art. 41 -bis citato, così come stabilito dalla norma, qualche perplessità potrebbe sorgere in merito all’automaticità di una simile tipologia di accertamento per le fattispecie di ristretta base societaria. Qualche dubbio potrebbe sorgere sulla possibilità di considerare l’utilizzo dell’accertamento parziale nei casi di presunzione di distribuzione di utili non contabilizzati.
Non sembrerebbe possibile ammettere l’inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del socio l’onere della prova contraria rispetto all’imponibile sociale, quando si sarebbe dovuto ritenere imprescindibile da parte dei giudici di appello procedere all’accertamento in fatto in ordine alla prova del fatto noto del maggior reddito imponibile societario. Solo nell’eventualità di un positivo accertamento in tal senso, l’Agenzia delle Entrate avrebbe potuto procedere con la verifica dell’esistenza e idoneità della prova contraria offerta dal socio.
5. Deve considerarsi, inoltre, che l’art. 17, co. 1, lett. h), n. 4, della L. n. 111 del 2023 ha previsto che sia assicurata la certezza del diritto tributario con “la limitazione della possibilità di presumere la distribuzione ai soci del reddito accertato nei riguardi delle società di capitali a ristretta base partecipativa ai soli casi in cui è accertata, sulla base di elementi certi e precisi, l’esistenza di componenti reddituali positivi non contabilizzati o di componenti negativi inesistenti, ferma restando la medesima natura di reddito finanziario conseguito dai predetti soci” (l’art. 17 della Legge n. 111 del 2023, Delega al Governo per la riforma fiscale, interviene sui principi e criteri direttivi in materia di procedimento accertativo, di adesione e di adempimento spontaneo. Sulla società a ristretta base e con riferimento alla previsione della legge delega sulla riforma del sistema fiscale in materia di accertamenti alle società a ristretta base partecipativa è intervenuta la Commissione Finanze della Camera, con la risposta ad un’interrogazione parlamentare n. 5 -02650 del 24 luglio 2024 e con chiarimenti sull’accertamento nei confronti dei soci di società a ristretta base partecipativa, ritenendo che la previsione de qua non possa dirsi immediatamente applicabile. In argomento, F. Tundo, La tela di Penelope delle Riforme fiscali, tra giustizia e legge delega: epicedio della certezza del diritto? (parte seconda), in Riv. Dir. Trib., supplemento online, 9 novembre 2023, l’Autore osserva, almeno con riferimento ai nn. 3 e 4 della lett. h) dell’art. 17 citato, che “si sia trattato di una scelta consapevole di introdurre delle vere e proprie presunzioni di legge”. In particolare, sulle “presunzioni giurisprudenziali”, l’A. si sofferma considerando che anche per le distribuzioni occulte da società a ristretta base partecipativa “l’effetto che l’eventuale attuazione della delega singolarmente sembra determinare è quello di introdurre una presunzione di legge laddove essa non esisteva e di cui, devo dire francamente, non si sentiva nemmeno l’impellenza”. In effetti, le conclusioni alle quali giunge l’A. valorizzerebbero “una riflessione più approfondita da parte dell’Esecutivo sull’opportunità di non dare attuazione a questa parte della delega”. Ciò che risalta nelle osservazioni di questa dottrina è che la ristretta base partecipativa dovrebbe essere sempre dimostrata da parte degli Uffici impositori, vista la molteplicità delle ipotesi che si possono verificare, come reso evidente dalla vasta giurisprudenza di merito che si è discostata dalle posizioni della Cassazione. In questi termini, infatti, si è ancora osservato, conclusivamente, che “se questo principio trovasse attuazione da parte dell’Esecutivo, la sensazione è che la natura di presunzione legale della disposizione di attuazione vanificherebbe del tutto l’applicazione del comma 5-bis, riportando indietro la macchina del tempo, una sorta di ritorno ad un futuro ... distopico”).
Anche la riforma attuata con la L. 31 agosto 2022, n. 130 potrebbe essere l’elemento di novità e di favore per i contribuenti. Se sostenere che in queste fattispecie i soci apprendano gli utili ottenuti dalla stessa società è un’affermazione che può considerarsi plausibile, accettare che gli stessi soci abbiano appreso utili non corrispondenti a disponibilità liquide della società, è una conclusione del tutto inammissibile (F. Rasi, L’inarrestabile “lotta” della Cassazione contro le società a ristretta base proprietaria: nuove difese dalla riforma del processo tributario?, op. ult. cit., 11).
Dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, in relazione a quanto stabilito dalla norma inclusa nella Legge delega n. 111 del 2023, è precisato che: “L’attuazione del suddetto principio non è stata inserita nel recente decreto legislativo 2 febbraio 2024, n. 13, ma sarà recepita in prosieguo nel rispetto della tempistica assegnata dalla legge delega” (la Cassazione si è espressa, di recente, confermando che l’accertamento del maggior reddito nei confronti della società di capitali a ristretta base partecipativa legittimerebbe la presunzione di distribuzione degli utili tra i soci, dal momento che la stessa trae origine nella partecipazione; così, prescinderebbe dalle modalità di accertamento e prospetterebbe per i soci la possibilità di fornire la prova contraria rispetto alle pretese dell’Amministrazione finanziaria; Cass., Sez. 5, Ord., 7 maggio 2024, n. 12439; Cass., Sez. 5, Ord., 8 maggio 2024, n. 12575 e Cass., Sez. 5, Ord., 8 maggio 2024, n. 12466).
6. La linea interpretativa seguita dalla Cassazione prospetta i criteri di accertamento e giudizio nei confronti della “piccola società” che possono dirsi già noti.
Si riafferma la centralità e l’importanza, quasi imprescindibile, della presunzione semplice di distribuzione degli utili extracontabili tra i soci. Il fatto noto del maggior reddito imponibile societario non troverebbe riscontro in un avviso d’accertamento presupposto, che pare possa dirsi irrevocabile, perché non opposto o passato in giudicato.
La presunzione a carico del socio, ipotizzata dalla CTR, avrebbe dovuto seguire la verifica che l’Agenzia delle Entrate avesse contezza e quindi avesse adempiuto all’onere della prova del fatto noto del maggior reddito imponibile societario.
La Suprema Corte ha constatato che tale valutazione non fosse stata effettuata e che i giudici di appello ponevano a carico del socio l’onere della prova contraria rispetto all’imponibile.
Di conseguenza, nihil sub sole novum rispetto agli indirizzi interpretativi già ricordati e richiamati dal Supremo Collegio in occasione della pronuncia. Permane la centralità della presunzione semplice di cui si è detto; persisterebbe, anche, l’onere della prova del fatto noto del maggior imponibile societario; rimarrebbe, però, ancora, la centralità di un accertamento, comunque, essenziale in ordine alla prova del fatto noto del maggior imponibile societario, non potendosi, sic et simpliciter, demandare al socio tale onere della prova contraria rispetto all’imponibile sociale (si evidenzia, ad esempio, la “violazione della mancata allegazione dell’atto prodromico cioè dell’avviso di accertamento notificato in capo alla società in liquidazione, con una evidente lesione del proprio diritto di difesa”, CGT, II grado, Emilia- Romagna, sez. I, Sent., 4 gennaio 2023, n. 35, sulla mancata notifica al socio, unitamente all’atto di accertamento nei suoi confronti, anche dell’atto emesso nei riguardi della società, in tal senso si lede il diritto di difesa di questi).
Dunque, nel caso di società a ristretta base è noto il ragionamento per cui il maggior reddito recuperato in capo alla società è imputato direttamente ai soci per presunzione, sebbene, poi, il rigore di tale interpretazione non ha mancato di suscitare le critiche della Dottrina ed ha convinto il Legislatore delegante della riforma fiscale a pensare di intervenire in tale ambito, proprio per ridurre o perlomeno contenere le applicazioni meno razionali dell’indirizzo di cui si è detto (M. Trivellin, Illeciti tributari e responsabilità degli amministratori negli enti con personalità giuridica, in Riv. Tel. Dir. Trib., 2, 2023, 827).
La società di capitali è, in primo luogo, strumento di raccolta degli investimenti, perciò i soci possono, in realtà, contribuire e partecipare personalmente, ma, in effetti, tale eventualità potrebbe ravvisarsi limitatamente alle società di piccole dimensioni (A. Fedele, I rapporti fra società e soci, in F. Paparella (a cura di), La riforma del regime fiscale delle imprese: lo Stato di attuazione e le prime esperienze concrete, Milano, 2006, 41).
La decisione della Corte rende ancora più interessante e incombente l’esigenza di maggiore certezza, stabilita anche quale necessaria priorità nelle linee di revisione del sistema tributario indicate nella legge delega n. 111 del 2023.