Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

17/10/2023 - Profili fiscali dell'amministrazione di sostegno

argomento: IRPEF - Legislazione e prassi

L’amministrazione di sostegno è un istituto che ha il proprio fine principale nell’assistenza e nella cura della persona beneficiaria, tanto da presentarsi generalmente come attività di tipo gratuito. Tuttavia, è facoltà del giudice tutelare liquidare un compenso per il soggetto incaricato, e da ciò nasce la problematica in oggetto, la quale attiene alla corretta individuazione della natura di tale compenso e, di conseguenza, al suo corretto trattamento fiscale.

PAROLE CHIAVE: amministrazione di sostegno - natura compenso


di Simone Ariatti

1. Il presente contributo si propone di illustrare l’inquadramento fiscale dell’eventuale indennità percepita dall’amministratore di sostegno per l’espletamento del proprio incarico. La questione merita però di essere preliminarmente analizzata da un punto di vista civilistico, ancor prima che fiscale, rifacendoci alle norme che regolano l’istituto, nonché alla precisa funzione in virtù del quale è stato introdotto. A tal proposito, emerge infatti l’art. 411 c.c. il quale espressamente prevede che all’amministratore di sostegno si applicano, “in quanto compatibili”, alcune norme del codice civile riguardanti l’ufficio tutelare. Fra queste, primaria importanza è rivestita dall’art. 379 c.c. il quale, al comma 2, stabilisce che “Il giudice tutelare tuttavia considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione, può assegnare al tutore una equa indennità. (…)”. Tale disposizione costituisce dunque una deroga alla regola generale della gratuità dell’incarico prevista dal comma 1; gratuità che trova la propria ragion d’essere nel fatto che l’attività in questione è solitamente svolta da familiari o, comunque, da persone vicino al beneficiario, tanto che sarebbe irragionevole e contrario ad ogni logica prevedere la spettanza di un compenso per assistere un proprio caro. Tuttavia, la previsione del comma secondo è posta per regolare il caso in cui la posizione di amministratore di sostegno venga ricoperta da una persona esterna (nella specie, un professionista), oppure che le mansioni da espletare richiedano un notevole impegno correlato a specifiche competenze e responsabilità.  Ecco che proprio in relazione alla natura di suddetta (eventuale) indennità si è incardinato da tempo un annoso, ed ancora irrisolto, dibattito, il quale vede contrapporsi due tesi – una sostenuta dalla giurisprudenza e l’altra dall’Amministrazione finanziaria – diametralmente opposte le quali conducono ad altrettanto opposte conseguenze sul piano fiscale.

2. La tesi di matrice giurisprudenziale, la cui origine si rinviene nell’ordinanza 6 dicembre 1988, n. 1073 della Corte Costituzionale, ritiene che l’indennità percepita dall’amministratore di sostegno abbia una natura compensativa. È infatti espressamente affermato che l’”equa indennità”, che a norma dell’art. 379, comma 2, c.c. il giudice tutelare può assegnare al tutore, “considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione”, non ha natura retributiva, ma serve a compensare gli oneri e le spese non facilmente documentabili da cui è gravato il tutore a cagione dell’attività di amministrazione del patrimonio del pupillo. Seppur afferente alla tutela, tale assunto può facilmente esser traslato nel campo dell’amministrazione di sostegno (istituto peraltro non ancora disciplinato all’epoca della pronuncia della Consulta) in virtù dell’espresso richiamo normativo proprio a tale istituto. A quanto affermato dalla Corte Costituzionale, ha poi fatto seguito, qualche anno più tardi, anche una pronuncia della Corte di Cassazione con la quale i giudici di legittimità hanno precisato che la “indennità di cui all’art. 379, comma 2, c.c. non vuol dire corrispettivo, né equivalente monetario delle energie profuse, ma semplice ristoro al riguardo (ancorché apprezzabile e non meramente simbolico), e che inoltre, per l’indennità in esame, la citata disposizione contempla come unico parametro liquidatorio l’equità, lasciando ampia discrezionalità”. (Cass., sent. 4 luglio 1991, n. 7355).

3. L’insegnamento posto dalla giurisprudenza con le sentenze ora richiamate era inizialmente accolto con favore, e pertanto posto alla base di alcuni suoi atti, anche dalla stessa Amministrazione finanziaria. A titolo esemplificativo, si richiama una risposta ad interpello della Direzione Regionale dell’Emilia Romagna del 18 maggio 2006, con la quale, dopo aver affrontato la questione, l’Amministrazione era giunta ad una conclusione coerente e conforme con quella già espressa quasi vent’anni prima dalla Corte Costituzionale nella citata ordinanza n. 1073/1988 (e poi seguita dalla Cassazione). Era stato pertanto affermato che l’indennità in esame aveva natura compensatoria e che, in virtù di ciò, non costituiva reddito imponibile ai fini IRPEF, né era assoggettabile ad IVA. Senonché, negli ultimi tempi, vi è stato un cambiamento interpretativo tanto che, allo stato attuale, l’Agenzia ritiene che l’indennità percepita dall’amministratore di sostegno abbia natura corrispettiva: si tratterebbe infatti di un compenso per lo svolgimento di un’attività professionale inquadrabile dunque come reddito di lavoro autonomo. La tesi ora esposta affonda le proprie radici nella Risoluzione 9 gennaio 2012, n. 2/E, emessa in risposta ad una istanza di interpello proposta da un contribuente ai sensi dell’art. 11, comma 1, L. 212/2000 (Statuto dei diritti del Contribuente). Con specifico riferimento al caso di specie, è infatti stato sostenuto che, nell’ipotesi in cui il Giudice tutelare conferisca ex art. 408 c.c. l’incarico di amministratore di sostegno ad un avvocato, l’indennità da quest’ultimo percepita rappresenta “un compenso per lo svolgimento di un’attività professionale, inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53 del Testo Unico delle imposte sui redditi rilevante ai fini Iva ai sensi degli articoli 3 e 5 del D.P.R. 26/10/1972 n. 633”. In particolare l’Agenzia riferiva che ogniqualvolta il giudice tutelare avesse designato un avvocato quale amministratore di sostegno, la relatività indennità – anche se determinata in via equitativa e su base forfetaria – avrebbe rappresentato comunque il compenso per lo svolgimento di un’attività professionale, imponibile tanto ai fini IRPEF (quale reddito di lavoro autonomo, ex art. 53 T.U.I.R.) che ai fini IVA (quale prestazione di servizi svolta nell’ambito dell’attività professionale, e x artt. 3 e 5 del D.P.R. n. 633/1972), assegnando rilevanza decisiva al profilo soggettivo dell’amministratore.

4. Tale presa di posizione dell’Agenzia ha suscitato ferventi critiche da parte della giurisprudenza la quale, nel solco di quanto affermato dalla Consulta prima, e dai giudici di legittimità poi, ha continuato a ribadire la tesi della natura compensativa dell’indennità percepita dall’amministratore di sostegno. Fra le pronunce di merito, si segnala la CTR Friuli-Venezia Giulia Trieste, sentenza 4 luglio 2016, n. 218, con la quale viene affermato che “Le attività da porre in essere dall'ADS, così come contemplate dalla legge, sono oggettivamente eguali quale che sia il soggetto che è chiamato ad assicurarle, sia esso persona legata da vincoli familiari e/o affettivi ovvero soggetto terzo (professionista o meno), dandosi e dovendosi dare prevalenza alla cura della persona rispetto ai profili - e quindi alle attività di gestione – patrimoniali”, tanto che “Lo spostare la questione del regime fiscale applicabile dall'oggettività delle 'attività' alla qualificazione soggettiva del 'soggetto idoneo' (indennità compensativa se non professionista, retributiva se invece tale) non tiene sul piano logico”. Secondo la Commissione tributaria regionale, infatti, la qualifica dell’amministratore non può costituire elemento rilevante, perché diversamente vi sarebbe discriminazione fra un familiare ed un soggetto “estraneo”. Inoltre, ulteriore profilo discriminatorio si avrebbe nel caso in cui, conferendo l’incarico al secondo, questi sia o meno un lavoratore autonomo (si v. Infantino – Venchiarutti – Stevenato, Conferme giurisprudenziali della natura risarcitoria per l’amministratore di sostegno, in Dialoghi Tributari, 5/2012, p. 508 ss.; Glendi, I giudici non condividono il parere del Fisco sulla tassazione dell’equa indennità a favore del professionista amministratore di sostegno, in GT – Riv. giur. trib., 4/2015, p. 359 ss.). Successivamente è poi ritornata sulla questione di nuovo la Corte di Cassazione, la quale ha ribadito la non imponibilità del compenso liquidato all’amministratore di sostegno che svolge la professione di avvocato, purché l’indennità da questi percepita abbia natura risarcitoria e non retributiva (Cass., sent. 13 luglio 2020, n. 14864). In tale prospettiva, al fine di addivenire alla corretta qualifica dell’indennità, si ritiene di dover dare valenza unicamente al provvedimento liquidatorio emesso dal Giudice tutelare. Laddove ivi espressamente si tratti di natura compensatoria pare difficile ammettersi il superamento di tale qualifica in sede di accertamento da parte della Agenzia delle Entrate.

5. Ricostruito dunque il dibattito attorno alla natura della indennità percepita dall’amministratore di sostegno, è necessario indagare le conseguenze delle due tesi da un punto di vista fiscale. Infatti, la riconduzione dell’indennità ad una delle due categorie di cui sopra non è un’operazione puramente teorica e dottrinale, ma attiene piuttosto ad un profilo sostanziale poiché ha delle rilevanti e differenti conseguenze in campo tributario. In tema di IRPEF infatti, qualora si aderisse alla tesi secondo cui l’indennità percepita ha natura corrispettiva, e nel caso in cui l’amministratore sia un libero professionista, si rientrerebbe nel campo di tassazione riconducibile nel novero dei redditi di lavoro autonomo ai sensi degli articoli 6 e 53 del TUIR. Al contrario, aderendo invece alla tesi secondo cui l’indennità ha natura compensativa, questa non sarebbe assoggettabile a tassazione diretta quale provento sostitutivo di reddito di lavoro autonomo. E ciò trova inoltre la propria ragion d’essere in ulteriori e molteplici elementi. Innanzitutto, è pur vero che la figura dell’amministratore di sostegno può esser rivestita da un professionista, ma considerando l’attività da questi svolta per ricoprire l’incarico ad esso assegnato, emerge come non si tratta di attività professionale dal momento in cui l’istituto è animato da uno scopo assistenziale. Inoltre, l’indennità copre le spese sostenute in nome e per conto dell’amministrato e gli oneri determinati forfettariamente; di qui l’atteggiarsi dell’indennità alla stregua di una forma di ristoro del pregiudizio subito in occasione dell’assolvimento del munus publicum. A ben vedere infatti, l’indennità non viene determinata in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro come espressamente previsto dall’art. 36 Cost., ma il suo quantum viene stabilito sulla scorta di parametri totalmente differenti da quelli retributivi poiché il riconoscimento dell’indennità è discrezionale (spettando la decisione al giudice tutelare) e la liquidazione è forfettaria (poiché parametrata sul patrimonio dell’amministrato e la difficoltà dell’attività svolta). Tanto premesso, ne deriva che considerare l’indennità percepita dall’amministratore di sostegno quale provento sostitutivo dei redditi di lavoro autonomo appare una forzatura, anche dal punto di vista normativo. In primo luogo, l’art. 6 del TUIR richiede che i redditi sostitutivi siano già maturati e, tale circostanza non si verifica nel caso di specie. Inoltre non pare neppure che si possa inserire tale indennità all’interno di altre categorie reddituali previste dal TUIR, non potendo collocare l’indennità percepita fra i redditi diversi di cui all’art. 67, lett. l), TUIR poiché pur facendo riferimento a “i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente”, nel caso di specie manca comunque il requisito della professionalità, il quale è difficilmente rintracciabile nell’attività svolta dall’amministratore di sostegno (Gola – Stevenato, Indennità costruite ex lege come meri rimborsi spese: il caso degli amministratori di sostegno, in Dialoghi Tributari, 1/2012, p. 57 ss.).

6. Andando da ultimo a porre il focus sulle imposte indirette, le due tesi prospettate presentano differenti risvolti anche in materia di IVA. Ritenendo infatti l’indennità percepita dall’amministratore di sostegno alla stregua di un corrispettivo, ne deriverebbe che l’attività da questi svolta dovrebbe essere considerata quale “prestazione di servizi”, integrando così i presupposti per l’applicazione dell’imposta. Di qui, i conseguenti obblighi di fatturazione, registrazione e versamento. Tuttavia la giurisprudenza, sulla scia di quanto già illustrato, e ribadendo la natura compensativa, ha precisato che l’indennità “non è chiamata a rispondere a funzione di corrispettivo, ossia di effettivo controvalore del servizio fornito” ma, al contrario, avrebbe solamente “natura di semplice ristoro, ancorché apprezzabile e non meramente simbolico, con finalità di compensazione degli onere e delle spese non documentabili” (Cass., sent. 13 luglio 2020, n. 14846, con nota di Gaeta, Non è soggetta a IVA l’indennità liquidata all’amministratore di sostegno, in il fisco 32-33/2020, p. 3183 ss.). A sostegno della medesima tesi, essendo l’IVA un tributo armonizzato, si è espressa di recente anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in un caso quantomeno analogo e concernente la prestazione resa da un avvocato che assume l’incarico di rappresentante legale di maggiorenni incapaci (CGUE, sent. 15 aprile 2021, EQ, C-856/19). Non potendo fornire una risposta comune ed uniforme, la Corte stabilisce comunque l’impossibilità di annoverare l’attività in questione fra quelle economiche in termini assoluti, specificando che tale qualificazione dipende dalle concrete circostanze in cui si svolgono le prestazioni. La valutazione di ciò è rimessa al giudice di merito il quale sarà tenuto a conoscere e valutare i fatti di causa verificando caso per caso le circostanze in cui agisce il soggetto incaricato (Piera Santin, I Care a Lot – La disciplina IVA dell’indennità degli amministratori di sostegno tra obbligo di cura, remuneratività e rilievo sociale delle prestazioni, in Studi Tributari Europei. Vol 11, p. 103 ss.). Posta questa premessa, i giudici del Lussemburgo affrontano la questione relativa alla qualificazione di tali operazioni, interrogandosi se possano o meno esser considerate esenti ai sensi dell’art. 132, par. 1, lett. g), della Direttiva IVA, inerente alle prestazioni di servizi connesse con l’assistenza e la previdenza, precisando che è a tal fine è necessaria una doppia verifica per constatare la sussistenza sia del requisito oggettivo (tipo di attività svolta) sia di quello soggettivo (natura del prestatore). Posta l’incontestabilità della ricorrenza del requisito oggettivo, circa quello soggettivo la Corte precisa che qualora sia un avvocato a svolgere una siffatta attività, non può essergli negata a priori l’applicazione dell’esenzione per il solo fatto di appartenere a una categoria professionale che, in generale, svolge attività economica imponibile. Ciò assume particolare rilevanza anche alla luce della posizione assunta dalla Amministrazione finanziaria la quale, al contrario, sembra operare una distinzione proprio in virtù del soggetto incaricato della prestazione.

7. In conclusione, il tema in esame, così come inquadrato da un punto di vista fiscale, si presenta solo apparentemente diviso in due contrapposti filoni di pensiero; da una parte la giurisprudenza, specialmente di merito che, in linea con quanto previsto dalla norma, riconoscere la non imponibilità degli importi percepiti per detta attività; dall’altro lato l’Amministrazione finanziaria che, al contrario, riconosce la natura di reddito della retribuzione, come tale tassabile ai fini Irpef nel caso in cui l’incarico sia svolto da un professionista, con ulteriore applicazione dell’IVA. Come detto, tuttavia, trattasi di contrapposizione ormai superata nella sostanza, sia per il granitico orientamento di legittimità, sia per le forti criticità sottese alla tesi pubblica. Va ribadita infatti la non compatibilità della soluzione fiscalmente rilevante con la norma di riferimento, essendo la cura del beneficiario lo scopo principale che deve animare l’amministratore di sostegno (qualsiasi sia la sua posizione soggettiva). Pertanto, e in conclusione, si ritiene di accogliere con favore la posizione assunta dalla giurisprudenza, in relazione proprio alla specifica funzione assistenziale per la quale l’istituto è stato introdotto e regolato. Di certo, tale soluzione consente del resto di precludere anche qualsivoglia discriminazione basata sulla qualifica del soggetto (non familiare) incaricato di ricoprire la funzione, in violazione dell’art. 3 della Costituzione. L’unica e residuale possibilità di sussumere in via del tutto residuale indennità percepita dall’amministratore di sostegno nel novero della categoria retributiva tassabile, attiene al profilo oggettivo, ossia alla concreta attività svolta, purché tale sia l’inquadramento che ne emerge in modo certo nel provvedimento liquidatorio emesso dal Giudice tutelare in favore del soggetto incaricato.