Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

24/01/2023 - Sistema tributario ed emergenza pandemica: note sugli interventi pubblici tra principi nazionali ed europei

argomento: COVID-19 - Legislazione e prassi

Nel corso dell’emergenza pandemica, si è assistito all’adozione di numerosi provvedimenti fiscali ‘sospensivi’ o di natura lato sensu di vantaggio per i contribuenti, nell’ottica di limitare danni permanenti all’economia e, contestualmente, di favorirne la ripresa. Il problema che si pone oggi, una volta venute meno le condizioni che giustificano il protrarsi di una politica fiscale d’emergenza, è l’individuazione di ulteriori misure fiscali che, nel rispetto di principi nazionali ed europei, possano rinvigorire le casse dello Stato in un contesto economico ancora fortemente critico.

PAROLE CHIAVE: pandemia - misure fiscali - emergenza sanitaria - COVID-19


di Miriam Pontillo

1. Sulla scia della complessa rete di processi innescati dalla globalizzazione, il terzo millennio è già stato segnato fin dal suo avvio da numerosi fenomeni che hanno contribuito a scuotere di molto gli equilibri mondiali: attentati, guerre, estremismi, sono solo alcuni esempi dei diversi eventi traumatici che hanno richiamato, e continuano a richiamare, l’attenzione pubblica. Eppure, forse è anche vero che tra le sfide sistemiche del nostro tempo nessuna sia riuscita a imporsi al centro del dibattito mondiale con la stessa prepotenza di quella mostrata dalla pandemia dovuta alla diffusione del Covid-19, i cui effetti risuonano ancora oggi come devastanti.

Mancata la capacità di riconoscere e anticipare il problema da parte della comunità internazionale, il difficile compito che impegna oggi i governi nazionali è quello di provare a edificare le premesse per una immediata ripartenza e di rielaborare nuove strategie non soltanto per contenere i pericoli – tuttora non del tutto scongiurati – per la salute pubblica, ma anche per far fronte alle gravi crisi economiche dilagate nei Paesi colpiti dall’epidemia.

In questo scenario la materia tributaria si presta certamente a fornire strumenti utili a superare, nel concreto, le perduranti criticità. Cause e rimedi di un fenomeno così complesso sono molteplici e non possono essere ricercate solo in questo campo, ma non andrebbe sottovalutata l’importanza del ruolo che il fattore fiscale può svolgere nel liberare e ridistribuire risorse con cui irrorare il sistema economico, soprattutto quando esso versa in uno stato di crisi acuta come quella in corso.

 Si pone, però, il problema di individuare quale sia nel nostro ordinamento, in ossequio anche ai principi sovranazionali, la più efficace via percorribile per la politica fiscale, chiamata a contemperare – come del resto avviene nell’ordinaria dinamica tributaria – il difficile equilibrio tra gli interessi dei cittadini, da una parte, e i fini ai quali è preordinata l’azione dell’Amministrazione finanziaria, dall’altra.

 

2. È noto come a partire da marzo del 2020, allo scopo di arginare l’aumento dei contagi, siano state adottate dal governo numerose misure di restrizione, le quali però, unitamente al protrarsi più o meno consapevole dei loro effetti sui nostri stili di vita, hanno pure determinato una forte contrazione dei processi economici e produttivi, inclinando in poco tempo la nostra economia, come quella di diversi altri Paesi colpiti dal virus, verso una vera e propria recessione.

Nella situazione di paralisi venutasi a creare – o di shock, per usare il termine impiegato dalla Commissione europea (Risposta economica coordinata all’emergenza COVID-19 del 13 marzo 2020, COM(2020) 112 final) - i lunghi periodi di svolgimento ‘anormale’ delle attività economiche hanno concorso a determinare una gravissima crisi economica, amplificata nella sua portata dalla preesistente condizione di estrema fragilità dell’assetto economico e finanziario italiano.

A delineare l’eccezionalità di questo evento critico ha contribuito il sommarsi di un’accentuata crisi di liquidità – giacché alle famiglie, alle imprese e ai lavoratori, a causa della forte contrazione delle attività, sono venute a mancare le risorse necessarie per sostenere spese personali o i costi d’impresa – a una generalizzata crisi fiscale – data la difficoltà, per i contribuenti, di adempiere agli obblighi tributari e, per l’Erario, di reperire le risorse con cui far fronte alle istanze di quei cittadini sempre meno in grado di soddisfare autonomamente le proprie esigenze di vita.

Un quadro, insomma, quello delineato in breve tempo dall’emergenza, che ha imposto subito la ricerca degli strumenti economici e giuridici più appropriati per limitare danni permanenti all’economia e, contestualmente, favorirne la ripresa (per un approfondimento sul tema dei rapporti tra emergenza e fenomeno tributario, si vedano, ad esempio: CONTRINO - FARRI (a cura di), Pandemia da “Covid-19” e sistema tributario. Problematiche dell'emergenza, misure di sostegno e politiche fiscali, Pacini, Pisa 2021; CORASANITI, Coronavirus tra misure emergenziali di carattere fiscale e proposte per una riforma tributaria, in Strumenti finanziari e fiscalità, n. 47-48, 2020, p. 13 ss.; DELLA VALLE, Alcune coordinate dell’emergenza nell’ordinamento tributario, in Fisco, n. 16, 2020, p. 1513 ss.; INGRAO, Crisi di liquidità da coronavirus e omesso versamento di tributi: quali conseguenze sanzionatorie amministrative e penali?, in Riv. Dir. Trib. online, 27 aprile 2020).

Sono numerosissimi i provvedimenti tributari adottati dall’inizio della pandemia a oggi (tra i più significativi: il d.l. 17 marzo 2020, n. 18 – c.d. Decreto Cura Italia – e il d.l. 8 aprile 2020, n. 23 – c.d. Decreto Liquidità – che contengono, tra le altre disposizioni urgenti per contrastare l’emergenza, una serie di misure di carattere fiscale relative alla sospensione dei versamenti tributari, al rinvio dei termini di versamento di tributi e oneri pubblici, all’accesso al credito e all’erogazione di sussidi per coprire talune spese improrogabili o necessarie; il d.l. 19 maggio 2020, n. 34 – c.d. Decreto Rilancio –, il d.l. 14 agosto 2020, n. 104 – c.d. Decreto Agosto – e il d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 – c.d. Decreto Ristori –, che hanno introdotto ulteriori misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia e previsto ulteriori proroghe dei versamenti già oggetto di sospensione con i precedenti Decreti “Cura Italia”, “Liquidità” e “Rilancio”. Si ricordano pure quei provvedimenti fiscali, apparentemente ispirati solo a una logica di favore nei confronti dei contribuenti in difficoltà, che si sono prestati nel concreto a soddisfare interessi anche degli enti impositori. Si fa riferimento, in particolare, alle misure di sospensione dei termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento e di riscossione, inizialmente disposte con il d.l. n. 18/2020 e poi più volte reiterate). Guardando al loro contenuto, emerge chiaramente come nel nostro ordinamento la scelta sia ricaduta esclusivamente sulle misure ‘sospensive’ o di natura lato sensu di vantaggio, nel senso cioè che il decisore politico, anziché drenare ulteriormente le risorse rimaste in circolazione, ha finora preferito adottare misure di allentamento della morsa fiscale, sotto forma di sospensioni di termini, rinvio di adempimenti e tutta una serie di incentivi atti a dare respiro finanziario alle attività economiche. Tale strategia è apparsa per molti versi come una scelta obbligata, considerando le peculiarità della situazione concreta e il fine di evitare ulteriori stagnazioni dell’economia, nella prospettiva sperata di rinvigorire gradualmente il sistema economico e, con esso, il gettito necessario a garantire il funzionamento della macchina dello Stato. D’altro canto, però, i tempi sono maturi per cominciare a interrogarsi sulle conseguenze del protrarsi di una politica fiscale d’emergenza, che per definizione trova la sua giustificazione in un orizzonte temporale limitato, nonché sui rischi che un ricorso massivo o non ponderato a tali misure ‘tampone’ possa comportare nel tempo, primi fra tutti gli effetti distorsivi sul sistema impositivo e sull'allocazione delle risorse pubbliche. L’ulteriore incremento della spesa attuale, se non accompagnato da un graduale rinvigorimento delle casse dello Stato, potrebbe nel tempo implicare conseguenze peggiori della loro causa, come ad esempio la traslazione di un’enorme mole di debito pubblico sulle nuove generazioni di contribuenti o un eccessivo futuro inasprimento della pressione fiscale.

 

3. Provando a riflettere su quali misure potranno essere adottate in una logica di lungo periodo, occorre innanzitutto prendere atto di un dato fondamentale, ossia che l’attuale situazione emergenziale difficilmente si presta ad essere accostata a pregressi stati di crisi e che le marcate peculiarità di questo delicatissimo momento impediscono di attingere dall’esperienza storica spunti utili a ripartire che non rappresentino più di qualche semplice indicazione di principio. La crisi pandemica si presenta come un unicum della storia contemporanea, non solo italiana, il cui superamento non potrà dunque che attraversare un inedito e collettivo sforzo di riflessione ma – quel che forse è tra tutti un aspetto positivo – anche una maggiore libertà nella selezione degli strumenti più adeguati per riuscire in questo obiettivo.

Affrontando la problematica da una prospettiva esclusivamente nazionale, una strada in teoria percorribile per consentire allo Stato di reperire risorse con cui far fronte ai recenti impegni finanziari potrebbe essere costituita dal graduale ricorso a misure fiscali per così dire impositive o di svantaggio, che si sostanzino nell’aggravamento di prelievi già esistenti ovvero nell’introduzione di prelievi tributari ad hoc. Fermo restando quanto poc’anzi si è affermato a proposito delle inedite proporzioni della crisi economica innescata dalla diffusione del virus, è pure innegabile che nell’ultimo periodo non tutti hanno subìto gli stessi contraccolpi dalla pandemia, avendo alcuni settori continuato a produrre o addirittura prosperato. Si pensi, ad esempio, alle filiere alimentari, alle aziende farmaceutiche e di telecomunicazione, o al pubblico impiego, ove un ricorso massivo allo smart working ha consentito alle pubbliche amministrazioni di garantire ai dipendenti la conservazione dei posti di lavoro e una tendenziale continuità, anche durante l’emergenza, nell’erogazione dei servizi cui sono preposte.

Purché la scelta di una diversificazione del regime tributario non degeneri in arbitrarie discriminazioni e sia sorretta da adeguate giustificazioni di politica economica e redistributiva, nulla impedirebbe al legislatore fiscale di introdurre delle forme di prelievo a carico di quei soggetti che hanno mantenuto o incrementato i propri guadagni nel corso della pandemia, oppure di prevedere, sempre a loro carico, delle aliquote differenziate in seno a tributi già esistenti.

Tuttavia, per quanto necessario appare oggi preservare gli obiettivi di gettito, il livello di gravità della crisi impone un’attenta verifica non soltanto della legittimità ma anche dell’opportunità dell’adozione di misure di questo genere. Nel 2008, ad esempio, è stato ancora possibile finanziare il maggior fabbisogno attraverso l’introduzione o l’inasprimento di imposte (patrimoniali, immobiliari, finanziarie) e l’incremento delle aliquote IVA. Oggi simili prelievi, se mirati, sarebbero forse pure sopportabili, ma finirebbero col privare famiglie e imprese di quelle risorse finanziarie che, se reimmesse in circolazione, risultano in prospettiva indispensabili per far ripartire la macchina economica; così come, per riportarci all’esempio del 2008, un ulteriore inasprimento dell’IVA si porrebbe certamente d’ostacolo all’obiettivo di incrementare i consumi.

Non meno problematica appare oggi l’introduzione di una nuova imposta patrimoniale, un’altra fra le misure ‘impositive’ alla quale si pensa spesso di fare ricorso per superare le criticità dovute alle forti crisi economiche. Caratteristica principale di questo tipo di imposta, trattandosi di un prelievo calcolato sulla base della ricchezza, è quella di estrarre risorse da chi ne ha di più, per fini che possono essere riconducibili a questioni di equità sociale generale (colpire i più abbienti per ridurre le disuguaglianze tra ricchi e poveri) ovvero di carattere emergenziale (richiedendo di contribuire a chi è in quel momento meno vulnerabile).

L'astratta condivisibilità della scelta di introdurre un’imposta patrimoniale non esime però dalle perplessità che possono sollevarsi al momento della declinazione concreta di taluni profili relativi a questo tipo di tributo, come l’individuazione dei soggetti passivi (colpire le aziende, ad esempio, nel momento in cui molte sono in crisi, sarebbe svantaggioso per la produttività del Paese), la valutazione della ricchezza da tassare (se, da un lato, sono stati compiuti importanti passi avanti nell’ambito della valutazione delle proprietà immobiliari – anche grazie alla sempre maggiore disponibilità di dati – dall’altro, non è ancora disponibile in Italia una mappatura chiara della ricchezza personale o familiare) o le difficoltà di verifica e accertamento da parte degli Uffici (un processo costoso in particolare per questo tipo di imposte, dove l’unica opzione è il controllo diretto delle dichiarazioni, per il forte rischio di evasione e di fuga dei capitali). È per queste ragioni – o forse per il fatto che fra le innumerevoli tipologie di prelievo questo tipo in particolare viene percepito come una sorta di esproprio da parte dello Stato – che tutte le volte in cui si discute dell’introduzione di questa misura fiscale, immancabili e puntuali si manifestano le reazioni di palese avversione. Considerazioni in parte analoghe potrebbero valere anche per la previsione di un prelievo forzoso sui conti correnti, il cui scopo è consentire il reperimento immediato di risorse per far fronte a emergenze o a situazioni che richiedono uno sforzo economico straordinario. Anche nei confronti di questa misura non mancano ragioni per ritenere che si tratterebbe oggi di una soluzione di dubbia utilità, non soltanto per il rischio che si accompagna naturalmente a strumenti del genere – incidere su una ricchezza che deriva da redditi sottoposti già a una precedente tassazione – o per gli effetti economici di un simile provvedimento (poiché, giova ribadirlo, ciò di cui attualmente vi è bisogno è incentivare la produttività e la capacità di consumo), quanto, invece, perché paradossalmente potrebbe finire col prelevare quella liquidità transitata sui conti correnti e di deposito proprio in virtù delle misure volute dal governo a sostegno di famiglie, liberi professionisti e imprese.

 

4. Quel che emerge da questa sintetica rassegna dei principali strumenti tributari attuati e attuabili in condizioni emergenza, è che al momento non sembrano esserci ancora margini per inasprimenti. Sicché, nel ricalibrare il complesso delle misure fiscali per un impatto che sia quanto più equamente gravoso per il Fisco e per i contribuenti, si potrebbe forse leggere la pandemia come l’occasione per perseguire soluzioni che, prima della crisi, sembravano idealistiche o impraticabili. Si pensi alla possibilità di introdurre degli incentivi alla solidarietà dei contribuenti, tramite ad esempio l’emissione di specifici titoli di debito pubblico acquistabili da quanti spontaneamente siano disposti a finanziare le spese dello Stato (cfr. CONTRINO - FARRI, Emergenza coronavirus e finanziamento della spesa pubblica: è possibile trarre indicazioni per la futura politica fiscale italiana?, in Iid. (a cura di), Pandemia da “Covid-19”, cit., p. 28), ovvero tramite la previsione di istituti giuridici che favoriscano un maggior ‘coinvolgimento’ dei contribuenti nelle dinamiche di prelievo tributario (ad esempio, tramite l’estensione della facoltà di scelta della destinazione dell’otto per mille IRPEF al finanziamento di determinate attività, magari quelle più colpite dalla pandemia) (cfr. CONTRINO - FARRI, Emergenza coronavirus e crisi economica: quali misure finanziarie e fiscali per ripartire?, in Iid. (a cura di), Pandemia da “Covid-19”, cit., p. 6).

Un ulteriore passo che l’Italia dovrebbe poter compiere è quello di valersi degli strumenti messi a disposizione dall’Unione europea, purché rimanga libera da condizionamenti ideologici e persista nel perseguimento degli interessi della comunità nazionale.

A tal proposito, è significativo notare come a invadere in maniera prepotente il discorso pubblico per descrivere l’essenza dei vari provvedimenti economici adottati dall’Unione (tra le misure recentemente adottate in sede europea, le più significative sono: la sospensione del rigoroso e vincolante Patto di Stabilità, che ha consentito ai Paesi dell’Unione di andare in deficit e di indebitarsi oltre i limiti normalmente consentiti; l’adozione di norme maggiormente flessibili in materia di aiuti di Stato; l’avvio di misure di portata straordinaria, come il programma Next Generation EU, noto anche come NGEU, per il rilancio dell’economia Ue, assieme ai fondi messi a disposizione dalla Banca europea per gli Investimenti) – dopo un primo momento di chiusura nei confronti di soluzioni mirate a condividere i costi della pandemia tra tutti gli Stati UE – sia stato, tra tutti i principi ispiratori dell’impianto istituzionale europeo, proprio quello di solidarietà (nell’art. 80 TFUE si afferma che «Le politiche dell’Unione […] e la loro attuazione sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri anche sul piano finanziario. Ogniqualvolta necessario, gli atti dell'Unione adottati in virtù del presente capo contengono misure appropriate ai fini dell'applicazione di tale principio»). Solo un cenno sembra però opportuno rivolgere al dubbio che il principio invocato in sede sovranazionale poco o nulla abbia a che vedere con la solidarietà nazionale, giacché esso si inserisce in una dinamica che non è affatto spontanea o unidirezionale, nel senso cioè che gli interventi a sostegno non sono diretti soltanto dall’Unione europea verso gli Stati in difficoltà, ma da questi ultimi devono poi potersi dirigere nuovamente verso l’Europa, in termini di impegno a una gestione responsabile delle finanze interne e in funzione della stabilità dell’intero sistema economico e finanziario europeo.

 

5. Gli ultimi mesi di storia ci consegnano alcune lezioni fondamentali. Innanzitutto, sempre da un punto di vista fiscale, l’uscita dalla pandemia dovrebbe essere colta come l’occasione giusta per iniziare ad agire in funzione di una razionalizzazione del sistema tributario, negativamente connotato per una elevata frammentarietà degli strumenti fiscali e per essere sempre più spesso fonte di disuguaglianze. Si pensi, per esempio, all’IRPEF, uno dei più importanti tributi del sistema italiano, la cui originaria natura è stata fortemente intaccata dal gran numero di modifiche intervenute in quasi mezzo secolo dalla sua introduzione, al punto che oggi è rimasta solo ‘l’illusione’ della sua originaria progressività. Il problema non sta certamente nelle definizioni, quanto invece nel risultato che si ottiene da un sistema del genere, in parte progressivo, in parte proporzionale: un trattamento più severo per i meno abbienti e più indulgente, invece, con i più ricchi. Effetti distorsivi discendono pure dal sistema dell’IRES, che si connota per una serie di addizionali settoriali che colpiscono solo alcune categorie di imprese, o dal complesso delle aliquote agevolate IVA, non sempre in grado di assicurare il beneficio a chi ne ha bisogno, o, ancor più in generale, dall’intricato groviglio di riduzione del carico fiscale, meglio noto col nome di tax expenditures.

Il secondo importante monito riguarda la necessità di un coordinamento a livello internazionale per la definizione e l’attuazione di misure dirette a realizzare una più equa redistribuzione della ricchezza e che fungano altresì da contrasto adeguato e tempestivo ad altre possibili crisi. È evidente che la pandemia, oltre a incidere pesantemente sulla crescita economica dei Paesi coinvolti, ha innescato, o in ogni caso ha contribuito ad accelerare di molto, processi economici atti a incrementare diffuse disuguaglianze. Si pensi, in particolare, al vertiginoso aumento della domanda di e-commerce, a vantaggio dei grandi colossi del web che scontano una tassazione molto bassa, o al massivo uso dei servizi cloud: tutti fenomeni che possiedono le potenzialità per aumentare la ricchezza a livelli senza precedenti, ma che, privi di un controllo pubblico, possono essere anche causa di disoccupazione, riduzione dei salari, contrazione delle entrate tributarie e quindi perdita della capacità dei governi di fornire servizi pubblici di qualità. È tempo di prendere atto che forse le vere insidie al gettito fiscale derivano proprio da questi processi di globalizzazione e che, passata quella sanitaria, è sul fronte del capitalismo digitale che il sistema pubblico è chiamato ad affrontare una nuova emergenza, per riequilibrare i rapporti di forza, vigilare sul rispetto delle regole, tutelare l’interesse generale e garantire i diritti individuali, affinché l’innovazione non sia fonte di nuove discriminazioni, ma si ponga al servizio del benessere collettivo.