Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

14/10/2021 - Tutela giurisdizionale e “prevedibile pertinenza” delle informazioni nella cooperazione amministrativa fiscale europea

argomento: Profili europei e Internazionali - Giurisprudenza

La Corte di giustizia si è pronunciata sul diritto alla tutela giurisdizionale dei soggetti coinvolti nello scambio di informazioni su richiesta ai sensi della Direttiva n. 2011/16/Ue e sulla portata del requisito di prevedibile pertinenza. In un contesto normativo in continua espansione, che pecca per l’assenza di una disciplina organica di salvaguardia dei diritti, la sentenza in commento chiarisce che viola il diritto ad un ricorso effettivo (art. 47, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) la normativa di uno Stato membro che precluda al detentore delle informazioni di agire in via diretta contro l’intimazione a fornirle all’amministrazione del medesimo Stato al fine di soddisfare la richiesta proveniente da un altro Stato membro. Tuttavia, con un approccio che suscita qualche perplessità, la Corte reputa che il diritto Ue non osti ad una simile preclusione rivolta al contribuente e ai terzi interessati, purché siano disponibili altri rimedi intesi a ottenerne un riesame incidentale. La sentenza si pronuncia anche sulla nozione di prevedibile pertinenza delle informazioni, oggetto, peraltro, di recente riforma ad opera della c.d. DAC 7.

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PAROLE CHIAVE: DAC 7 - tutela giudiziale - prevedibile pertinenza


di Chiara Francioso

  1. Premessa.

La sentenza “État luxembourgeois” [Corte giust., Grande sez., 6 ottobre 2020, cause riunite C-245/19 (État luxembourgeois c. B) e C-246/19 (État luxembourgeois c. B, C, D, F.C.)] è una delle prime della Corte di Giustizia in tema di tutela dei soggetti coinvolti nello scambio di informazioni ai sensi della Direttiva n. 2011/16/Ue (c.d. DAC 1). A fronte di un contesto normativo in costante espansione, comincia a delinearsi – in via pretoria – l’assenza di un sistema comune di garanzie, quale profilo critico della cooperazione fiscale nella Ue. Infatti, salvo sporadici riferimenti della DAC alla tutela dei segreti e dei dati personali, non si riscontra un seguito alla premessa secondo cui la «direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea» (Preambolo, § 18). In forza del principio di autonomia procedimentale, la salvaguardia dei diritti rimane perlopiù affidata alle discipline domestiche, che, però, raramente prevedono garanzie quali il contraddittorio preventivo, il diritto a rimanere in silenzio e ad esperire rimedi giurisdizionali contro atti relativi allo scambio di informazioni (ad esempio, la richiesta di informazioni, generalmente reputata non immediatamente lesiva della sfera del contribuente. Cfr., senza pretesa di esaustività, Melis G. - García Prats A.F., Scambio di informazioni e tutela del contribuente, in Dir. e proc. trib., 2015, 265 ss.; Baker P. - Pistone P., Action 16: The Taxpayers’ Right to an Effective Legal Remedy Under European Law in Cross-Border Situations, in EC Tax Rev., 2016, p. 340; Dorigo S., L’ordinamento italiano e la cooperazione fiscale internazionale, in Sacchetto C. (a cura di), Princìpi di diritto tributario internazionale, Giappichelli, Torino, 2016, 167 ss.; Pistone P., General Report, in Id. (a cura di), Tax Procedures: 2019 EATLP Congress, Ibfd, Amsterdam, 2020, 100-101; Kokott J. - Pistone P. - Miller R., Diritto internazionale pubblico e diritto tributario: I diritti del contribuente. La fase 1 del progetto dell’International Law Association sul diritto tributario internazionale, in Dir. prat. trib. int., 2020, 474 ss.). Il tema è particolarmente avvertito anche nell’applicazione della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (Cedu), come testimoniano diverse pronunce della Corte Edu direttamente o indirettamente rilevanti per lo scambio di informazioni ai fini fiscali (fra cui Corte Edu, 16 giugno 2015, Othymia Investments BV c. Paesi Bassi, ricorso n. 75292/10, e Id., 22 dicembre 2015, G.S.B. c. Svizzera, ricorso n. 28601/11).  

La Corte di giustizia – come nel precedente Berlioz (Corte giust., 16 maggio 2017, Berlioz Investment Fund c. Directeur de l'administration des contributions directes, C-682/15, con nota di Dorigo S., La tutela del contribuente nel corso di procedure di scambio di informazioni: la sentenza Berlioz della Corte di giustizia, in Tax News, 2018, 91 ss., e di Amaddeo F., Il caso Berlioz Investment Fund: diritti fondamentali e scambio di informazioni, in Novità fiscali, 2017, 191 ss.) – è stata chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sul diritto dei soggetti coinvolti nello scambio a ricorrere, in via diretta, contro l’ingiunzione a fornire informazioni rivolta al detentore delle stesse (ingiunzione che dà seguito alla richiesta di informazioni proveniente da un’Amministrazione straniera). Inoltre, ha dovuto chiarire la portata del requisito di prevedibile pertinenza delle informazioni laddove l’istruttoria verta su contratti, fatturazioni e pagamenti non individuati con precisione, di cui il terzo detentore delle informazioni è parte, occorsi nel periodo sottoposto a indagine e comunque collegati al contribuente (nominativamente indentificato).

Il sindacato della Corte di giustizia sulle procedure di scambio di informazioni può avere ad oggetto tanto la conformità delle discipline domestiche alla Direttiva n. 2011/16/Ue o al diritto primario, quanto la legittimità dello stesso atto europeo derivato rispetto al diritto primario. Vengono in rilievo le garanzie poste dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione (c.d. Carta di Nizza), che gli Stati membri sono tenuti a rispettare nell’attuazione del diritto Ue (art. 51, comma primo). La questione pregiudiziale sollevata dinanzi alla Corte nel caso in esame verte sul diritto ad un ricorso effettivo (art. 47), sul rispetto della vita privata e familiare (art. 7) e sulla protezione dei dati personali (art. 8) dei soggetti coinvolti nello scambio.

In particolare, secondo le Conclusioni dell’Avv. Gen. Kokott, un’ingiunzione a fornire informazioni ai sensi della Direttiva costituisce già di per sé – a prescindere dai profili sanzionatori – un’interferenza nei diritti fondamentali non solo del soggetto tenuto a fornire l’informazione, ma anche del contribuente (su cui verte l’istruttoria nello Stato richiedente) e di altri terzi interessati, avverso la quale deve essere garantita una tutela giurisdizionale effettiva ai sensi dell’articolo 47 della Carta di Nizza (Conclusioni dell’Avv. Gen. Kokott nelle cause riunite C-245/19 e C-246/19, presentate il 2 luglio 2020, spec. § 65).

La Corte, tuttavia, si è pronunciata in termini meno netti, riconoscendo il diritto ad un rimedio giurisdizionale diretto al solo soggetto detentore delle informazioni (che non avrebbe altra via di tutela rispetto al rischio di incorrere nella sanzione). Di contro, viene riconosciuta la legittimità del diniego di azione diretta al contribuente sottoposto a controllo e ai terzi interessati, purché siano messi nelle condizioni di ottenere un riesame della richiesta in via incidentale.

Le statuizioni della Corte, relative ad un caso di scambio di informazioni su richiesta (art. 5, DAC 1), appaiono rilevanti anche per i meccanismi di scambio spontaneo e automatico, in caso di richiesta di integrazione da parte dello stato ricevente. Come noto, a differenza dello scambio su richiesta, quelli automatici e spontanei prevedono l’invio di informazioni in autonomia da parte dello Stato detentore allo Stato interessato (rispettivamente secondo scadenze e formulari prestabiliti o occasionalmente, al ricorrere di determinate circostanze). Ricevute le prime informazioni, questo secondo Stato può richiedere ulteriori dettagli (c.d. “integrazione” o “follow-up request”), fornendo elementi circa la prevedibile pertinenza ai fini dei propri controlli. Dal momento della richiesta di integrazione, dovrebbe ritenersi applicabile la disciplina dello scambio su richiesta, con conseguente rilevanza delle interpretazioni rese in proposito dalla Corte.

 

  1. Scambio di informazioni e diritto alla tutela giurisdizionale...

Il caso affrontato dalla Corte origina da due richieste di informazioni rivolte dall’amministrazione fiscale spagnola a quella lussemburghese in merito alla situazione dell’artista F.C. Il Lussemburgo vi ha dato seguito inviando alla banca A e alla società B l’intimazione a fornire rispettivamente informazioni finanziarie e contratti stipulati da B con le società E ed F in merito ai diritti artistici del contribuente. L’omessa o tardiva comunicazione delle informazioni avrebbe potuto comportare l’irrogazione, ai terzi, di una sanzione amministrativa pecuniaria (sino ad un massimo di 250 mila euro, ai sensi dell’art. 5, comma primo, Loi du 25 novembre 2014). Entrambi gli atti di intimazione precisavano di non poter formare oggetto di ricorso ai sensi della normativa lussemburghese sullo scambio di informazioni su richiesta (art. 6, L. cit.). Tuttavia, va chiarito che la L. cit., pur escludendo – nella versione vigente ratione temporis – l’impugnabilità della richiesta di informazioni e dell’intimazione a fornirle, ammetteva il ricorso contro l’atto di irrogazione delle sanzioni amministrative.

Ciononostante, le intimazioni sono state impugnate, in via diretta e con ricorsi distinti, dalle società destinatarie, che ne hanno invocato la riforma o l’annullamento. Il giudice di primo grado ha disapplicato l’art. 6, comma primo, della legge lussemburghese per violazione del diritto ad un ricorso effettivo (art. 47 della Carta di Nizza) e ha annullato parzialmente l’intimazione ritenendo che alcune delle informazioni richieste ai terzi non fossero prevedibilmente pertinenti ai fini dell’indagine condotta dall’amministrazione tributaria spagnola. In sede di esame dell’appello proposto dall’Amministrazione lussemburghese, la Cour administrative ha sospeso il procedimento, chiedendo alla Corte di giustizia di pronunciarsi in via pregiudiziale sulla compatibilità della normativa lussemburghese rispetto alla Carta di Nizza (artt. 7, 8, 47 e 52) e sulla prevedibile pertinenza o meno delle informazioni richieste dalla Spagna, da reperire presso i detentori delle informazioni (ricorrenti).

La Corte premette innanzitutto che, ai sensi dell’art. 52, comma primo, della Carta di Nizza, le garanzie ivi riconosciute non sono assolute, potendo subire limitazioni, purché queste siano previste per legge, nel rispetto del principio di proporzionalità e del contenuto essenziale dei diritti e delle libertà in questione. Nel prosieguo, la Corte verifica se le restrizioni lussemburghesi al diritto ad un ricorso effettivo rispettino o meno queste condizioni. La decisione muove dal precedente Berlioz, nel quale si era registrata un’apertura della Corte sulla possibilità di riconoscere la tutela dei diritti sanciti nella Carta di Nizza nell’ambito delle operazioni di scambio di informazioni su richiesta. In quel caso, vertente sulla medesima normativa lussemburghese, era stato riconosciuto il diritto del privato ad agire in giudizio per accertare la legittimità della richiesta di informazioni nel caso in cui essa si fosse tradotta in un provvedimento sanzionatorio. Si tratta di una pronuncia fondamentale, poiché in precedenza nel caso Sabou – la Corte, pronunciandosi per la prima volta sullo scambio d’informazioni in materia di tributi non armonizzati, aveva negato che la Direttiva n. 1977/799/Cee (vigente ratione temporis) conferisse «diritti specifici al contribuente» e non si era neppure potuta esprimere sulla tutela offerta dalla Carta di Nizza, perché entrata in vigore dopo l’emissione dell’avviso di accertamento che aveva dato luogo alla controversia (Corte giust., 22 ottobre 2013, C‑276/12, Sabou c. Finanční ředitelství pro hlavní město Prahu). Come in Berlioz, anche nel caso in esame, la Corte conferma che costituisce “attuazione del diritto dell’Unione” l’adozione, da parte di uno Stato membro, di una normativa che definisca le modalità della procedura di scambio di informazioni su richiesta istituita dalla Direttiva n. 2011/16/Ue e che, dunque, è applicabile la Carta di Nizza.

La sentenza in epigrafe, rispetto al caso Berlioz, affronta un aspetto inedito: l’impugnabilità o meno da parte del contribuente, del privato detentore delle informazioni o di altri terzi interessati della intimazione a fornire informazioni a prescindere dai profili sanzionatori (riguardanti il solo detentore delle informazioni e già oggetto della sentenza Berlioz). Neppure la Corte europea dei diritti umani si è pronunciata sull’omologo diritto ad un ricorso effettivo riconosciuto dalla CEDU (art. 13), nell’ambito delle procedure di scambio su richiesta. Infatti, nel caso Othymia Investments BV, la Corte Edu aveva dichiarato la manifesta infondatezza della pretesa della società detentrice delle informazioni di conoscere (ex ante) l’avvio del procedimento o, in alternativa, di ricorrere in giudizio (ex post) per denunciare l’illegittimità del trasferimento di informazioni e chiedere la condanna al risarcimento del danno procurato dallo Stato che vi aveva dato seguito inaudita altera parte (Corte Edu, 16 giugno 2015, Othymia Investments BV c. Paesi Bassi, ricorso n. 75292/10).

Sebbene dalla Direttiva n. 2011/16/Ue non si evincano particolari limitazioni all’esercizio del diritto a un ricorso effettivo, gli Stati possono implementarla attraverso misure più restrittive, purché siano rispettati i menzionati requisiti ex art. 52 della Carta di Nizza. La Corte procede con analisi differenziate a seconda del soggetto coinvolto nello scambio.

 

2.1. (Segue) ...per il soggetto detentore delle informazioni.

Quanto al detentore delle informazioni, trattandosi della stessa situazione giudicata nel caso Berlioz, i giudici vi si rifanno, escludendo che la normativa lussemburghese sulla non impugnabilità dell’intimazione rispetti il contenuto essenziale dei diritti sanciti dalla Carta. E ciò in quanto, per costante giurisprudenza, il diritto ad un ricorso effettivo è soddisfatto se sia possibile adire un giudice senza che, per avervi accesso, occorra violare una norma o un obbligo giuridico ed esporsi alla sanzione conseguente: «una normativa nazionale [...] che esclude la possibilità, per un detentore di informazioni nei cui confronti l’autorità nazionale competente adotti una decisione che ingiunge la comunicazione di tali informazioni, di proporre un ricorso diretto avverso tale decisione, non rispetta il contenuto essenziale del diritto a un ricorso effettivo» (essendo consentito un riesame solo in via eventuale e incidentale, in caso di impugnazione del provvedimento che irroga la sanzione per violazione dell’intimazione). Viene così arginato il “cortocircuito” dello Stato/Unione di diritto – segnalato dall’Avv. Gen. Kokott nelle proprie Conclusioni – per cui si chiede «ad un singolo di commettere una violazione con riferimento ad una decisione di ingiunzione, al fine di poterne verificare la legittimità in via incidentale» (Conclusioni dell'Avv. Gen. Kokott nelle cause riunite C-245/19 e C-246/19, presentate il 2 luglio 2020).

Sotto questo profilo, la sentenza è di sicuro interesse per gli ordinamenti che, al pari di quello italiano, non riconoscono diritti procedimentali ai soggetti coinvolti nello scambio di informazioni e sanzionano la mancata cooperazione dei terzi detentori delle stesse [art. 32, comma primo, n. 8 e ss., D.P.R. n. 600/1973, la cui violazione è punita con sanzione amministrativa pecuniaria ex art. 11, comma primo, lett. b), D. lgs. n. 471/1997. Sulla tutela, presso il giudice civile o amministrativo, per i terzi che si reputano lesi da un atto istruttorio, cfr., per tutti, Tesauro F., Manuale del processo tributario, aggiornato da Turchi A., Giappichelli, Torino, 2020, 33].

 

2.2. (Segue) … per il contribuente.

Ci si chiede poi se tale diritto al ricorso spetti in egual modo al contribuente, artista fiscalmente residente nello Stato membro che ha richiesto informazioni ad un’amministrazione straniera. I giudici affermano che il contribuente è titolare del diritto al rispetto della vita privata e del diritto alla protezione dei dati personali, che possono essere lesi (indipendentemente dalla sensibilità dei dati) in occasione della comunicazione di informazioni su una persona fisica identificata o identificabile a un terzo, ivi compresa un’autorità pubblica. In relazione a questo rischio, in linea di principio, secondo i giudici, deve essere garantito al contribuente persona fisica un rimedio di carattere giurisdizionale in simili contesti.

Passando all’esame della legittimità, ai sensi dell’art. 52 della Carta di Nizza, delle limitazioni a questo diritto, la Corte constata che (i) sono previste ex lege, (ii) conformi al contenuto essenziale dell’art. 47 della Carta e (iii) proporzionate. Quanto al secondo requisito, essa rileva che la posizione del contribuente non è paragonabile a quella del soggetto detentore delle informazioni, poiché quest’ultimo «in assenza della possibilità di proporre un ricorso diretto avverso una decisione adottata nei suoi confronti e che le impone un obbligo giuridico di comunicare le informazioni di cui trattasi, sarebbe privata di qualsiasi tutela giurisdizionale effettiva, [mentre] il contribuente interessato [, non essendo] destinatario di una siffatta decisione[,] non è costretto a porsi in una situazione di illegittimità per poter esercitare il suo diritto a un ricorso effettivo». A differenza di quanto constatato per il detentore delle informazioni, non si può quindi considerare svuotato del proprio significato essenziale il diritto al ricorso. Viene poi richiamata la sentenza Sabou, nella parte in cui la Corte aveva graduato la tutela del contribuente nelle diverse fasi del procedimento a suo carico, chiarendo che solo nella fase dell’invio di una proposta di rettifica al contribuente è necessario garantire il diritto ad essere ascoltati, poiché ne potrebbe derivare la notifica di un avviso di rettifica. Per la Corte, le medesime considerazioni valgono per il diritto al ricorso, che dovrebbe essere garantito almeno contro tale ultimo atto e non necessariamente nella fase preliminare di raccolta delle informazioni da parte dell’amministrazione straniera. In particolare, lo standard ex art. 47 della Carta «presuppone che il giudice investito della controversia sia competente ad esaminare tutte le questioni di diritto e di fatto rilevanti per dirimere la controversia stessa [...] e, in particolare, a verificare che le prove sulle quali si fonda tale atto non siano state ottenute o utilizzate in violazione dei diritti e delle libertà garantiti all’interessato dal diritto dell’Unione». Poiché, in tal modo, il contribuente ottiene anche un esame, in via incidentale, delle condizioni di reperimento e di utilizzo delle prove raccolte (sulla scorta dell’intimazione rivolta al detentore sito nell’altro Stato membro), la normativa lussemburghese rispetta il contenuto minimo del diritto ad un ricorso effettivo. Essa non può neppure essere giudicata sproporzionata, in quanto risponde ad una “finalità di interesse generale riconosciuta dall’Unione” (la lotta contro la frode e l’evasione fiscale internazionale, di cui ai § 1-2 del Preambolo della DAC) e non eccede quanto necessario per il suo raggiungimento. Infatti, la non impugnabilità, da parte del contribuente, dell’intimazione formulata dall’amministrazione estera nei confronti del detentore delle informazioni risponde ad una ratio di speditezza del procedimento, coerente con la stessa DAC che impone dei termini di trasmissione sì ristretti (art. 7) da non agevolare forme preventive di contraddittorio amministrativo o giudiziale. Tale situazione sarebbe bilanciata dal fatto che l’intimazione non è immediatamente lesiva della sfera giuridica del contribuente (non essendo a lui rivolta e non comportando profili sanzionatori) e dalla possibilità di ottenerne un riesame incidentale se le informazioni scambiate confluissero effettivamente in un atto impositivo.

La soluzione adottata, peccando di un approccio formalistico, trascura, tuttavia, alcune circostanze che sfuggono al riesame incidentale ex post (cioè in sede di impugnazione dell’atto impositivo).

Innanzitutto, poiché l’emissione di un atto impositivo all’esito dell’istruttoria è eventuale, il contribuente, in caso di mancato accertamento, potrebbe restare privo di tutela rispetto alla violazione dei propri diritti fondamentali (come il diritto alla tutela dei dati personali) occorsa in occasione dello scambio. Se è condivisibile precludere il ricorso al giudice tributario sino alla notifica di un atto lesivo della sua sfera, non può dirsi altrettanto per la generalizzata esclusione (che parrebbe evincersi dall’orientamento in esame) del ricorso a qualsiasi giudice, amministrativo o civile, generalmente provvisto di giurisdizione sulla violazione occorsa. La sola possibilità di ricorso per risarcimento del danno non soddisfa lo standard di tutela giurisdizionale effettiva (Corte Edu, 7 luglio 2015, M.N. e a. c. San Marino, ricorso n. 28005/12, § 81). Appare poi paradossale che sia maggiormente tutelato il soggetto detentore delle informazioni (potendo impugnare tanto l’atto istruttorio quanto il successivo, eventuale, atto sanzionatorio), rispetto al contribuente, che potrebbe non venire mai a conoscenza della lesione dei propri diritti fondamentali (complice la diffusa negazione del diritto a conoscere l’avvio del procedimento, su cui cfr. le statistiche dell’Observatory on the Protection of Taxpayers’ Rights, 2020 General Report on the Protection of Taxpayers’ Rights, in Id., The IBFD Yearbook on Taxpayers’ Rights 2020, Ibfd, Amsterdam, 2020, 122 ss. Si veda, altresì, Moreno González S., Cross-border exchange of tax information upon request and fundamental rights – Can the right balance be struck?: Joined cases C-245/19 and C-246/2019, Etat luxembourgeois contre B, in Maastricht J. of European and Comparative L., 2021, 13).

Inoltre, anche qualora le informazioni scambiate confluiscano in un atto impositivo, non è chiaro se dimostrare l’illegittimità a monte della raccolta delle stesse valga – nei vari Stati membri – ad impedirne l’utilizzo a fondamento dell’avviso (si confrontino, in proposito, Corte giust., 10 aprile 2003, Steffensen, C‑276/01, § 75; Id., 17 dicembre 2015, WebMindLicenses, C‑419/14, e Conclusioni dell’Avv. Gen. Kokott nelle cause riunite C-245/19 e C-246/19, presentate il 2 luglio 2020, § 72. In dottrina, senza pretesa di esaustività, cfr. Del Federico L., Scambio di informazioni fra Autorità Fiscali e tutela del contribuente: profili internazionalistici, in Riv. dit. trib. int., I, 2010, 231 ss.; Mastellone P., Lo scambio di informazioni tra amministrazioni finanziarie, in Cordeiro Guerra R. (a cura di), Diritto tributario internazionale. Istituzioni, Cedam, Padova, 2016, 304 ss.; Tesauro F., Le prove illecite nel processo tributario, in NeΩtepa, 2017, 34 ss.). Tale situazione di incertezza accresce l’esigenza di un riesame tempestivo degli atti istruttori da parte di un giudice.

 

2.3. (Segue) ...per altri terzi interessati alle informazioni.

Nel caso in esame, per terzi interessati si intendono «persone giuridiche, con le quali il contribuente oggetto dell’indagine all’origine delle decisioni che ingiungono la comunicazione di informazioni [...] intrattiene o può intrattenere rapporti giuridici, bancari, finanziari o, più in generale, economici». Precisamente, la richiesta concerneva conti bancari e cespiti patrimoniali riguardanti anche le società C e D, prive di qualsivoglia coinvolgimento sia nel procedimento lussemburghese di evasione della richiesta di informazioni sia nel procedimento spagnolo di accertamento.

La Corte di giustizia, richiamando un principio consolidatosi nella giurisprudenza della Corte Edu, premette che qualsiasi persona fisica o giuridica deve poter invocare una tutela «contro le ingerenze arbitrarie o sproporzionate dei pubblici poteri nella loro sfera di attività privata, persino qualora la comunicazione a un’autorità pubblica di informazioni giuridiche, bancarie, finanziarie o, più in generale, economiche che li riguardino non possa in alcun modo essere considerata tale da incidere sul nucleo essenziale di tale attività» (Corte Edu, 16 giugno 2015, Othymia Investments BV c. Paesi Bassi, ricorso n. 75292/10, § 37; Id., 7 luglio 2015, M.N. e a. c. San Marino, ricorso n. 28005/12, § 51 e 54; Id., 22 dicembre 2015, G.S.B. c. Svizzera, ricorso n. 28601/11, § 51 e 93). Tuttavia, con le medesime argomentazioni utilizzate per il contribuente, dichiara lecite le limitazioni al diritto ad un ricorso effettivo, perché previste ex lege, proporzionate e non idonee a privare l’art. 47 del suo contenuto essenziale. Si noti, però, che, non avendo tali soggetti la possibilità di contestare direttamente né l’intimazione a fornire informazioni (rivolta al detentore) né l’atto impositivo (eventualmente emesso a carico del contribuente), la limitazione al loro diritto al ricorso contro la prima è proporzionata solo se l’ordinamento domestico permetta di agire in giudizio (in altre sedi) per far constatare una violazione dei diritti loro conferiti dal diritto dell’Unione e per ottenere il risarcimento del danno cagionato dalla violazione stessa.

 

  1. La “prevedibile pertinenza” delle informazioni nella giurisprudenza europea e nella “DAC 7”.

Con riguardo alla seconda questione pregiudiziale, si tratta di chiarire se soddisfi il requisito di prevedibile pertinenza una richiesta di informazioni, rivolta all’amministrazione di un altro Stato membro, che precisi l’identità del detentore, quella del contribuente oggetto dell’indagine e il periodo d’imposta cui si riferisce. Inoltre, se l’istruttoria verta su contratti, fatturazioni e pagamenti non individuati con precisione, la Corte è chiamata a chiarire se sia sufficiente specificare il loro collegamento col contribuente coinvolto e la stipula o corresponsione da parte del detentore, nel periodo determinato.

La prevedibile pertinenza delle informazioni rappresenta, come noto, lo standard comune ad Ocse ed Ue per lo scambio di informazioni su richiesta nell’ambito dell’imposizione diretta (sul processo di convergenza dei modelli, cfr. Sacchetto, (voce) Cooperazione fiscale internazionale, in Enc. it. Treccani, 2016, disponibile al collegamento https://www.treccani.it/enciclopedia/cooperazione-fiscale-internazionale-dir-trib_(Diritto-on-line)/). In particolare, sotto questo profilo, la formulazione della DAC (art. 1, comma primo) è allineata col modello Ocse di convenzione internazionale contro la doppia imposizione (art. 26, comma 1), come aggiornato per riflettere l’apertura verso i nuovi meccanismi di scambio spontaneo e automatico. Si è passati così ad ammettere lo scambio di informazioni non più solo «necessarie», bensì «prevedibilmente pertinenti» per l’amministrazione dei tributi nello Stato richiedente (art. 26, comma 1), al quale l’altro non può opporre il segreto bancario (Art. 26, comma 5). Anche nella nuova formulazione, si tratta di una norma a tutela del contribuente contro il rischio di c.d. “fishing expedition”. Non sorprende, dunque, che le disposizioni che incorporano questa nozione siano tra le più invocate dai soggetti coinvolti nello scambio di informazioni e, di conseguenza, alla base del crescente contenzioso in materia. Altro presupposto dello scambio su richiesta è rappresentato dall’esaurimento delle fonti di informazione consuete cui l’amministrazione interpellante avrebbe potuto accedere (art. 17, comma primo, DAC, il cui rispetto non è in discussione nel caso in esame).

Fra gli interventi più recenti, si segnalano la sentenza Berlioz e l’ultimo emendamento alla DAC (Direttiva Ue n. 2021/514, c.d. DAC 7), con l’introduzione dell’art. 5-bis, a migliore specificazione della nozione di prevedibile rilevanza. Pende, inoltre, la causa C-437/19 su un’ulteriore questione pregiudiziale sollevata dal Lussemburgo in tema di richiesta collettiva di informazioni (Domanda di pronuncia pregiudiziale, 27 luglio 2019, L c. État luxembourgeois, in merito alla quale sono state depositate le Conclusioni dell’Avv. Gen. Kokott del 3 giugno 2021). È questo, forse, il fronte più delicato del dibattito intorno alla nozione, per il rischio concreto che un’interpretazione di questo canone sì lata da ricomprendervi richieste di gruppo apra un varco a richieste di informazioni eccessivamente generiche. Questo profilo non è oggetto della pronuncia in commento, che è stata resa per un caso di richiesta “individuale”, relativa alla situazione della sola F.C. Giova però accennare al fatto che l’emendamento si autoqualifica come “chiarimento e codificazione della norma di prevedibile pertinenza concordata a livello internazionale”, per  «garantire l’efficacia dello scambio di informazioni ed evitare ingiustificati rifiuti di richieste, nonché per garantire la certezza del diritto sia per le amministrazioni fiscali che per i contribuenti» (Preambolo, § 3). Secondo la novella le informazioni sono prevedibilmente pertinenti se, «al momento della richiesta, l’autorità richiedente ritiene che, conformemente al diritto nazionale, vi sia una ragionevole possibilità che le informazioni richieste siano pertinenti per le questioni fiscali di uno o più contribuenti, identificati nominativamente o in altro modo, e siano giustificate ai fini dell’indagine» (art. 5-bis, comma primo, DAC). L’aspetto più innovativo della definizione riguarda l’apertura a richieste collettive, attraverso la possibilità di identificazioni alternative a quella nominativa. I commi successivi prevedono, infatti, che l’amministrazione interpellante debba specificare almeno il fine fiscale della richiesta e le informazioni necessarie per l’applicazione del diritto nazionale. Verrà inoltre modificato il formulario dello scambio su richiesta (ex art. 20 DAC), ammettendo richieste riguardanti «un gruppo di contribuenti che non possono essere identificati singolarmente», purché l’autorità interpellante fornisca almeno una descrizione dettagliata del gruppo, una spiegazione del diritto applicabile e dei fatti in base ai quali vi è motivo di ritenere che i contribuenti del gruppo non abbiano rispettato tali norme, un’illustrazione del modo in cui le informazioni richieste contribuirebbero a determinare la compliance (o meno) dei contribuenti e, se del caso, i fatti e le circostanze relative al coinvolgimento di una terza parte che abbia contribuito attivamente al potenziale mancato rispetto del diritto da parte del gruppo (art. 5-bis, comma 3, DAC).

Sul fronte delle richieste di tipo individuale si dibatte sull’onere motivazionale in capo all’amministrazione interpellante, sulla pervasività del controllo che l’amministrazione interpellata dovrebbe svolgere e su quali informazioni debbano confluire nella richiesta al terzo detentore affinché possa avvedersi di istruttorie troppo generiche.

In proposito, la sentenza Berlioz ha chiarito che l’autorità interpellata non può limitarsi a verificare la regolarità formale della richiesta, ma deve assicurarsi che le informazioni domandatele non siano prive di qualsiasi prevedibile pertinenza alla luce dell’identità del contribuente coinvolto e di quella del terzo eventualmente informato, e delle esigenze dell’indagine tributaria in questione. Viene riconosciuto all’amministrazione interpellante un certo margine di apprezzamento delle circostanze prevedibilmente rilevanti e dell’esaurimento delle fonti di informazione domestiche. Al contempo, viene ribadito che non si può imporre un onere eccessivo a carico dell’autorità interpellata. Alla luce di ciò, il controllo da parte di quest’ultima ed eventualmente del giudice all’uopo adito si limita alla verifica dell’assenza manifesta di pertinenza. Inoltre, per tutelare il detentore delle informazioni rispetto a richieste prive dei requisiti menzionati, non è necessario (né auspicabile, in vista di una buona riuscita dell’istruttoria) che costui sia messo a conoscenza del contenuto integrale della richiesta di informazioni (bensì solo del contenuto minimo ex art. 20, comma 2, DAC), che rimane segreta. L’accesso a tale documento deve essere invece garantito al giudice eventualmente adito dal detentore delle informazioni.

La sentenza annotata si pone in linea di continuità rispetto al precedente Berlioz, aggiungendo che le informazioni richieste nel caso di specie appaiono rilevanti ai fini dell’istruttoria spagnola, seppur relative a contratti, fatturazioni e pagamenti che non sono individuati con precisione. La prevedibile rilevanza si desume dal fatto che di tali operazioni sono comunque indicati il periodo di effettuazione, una parte contrattuale (ossia il detentore delle informazioni) e un «legame con il contribuente oggetto dell’indagine stessa». Inoltre, la valutazione sulla prevedibile rilevanza dev’essere – per definizione – prognostica (ossia condotta adottando una prospettiva ex ante), poiché «tanto la decisione quanto la richiesta [...] sono intervenute [...] nel corso della fase preliminare di [...] indagine, il cui scopo è di raccogliere informazioni di cui si suppone che l’autorità ricorrente non abbia una conoscenza precisa e completa». In altri termini, è «verosimile che talune delle informazioni [possano rivelarsi] in definitiva, al termine dell’indagine svolta dall’autorità richiedente, non pertinenti alla luce dei risultati dell’indagine stessa», ma ciò non può comportare l’illegittimità della richiesta originariamente formulata.

 

  1. Conclusioni.

L’unico presidio a tutela del contribuente è rappresentato dai precedenti esaminati, che declinano le libertà sancite dalla Carta di Nizza e dalla Cedu in una dimensione in continua espansione quale lo scambio di informazioni a fini fiscali. Limitando l’analisi al framework dell’Unione, si è evidenziato che la DAC – nonostante i numerosi e recenti emendamenti – non contiene una disciplina organica delle garanzie procedurali e sostanziali per i soggetti coinvolti nelle operazioni di cooperazione amministrativa, le quali vedono ancora protagonisti assoluti gli Stati, in qualità di soggetti del diritto internazionale pubblico, con un coinvolgimento scarso o nullo degli amministrati.

Le criticità evidenziate in merito allo scambio su richiesta sono in larga misura comuni ai meccanismi spontaneo e automatico, perlomeno laddove lo Stato destinatario delle informazioni, dopo aver ricevuto la prima tranche su iniziativa dello Stato estero, ne chieda un’integrazione (che deve soddisfare il canone di prevedibile rilevanza). In queste situazioni, l’attuale standard di prevedibile rilevanza è messo alla prova, poiché alcune categorie di informazioni scambiate in via automatica sono costituite da formulari che riportano meri dati quantitativi o una o poche frasi, da cui difficilmente il Paese ricevente può inferire la probabile pertinenza per le proprie attività istruttorie (requisito indispensabile per la richiesta di follow-up). A fronte di queste problematiche, la Commissione europea non fa mistero dell’esigenza in futuro di superare l’unico baluardo alle operazioni di “pesca a strascico” delle informazioni: in un suo report di valutazione sull’implementazione della DAC, in merito alla prevedibile pertinenza, si legge, infatti, che «designed to protect against ‘fishing expeditions’ one cannot rule out the possibility that in the future it may be desirable to allow more general requests for information. In this case, the need for maintaining the ‘foreseeable relevance’ requirement may disappear» [Commissione europea, Staff working document di valutazione della Direttiva UE n. 2011/16, SWD(2019) 327, 12 settembre 2019, 63. A testimonianza di questa intenzione, si richiama l’abbandono di uno standard rigoroso, in favore di una nozione che ammetta le richieste collettive di informazioni ed il tentativo – invece fortunatamente naufragato – di rimuovere del tutto il requisito di prevedibile rilevanza per le richieste di follow-up sui ruling/APA transfrontalieri (si confrontino, sul punto, la DAC 7 approvata e la proposta della Commissione del 15 luglio 2020, COM(2020) 314 final)]. L’adozione di uno statuto a tutela dei contribuenti non appare neppure tra le priorità indicate dalla Corte dei conti europea in una recente relazione speciale ex art. 287, comma 4, TFUE dedicata allo scambio di informazioni (Corte dei conti europea, Exchanging tax information in the EU: solid foundation, cracks in the implementation. Special Report, 2021).

Per concludere, è giusto il caso di precisare che con ciò non si intende trascurare in alcun modo il rischio concreto di comportamenti dilatori o finanche temerari, da parte dei soggetti coinvolti nello scambio di informazioni. Tuttavia, non è allargando le maglie della prevedibile pertinenza o negando diritti procedurali che si assicura il successo della cooperazione amministrativa fiscale. Col progressivo passaggio a forme di scambio automatico obbligatorio, si assiste al trasferimento cross-border di una mole di dati senza precedenti: se questa disponibilità di dati per le amministrazioni, da un lato, può essere dispersiva, dall’altro, agevola nuove strategie di controllo, basate sull’analisi degli indici di evasione, elusione e pianificazione aggressiva (anche attraverso l’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale in corso di sperimentazione in varie giurisdizioni, su cui cfr. Hey J., The Notion and Concept of Tax Transparency. General Report, in Hey J. – Başaran Yavaşlar F. (a cura di), Tax Transparency: 2018 EATLP Congress, IBFD, Amsterdam, 2019, 12-13). Il vasto contenzioso che quest’impostazione potrà generare pone il problema dell’adozione di un comune standard minimo di tutela dei soggetti coinvolti, sinora affidata agli ordinamenti dei singoli Stati membri. Peraltro, la Corte dei conti europea ha segnalato che sinora «le opportunità di condivisione delle migliori pratiche non sono sfruttate appieno e vi è carenza di orientamenti», in contrasto con l’art. 15 della DAC secondo cui gli Stati membri, insieme alla Commissione, devono vigilare sul corretto funzionamento della cooperazione amministrativa anche attraverso la condivisione delle loro esperienze, al fine di migliorarla e, ove opportuno, riformarla (Corte dei conti europea, Exchanging tax information in the EU: solid foundation, cracks in the implementation. Special Report, 2021, § 39-44). In questa direzione, uno spunto virtuoso proviene da ordinamenti, come quello tedesco, in grado di garantire, senza sacrificio per la speditezza, anche nelle procedure di scambio di informazioni, il diritto al contraddittorio preventivo (§ 117, comma 4, e § 91, comma 1, Abgabenordnung) e al ricorso al giudice (temperato dalla previsione di procedimenti cautelari, in luogo dei mezzi ordinari, ex § 114 Finanzgerichtsordnung ed EU-Amtshilfegesetz. A titolo esemplificativo, cfr. pronuncia Finanzgerichts Köln, 23 febbraio 2018, causa n. 814/17).