Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

05/01/2021 - Criticità sullo svolgimento dei giudizi tributari nel periodo dell’emergenza sanitaria alla luce dell’art. 27 del “Decreto Ristori”.

argomento: COVID-19 - Legislazione e prassi

L’art. 27 del Decreto Ristori introduce misure urgenti relative allo svolgimento del processo tributario, le quali tuttavia portano con sé diverse criticità. La formulazione dell’art. 27 appare caotica ed emergono rischi legati alla deroga al principio della pubblica udienza. Inoltre, manca una disciplina che stabilisca le modalità di svolgimento delle udienze per la trattazione sulla base degli atti, in alternativa all’udienza in collegamento da remoto. E, infine, si rilevano alcune problematiche legate all’esonero dei giudici dalla partecipazione alle udienze. Tali criticità potrebbero essere superate attraverso la concreta attuazione delle udienze da remoto, sulla scorta delle prescrizioni tecniche e procedurali dettate dal Decreto del Direttore Generale. Tuttavia, trattandosi di una modalità non ancora adottata in modo generalizzato, la soluzione più ragionevole è quella della trattazione in camera di consiglio, a meno che le parti non chiedano il rinvio della pubblica udienza.

PAROLE CHIAVE: pubblica udienza - udienza da remoto - processo tributario - camera di consiglio


di Antonio Viotto

  1. Con la pubblicazione del Decreto del Direttore Generale delle Finanze dell’11 novembre 2020 – recante le regole tecnico-operative per lo svolgimento delle udienze da remoto – sembra essersi avviata, almeno in teoria, verso una soluzione la querelle relativa allo svolgimento dei processi tributari, nel periodo dell’emergenza sanitaria, sorta a seguito dell’approvazione dell’art. 27 del D.L. n. 137 del 2020 (il c.d. Decreto Ristori) (vd. Ragucci G., I giudici tributari difendano i principi, e Sepe E., Scelta giustificata dall’emergenza, entrambi in Il Sole 24 Ore, 10 novembre 2020).

Le criticità sollevate dal Decreto Ristori attengono sia alla formulazione della norma, sia alle conclusioni cui l’intreccio delle disposizioni conduce.

Dal punto di vista espositivo, infatti, la norma appare piuttosto caotica, avvitata in un’inutile moltiplicazione di adempimenti e di passaggi che (almeno fino alla pubblicazione del Decreto Direttoriale) sembravano concepiti per arrivare a dire, sostanzialmente, che le cause tributarie in tempo di emergenza vanno trattate sulla base degli atti scritti.

L’art. 27, infatti, sembra inizialmente prospettare, come ordinaria modalità per celebrare l’udienza pubblica (va da sé, nel caso in cui questa sia stata richiesta da una delle parti), la trattazione in «collegamento da remoto», modalità che deve essere previamente autorizzata dal Presidente della Commissione. Come già avviene nel processo civile, dunque, si sancisce che la pubblica udienza (ma anche le udienze camerali e le camere di consiglio) si tenga tramite collegamento on line delle parti (tranne che per le camere di consiglio, ovviamente), dei giudici e del segretario, ognuno collocato davanti alla sua postazione.

E’ chiaro che si tratta di una modalità che necessita di una serie di accorgimenti e di cautele, per garantire la necessaria riservatezza e la più assoluta certezza circa l’identità dei partecipanti.

Ma non è questo il punto.

Il punto è che il secondo comma stabilisce che «in alternativa alla discussione con collegamento da remoto, le controversie fissate per la trattazione in udienza pubblica, passano in decisione sulla base degli atti». Dunque, il Governo ha immaginato l’eventualità che il collegamento da remoto non sia, per qualche motivo, praticabile o non sia voluto da una delle parti e ha concepito come soluzione alternativa la trattazione sulla base degli atti depositati.

Senonchè, dopo questi primi passaggi, avendo una delle parti in precedenza chiesto la trattazione in pubblica udienza, si precisa che la causa passa in decisione sulla base degli atti, «salvo che almeno una delle parti non insista per la discussione», con apposita istanza da notificare e depositare.

Qui scatta però un passo all’indietro: se una delle parti insiste per la discussione, infatti, si deve vedere se è possibile procedere mediante la trattazione da remoto e, se non lo è (come è probabile, visto che, altrimenti, non saremmo arrivati a questo punto), allora si torna di nuovo alla decisione sulla base degli atti depositati.

Dunque, nel perdurare dell’emergenza sanitaria, fino a quando non saranno approntate e implementate le soluzioni tecniche adeguate per la realizzazione delle udienze da remoto (previste dal D. Dir. 11.11.2020), le cause dovrebbero essere decise sulla base degli atti scritti depositati dalle parti.

Ora, tale soluzione va ad incidere sul precario equilibrio che si era raggiunto in merito alla scelta legislativa, sottesa all’art. 33 del D.Lgs. n. 546/92, incentrata sull’insindacabile diritto delle parti di chiedere la discussione in pubblica udienza, in alternativa alla regola della trattazione in camera di consiglio. Una scelta che aveva sollevato dubbi di legittimità costituzionale – poi rigettati dalla Corte nella sent. n. 260 del 1998 – rispetto all’art. 101 Cost., nella misura in cui rimette alla decisione delle parti l’attuazione di quel controllo dell’opinione pubblica su ogni manifestazione della sovranità statale che è alla base del precetto costituzionale (vd. Moschetti F., Profili costituzionali del nuovo processo tributario, in Riv. Dir. Trib., 1994, I, p. 853; Finocchiaro A. e M., Commentario al nuovo contenzioso tributario, Milano, 1996, p. 550-551; più in generale, sul tema vd. Miccinesi M. - Baglione T. – Menchini S., Il nuovo processo tributario – commentario, Milano, 2004; Glendi C., Nota a Cass. 11.5.2009, n. 10678, in Corr. Trib, 2009, p. 2049).

Senonchè, l’art. 27 del Decreto Ristori sposta tale punto di equilibrio verso un’ulteriore compressione dell’art. 101 Cost., introducendo la possibilità di decidere le controversie tributarie anche senza la pubblica udienza, ancorchè richiesta dalle parti, vuoi attraverso la trattazione da remoto, vuoi attraverso la decisione sulla base degli atti depositati.

Non che manchino le ragioni a sostegno della scelta dell’Esecutivo (ragioni che già in passato hanno condotto la Corte Costituzionale a legittimare eventuali deroghe al principio della pubblicità delle udienze: vd. sent. n. 80 del 2011), legate, da un lato, all’opportunità di consentire lo smaltimento del contenzioso e di contenere la durata dei processi, anche in tempo di crisi pandemica, e, dall’altro, alla necessità di giungere in tempi ragionevoli all’accertamento della verità processuale e dell’eventuale diritto dell’amministrazione di riscuotere quanto dovuto dal contribuente e quello dello stesso contribuente di vedere definitivamente acclarata la regolarità del proprio comportamento e comunque la non debenza di quanto accertato.

Tuttavia, a mio modo di vedere, dovremmo chiederci se tale deroga al principio generale della pubblicità delle udienze sia effettivamente necessaria, onde capire se la scelta legislativa sia in linea con il principio di proporzionalità. In tale prospettiva, mi pare dovrebbero essere adeguatamente soppesate le strade alternative, tra le quali il rinvio delle udienze pubbliche potrebbe costituire una soluzione transitoria accettabile, di fronte alla prospettiva di una durata temporalmente contenuta dello stato di impedimento legato alla crisi sanitaria (in base alla normativa in vigore, lo stato di emergenza dovrebbe infatti durare fino al 31 gennaio 2021, giusta quanto dispone il D.L. 125 del 2020). Detto in modo più diretto: non mi sembra che la decisione di rinviare di qualche mese le pubbliche udienze sarebbe tale da compromettere il funzionamento della giustizia tributaria ed il perseguimento delle suddette finalità, tanto più considerando che la situazione epidemiologica ha sensibilmente rallentato l’attività accertativa degli uffici e dovrebbe quindi aver limitato l’accumulo di cause pendenti avanti alle commissioni tributarie.

Inoltre, nel momento in cui si decide di derogare al principio generale della pubblica udienza, si dovrebbe tener conto che tale principio, oltre al controllo democratico circa l’amministrazione della giustizia (particolarmente importante in ambito tributario in considerazione della connotazione solidaristica dell’obbligazione che forma oggetto del giudizio), è altresì funzionale alla realizzazione di quelle esigenze che stanno alla base del riconoscimento (da parte dell’art. 33 del D.Lgs. n. 546/92) dell’insindacabile diritto delle parti di chiedere che la causa sia trattata pubblicamente, esigenze connesse all’esposizione orale delle rispettive ragioni, al confronto verbale con la controparte e, soprattutto, all’interlocuzione con il giudice (vd. altresì DURANTE N., L’udienza tributaria a distanza, in questa Rivista).

Sicchè, la deroga al principio della pubblica udienza dovrebbe quantomeno essere attuata minimizzando il sacrificio che si impone alla posizione processuale delle parti. Il che si realizza dando la massima applicazione alla regola della trattazione in collegamento da remoto, la quale non potrà di per sè consentire il controllo pubblico sullo svolgimento della causa (che comunque potrebbe tecnicamente essere realizzato consentendo il collegamento a chi fosse interessato), ma potrà almeno permettere quel contatto tra le parti e il giudice, che si ritiene non sia avulso rispetto all’art. 101 Cost. (vd. Scarselli G., In difesa della pubblica udienza in Cassazione, in Foro italiano, 2017, parte V, p. 30).

Ciò tanto più se si considera che il principio della pubblica udienza, che si declina anche nell’oralità del contraddittorio, pur non essendo  assoluto (e pur essendo, dunque, derogabile da parte del legislatore), rappresenta pur sempre un principio fondamentale consacrato dall’art. 6, par. 1, della CEDU, il quale può trovare applicazione anche nei processi concernenti sanzioni di carattere tributario (vd. Corte EDU, sent. 23.11.2006, Jussila c. Finlandia).

Mi pare sia, dunque, essenziale che l’emanazione dell’art. 27 sia accompagnata dall’immediata attivazione della modalità di discussione da remoto, dotando le aule delle commissioni, o i singoli giudici, delle strumentazioni tecniche necessarie per consentire il collegamento in video conferenza dei difensori e dei rappresentanti degli uffici e adottando i necessari protocolli di sicurezza informatica.

Sicchè, da questo punto di vista, il Decreto del Direttore Generale costituisce, come ho anticipato, un indubbio passo in avanti, anche se si tratterà ora di verificare se le Commissioni siano effettivamente in grado, dal punto di vista delle dotazioni tecniche, di effettuare le udienze a distanza.

E, nell’attesa che ciò avvenga, mi sembra che la soluzione più ragionevole – anche nell’ottica di contemperare le esigenze sopra indicate con il fondamentale diritto alla tutela della salute pubblica – dovrebbe essere quella di prevedere che le decisioni debbano essere assunte sulla base degli atti, a meno che le parti – sulle quali incombono sempre i doveri di lealtà e probità, la cui osservanza è valutata dal giudice – non chiedano il rinvio della trattazione, confermando così la scelta, a suo tempo operata, per la pubblica udienza.

In altri termini, il tortuoso percorso normativo che ho prima descritto avrebbe dovuto concludersi con il rinvio dell’udienza a nuovo ruolo, nel caso in cui non sia ancora possibile la trattazione da remoto e almeno una delle parti «insista per la discussione».

Senonchè, in sede di conversione del decreto, nessuna modifica è stata apportata dal Parlamento al discutibile testo governativo, con la conseguenza che l’eventuale rinvio della trattazione ad una pubblica udienza da celebrare al termine del periodo di emergenza è rimesso alla decisione delle singole Commissioni, di fronte alla responsabile iniziativa delle parti.

In particolare, a mio modo di vedere, tenendo conto di quanto sopra esposto, le Commissioni dovrebbero valutare con elasticità e con favore la richiesta di differimento proveniente dalle parti, escludendo il rinvio nei soli casi in cui non vi sia accordo tra le stesse e l’istanza di una di loro appaia meramente dilatoria.

Si potrebbe così giungere alla soluzione di minimizzare la compressione al principio fondamentale della pubblicità delle udienza, senza nel contempo sacrificare le esigenze sottese alla scelta legislativa operata con il Decreto Ristori.

Anche perché le criticità sollevate dal Decreto, cui il Parlamento non ha posto rimedio, non finiscono qui. 

 

  1. Vi sono infatti altri aspetti che il Decreto non chiarisce, creando delle lacune davvero pericolose per il corretto svolgimento dei giudizi.

Così, ad esempio, il Decreto non spiega come dovrebbe svolgersi l’«udienza» per giungere alla decisione, di merito e cautelare, sulla base degli atti.

Qui è chiaro che il Governo immagina un percorso, simile a quello che approda alla trattazione in camera di consiglio di cui all’art. 33 del D.Lgs. n. 546 del 1992, nel quale le parti possono presentare memorie (chiamate «conclusionali») nei dieci giorni (da calendario, e non liberi come per la trattazione in camera di consiglio ex art. 32, co. 2, del D.Lgs. n. 546) prima dell’«udienza» e poi memorie (chiamate «di replica») nei cinque giorni (da calendario, e non liberi come per la trattazione in camera di consiglio ex art. 32, co. 3, del D.Lgs. n. 546) prima dell’«udienza».

Ma, una volta che le parti abbiano depositato le loro «conclusionali» e le «repliche», come dovrebbe svolgersi quella che il Decreto continua a definire «udienza»?

Non essendoci la discussione pubblica, e fino a quando non sarà concretamente attivata la trattazione da remoto con il collegamento delle parti, v’è da immaginare che l’«udienza» per la «decisione sulla base degli atti» si svolga con la sola presenza dei giudici e del segretario della sezione: ma allora non si comprende quale differenza vi sia tra la trattazione sulla base degli atti (introdotta dall’art. 27, co. 2, del D.L. 137/20202) e la trattazione in camera di consiglio (già prevista dall’art. 33 del D.Lgs. n. 546), fatta eccezione per le modeste diversità nei termini per il deposito delle memorie.

Ciò a meno che non si voglia giungere alla conclusione – che però non trova riscontro nel testo del Decreto – che la decisione sulla base degli atti possa prescindere dal confronto tra i giudici o che la commissione possa formare il suo convincimento sulla scorta di un mero  scambio di mail o di fax o sulla base di un colloquio telefonico o di un collegamento con altro mezzo informatico, non disciplinato dal Decreto (come ha deciso di fare la Comm. Trib. Reg. di Roma, nella sent. 2685 del 23.9.2020, pubblicata in Il fisco, 2020, p. 4291, nella quale la camera di consiglio si è svolta da remoto mediante l’applicativo Microsoft teams, sulla scorta delle indicazioni diramate dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, con la delibera n. 1230/2020). Si tratterebbe, però, di una spinta verso l’informalità, al di fuori delle regole procedimentali e tecnico-operative necessarie per garantire la genuinità e la segretezza delle decisioni assunte (anche SEPE E.A., Il processo tributario emergenziale nel decreto “Ristori” e principi costituzionali, in Boll. Trib., n. 42/2020, solleva il problema dell’effettivo rispetto dell’obbligo alla segretezza con riferimento ai mezzi di comunicazione telematici non ufficiali).

Regole che sono ora contenute nel Decreto del Direttore Generale, il quale si riferisce allo svolgimento delle udienze a distanza, pubbliche o camerali, così come previsto dall’art. 27 del D.L. n. 137/2020 e dall’art. 16, comma 4, del D.L. n. 119/2018, che, a sua volta, riguarda sia le trattazioni in camera di consiglio, ex art. 33 del D.Lgs. n. 546, sia le udienze pubbliche, di cui al successivo art. 34. Dunque, il Decreto Direttoriale si dovrebbe applicare anche alle udienze dedicate alla trattazione delle cause sulla base degli atti depositati dalle parti, imponendo anche in questi casi l’adozione del programma informatico Skype for Business ed il rispetto delle altre prescrizioni dettagliate negli artt. 2, 3 e 4 (collegamenti tramite dispositivi che utilizzano esclusivamente infrastrutture e spazi di memoria collocati all’interno del sistema informativo della fiscalità (SIF) del Ministero dell’Economia e delle Finanze; collegamento audiovisivo con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone collegate; redazione del verbale di udienza in formato elettronico da parte del segretario, ecc.).

Anche da questo punto di vista, dunque, è necessario che il Decreto Direttoriale venga concretamente attuato da tutte le Commissioni tributarie, e fino a quando ciò non avvenga mi pare non vi siano alternative al fatto che la decisione sulla base degli atti debba essere assunta in una camera di consiglio da celebrare alla presenza fisica dei giudici e del segretario verbalizzante.

Il che induce, allora, a interrogarsi sul motivo per cui, una volta realizzata la presenza dei giudici e del personale di segreteria, non sia stato ritenuto possibile prevedere anche la presenza delle parti, sulla scorta di un opportuno scaglionamento delle udienze ad opera dei presidenti delle sezioni e delle commissioni e nel rispetto delle misure di sicurezza a tutti ormai note (tanto più che il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, nella delibera n. 1230/2020, ha ritenuto non vietate le udienze “in presenza”, anche nel periodo emergenziale, e ha diramato apposite raccomandazioni; nello stesso senso, vd. SEPE E.A., Il processo tributario emergenziale nel decreto “Ristori” e principi costituzionali, in Boll. Trib., n. 42/2020).

 

  1. 3. Inoltre, il fatto che la decisione sulla base degli atti presupponga la presenza fisica dei giudici e del personale di segreteria, quando non possa essere assunta tramite collegamento da remoto secondo le prescrizioni del Decreto Direttoriale, porta con sé un ulteriore problema.

Non va trascurato, infatti, quanto previsto dal terzo comma dell’art. 27, il quale stabilisce che «i componenti dei collegi giudicanti residenti, domiciliati o comunque dimoranti in luoghi diversi da quelli in cui si trova la commissione di appartenenza sono esonerati, su richiesta e previa comunicazione al Presidente di sezione interessata, dalla partecipazione alle udienze o camere di consiglio da svolgersi presso la sede della Commissione interessata».

Anche questa disposizione, pur nella sua semplicità, non brilla per precisione, dal momento che fa riferimento ai «luoghi» di residenza, domicilio o dimora diversi da quelli in cui si trova la Commissione, sicchè non si comprende se la possibilità di esonero dalla partecipazione alle udienze si verifichi per i giudici residenti, domiciliati o dimoranti in un «comune», in una «provincia», in una «regione» o anche solo in un quartiere (o in uno stabile), diversi dal sito in cui si trova la sede della Commissione. Né si comprende il riferimento al luogo di «dimora», il quale -  essendo il termine utilizzato dal Decreto in senso alternativo a quello di «residenza» (che, come si sa, è individuata dal codice civile dalla dimora «abituale») – sembrerebbe legittimare l’esonero anche per i giudici che, pur avendo residenza o domicilio nel «luogo» in cui si trova la Commissione, decidano di dimorare (cioè di abitare) temporaneamente altrove (senza ivi localizzare la propria residenza).

Neppure è chiaro se l’esonero competa al giudice di diritto, previa richiesta, o se debba essere autorizzato dal Presidente (e chi, eventualmente, dovrebbe esonerare il Presidente della sezione, qualora fosse lui stesso ad averne diritto), dal momento che la norma fa riferimento ad una «richiesta» (la quale presupporrebbe una risposta) e ad una «previa comunicazione» (la quale, invece, presupporrebbe una semplice presa d’atto), e non è nemmeno chiaro sulla base di quali criteri il Presidente dovrebbe eventualmente accettare o respingere la richiesta del giudice (ammesso e non concesso che l’autorizzazione sia necessaria).

Ed in questa situazione di incertezza circa la composizione del collegio giudicante, è concreto il rischio che – fino a quando non verranno concretamente realizzate le discussioni da remoto – le «udienze» per la trattazione sulla base degli atti subiscano dei rinvii – nel caso in cui i membri della sezione (specie se relatori delle cause) fossero esonerati dal recarsi presso la sede della Commissione o fossero impossibilitati a farlo a causa di provvedimenti restrittivi della circolazione e dei movimenti – ovvero il rischio che si debba ricorrere a sostituzioni dei membri delle sezioni, con una sostanziale alterazione della normale composizione dei collegi giudicanti, che a lungo andare potrebbe anche compromettere la funzionalità della sezione e la qualità dei giudizi.

 

4.In conclusione, mi sembra che l’art. 27 del Decreto Ristori porti con sé diverse criticità che vanno ad incidere sul processo di formazione delle decisioni dei giudici tributari, le quali potrebbero essere superate attraverso la concreta attuazione delle udienze da remoto, sulla scorta delle prescrizioni tecniche e procedurali dettate dal Decreto del Direttore Generale. Tuttavia, a mio modo di vedere, fino a quando detta modalità di trattazione delle cause non sarà adottata in modo generalizzato, piuttosto che concepire un (inutile) tertium genus (quello della trattazione sulla base degli atti) – che, peraltro, nella sostanza quasi per nulla si differenzia dalla trattazione in camera di consiglio – la soluzione più ragionevole sarebbe stata – e sarebbe tuttora – quella della trattazione in camera di consiglio, a meno che le parti – nel rispetto dei loro doveri di lealtà e probità – non chiedano il rinvio della pubblica udienza.