La Corte di Cassazione risolve le possibili interferenze tra gli strumenti di gestione della crisi d’impresa e l’inadempimento penalmente rilevante valorizzando l’effettività della tutela penal-tributaria, anche a scapito della par condicio creditorum. Così, la domanda di ammissione al concordato preventivo, di per sé, non scrimina l’omesso versamento Iva, salvo che il Tribunale fallimentare abbia negato l’autorizzazione al pagamento del debito fiscale richiesta dall’interessato.
Tale orientamento suscita riserve di rango sistematico circa la salvaguardia della coerenza e non contraddittorietà dell’ordinamento.
Preventive arrangement procedure, non-payment of vat and criminal liability The Supreme Court resolves possible interference with the Preventive arrangement procedure and the criminal breach in favor of penal tax protection, even to the detriment of par condicio creditorum.
Thus, the request for admission to the procedure, in itself, does not eliminate the omitted VAT payment, unless the Court has denied the authorization to pay the tax debt as requested by the taxpayer.
This jurisprudential orientation raises doubts about the coherence and non-contradictory nature of the legal system.
1. In primo luogo occorre brevemente ripercorrere la vicenda in esame. Il giorno 2 maggio 2018 una s.r.l. in crisi di liquidità propose ricorso per concordato preventivo “in bianco” riservandosi il deposito del piano di ristrutturazione del debito nel termine stabilito dal Tribunale fallimentare che, in via provvisoria, dispose che per i pagamenti superiori alla soglia di 50.000,00 euro sarebbe stata necessaria l’autorizzazione giudiziale. Il piano, comprendente anche una proposta di transazione fiscale, è stato depositato il 29 novembre 2018; quindi, una volta valutata la fattibilità giuridica (e non anche economica) del piano, il 26 giugno 2019 Tribunale fallimentare dispose l’ammissione della società alla procedura concorsuale valorizzando il promesso apporto di finanza esterna. Nelle more del procedimento di composizione della crisi, il 27 luglio 2018 la società presentò telematicamente il modello IVA 2018 per l’anno 2017 ove liquidata in 521.440,00 euro l’imposta dovuta e non versata nei termini in assenza di liquidità. Da qui, sulla base della notizia di reato riconducibile al delitto di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 contestata all’amministratore unico, scaturì la richiesta dell’inquirente di emissione del decreto di sequestro preventivo e, in accoglimento della richiesta, in data 8 luglio 2021 il GIP dispose il vincolo reale finalizzato alla confisca diretta delle somme di denaro nella disponibilità della società e, in via subordinata, della confisca per equivalente dei beni riconducibili all’indagato fino a concorrenza delle imposte evase. Con ordinanza del 29 luglio 2021, il Tribunale del riesame annullò il vincolo reale per insussistenza del fumus commissi delicti del reato contestato riconoscendo l’operatività della scriminante di cui all’art. 51 c.p., con ciò aderendo a quell’orientamento minoritario secondo cui l’effetto inibitorio al pagamento dei debiti anteriori e, tra questi, anche delle esposizioni nei confronti dell’erario, è ricavabile già dal combinato disposto di cui agli articoli 167 e 168 della L.F. senza necessità di alcun provvedimento specifico da parte del Tribunale fallimentare. La Cassazione accolse invece il ricorso del Procuratore della Repubblica sul rilievo che la scriminante dell’adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell’autorità di cui all’art. 51 c.p. sia apprezzabile soltanto là dove il provvedimento del tribunale, che abbia vietato o comunque non autorizzato la richiesta di pagamento dei suddetti debiti avanzata da parte dell’interessato, sia intervenuto prima della scadenza del termine per il versamento delle imposte rilevante a fini penali.
2. Il focus sul quale si incentra la questione all’esame della Suprema [continua..]