Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

20/12/2022 - Principio di offensività e bene giuridico sotteso alle fattispecie sanzionatorie amministrative tributarie: brevi considerazioni a margine di una recente pronuncia resa dalla Corte di Cassazione

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 3 maggio 2022, n. 13908, ha confermato l’orientamento interpretativo secondo cui, nell’eterogeneo sistema sanzionatorio tributario, al fine di distinguere le violazioni formali da quelle sostanziali è imprescindibile accertare ex post se la condotta dell’agente abbia cagionato o meno un nocumento all’interesse fiscale, incidendo sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta o del versamento del tributo. Qualora tale pregiudizio non fosse integrato, la violazione deve essere ricondotta nell’alveo delle infrazioni “formali” alla luce del danno che la stessa può nondimeno arrecare al corretto esercizio delle azioni di controllo e dei correlati poteri di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria.

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PAROLE CHIAVE: principio di offensività - interesse fiscale - violazione sostanziale - violazione formale - violazione meramente formale


di Giulio Garofalo

  1. Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione è nuovamente intervenuta sulla declinazione del principio di offensività nel sistema sanzionatorio amministrativo tributario, ribadendo il principio di diritto, enunciato a più riprese, concernente la “tripartizione” radicata nell’ordinamento tributario italiano in tema di violazioni per contrarietà a disposizioni poste a presidio degli interessi erariali.

Come noto, la razionalizzazione e unitarietà del sistema sanzionatorio è l’esito di un’importante evoluzione storica che si è sviluppata nel secolo scorso, nell’ambito della quale si sono cercati di coniugare gli aspetti peculiari della materia tributaria e i principi generali della disciplina sanzionatoria (il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 riprende i principi racchiusi nel sistema sanzionatorio rinvenibili nella L. 24 novembre 1981, n. 689, in materia di illecito amministrativo, contraddistinguendosi per fondare un sistema para-penale nel quale vengono fatti confluire il principio di tassatività, il divieto di retroattività della norma sfavorevole e l’applicabilità della legge più favorevole nei casi di successione delle leggi penali nel tempo, il principio di colpevolezza e di non rimproverabilità dell’agente per i casi in cui vi sia l’impossibilità di conformarsi al precetto).

Su tale spinta ottimizzatrice della frammentarietà caratterizzante il sistema sanzionatorio tributario, che ha altresì interessato il comparto penale delle imposte con la promulgazione del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si è innestata la L. 27 luglio 2000, n. 212 c.d. “Statuto del contribuente”. Il Legislatore, da un lato, ha definitivamente scolpito in una legge ordinaria principi disseminati nel sistema impositivo e, dall’altro lato, è intervenuto nuovamente con l’art. 10, comma 3, sull’apparato sanzionatorio tributario da poco coniato (per un maggiore approfondimento in materia si vedano Del Federico, Statuto del contribuente, illecito tributario e violazioni formali, in Rassegna Tributaria, 2003, p. 855 ss. e Miceli, Le violazioni meramente formali, in Fantozzi-Fedele (a cura di), Statuto dei diritti del contribuente, 2005, p. 583 ss.) stabilendo la non punibilità di quei comportamenti che si traducono “in una violazione formale senza alcun debito d’imposta”.

In “attuazione” di tale principio, è stato inserito, attraverso il D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, un comma 5-bis all’art. 6 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 il quale dispone che “non sono inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo”.

Il problema che involge questa tipologia di violazioni atterrebbe principalmente il perimetro applicativo e l’interdipendenza delle disposizioni testé richiamate, sulla scorta del fatto che l’art. 10, comma 3 della L. n. 212/2000 rappresenterebbe una norma c.d. programmatica, insuscettibile di trovare immediata applicazione essendo, invece, l’art. 6, comma 5-bis la connessa disposizione di attuazione, adottata in forza della valvola normativa recata dall’art. 16 della L. n. 212/2000.

Non è questa la sede per esaminare approfonditamente le diverse posizioni dottrinali formatesi sull’annoso problema della coesistenza tra le due disposizioni (sul punto si veda Pagani, Distinzioni tra violazioni formali e meramente formali: conseguenze ai fini del diverso trattamento sanzionatorio, in Il Fisco, 2011, p. 4184); ciò che invece occorre evidenziare è l’impatto dirompente arrecato dalla norma statutaria che ha finalmente permesso il pieno esplicarsi di una concezione sostanzialistica dell’illecito amministrativo tributario, tesa a garantire maggiore trasparenza e collaborazione tra Fisco e contribuente, tendendo a salvaguardare quest’ultimo dal rigore formalistico che ha imbevuto a lungo la materia tributaria e che ha sovente condotto all’irrogazione di sanzioni sproporzionate a fronte di semplici violazioni formali nonostante l’assenza di qualsiasi depauperamento per l’Erario.

  1. Nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia nei confronti di una società operante nel settore tessile, dolendosi come unico motivo di ricorso della nullità della sentenza impugnata per vizio motivazionale radicale asserendo che il giudice tributario di appello non avrebbe illustrato funditus le ragioni di merito in base alle quali la società avrebbe effettivamente sostenuto dei costi, come espressamente richiesto dall’art. 110 TUIR (nella versione ratione temporis vigente), per operazioni con soggetti residenti in Paesi inseriti nella black list.

 Nel giudizio di prime cure, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano accoglieva parzialmente il ricorso della società, ritenendo che la ricorrente avesse adempiuto a quanto prescritto in tema di prova liberatoria in ordine all’effettivo sostenimento dei costi per operazioni con soggetti attivi in Paesi inseriti nella black list mentre non riteneva meritevoli di accoglimento le doglianze sollevate in relazione all’imputazione temporale di alcuni costi per aperto contrasto con la normativa recata dall’art. 109 TUIR.

 La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia confermava la statuizione di prime cure rigettando integralmente gli appelli. Il giudice del gravame, in particolare, con riferimento alla prova liberatoria prevista dall’art. 110 TUIR ai fini del riconoscimento dell’esimente per la deducibilità dei costi sostenuti in operazioni con soggetti operativi in Paesi inseriti nella black list, riteneva la medesima adempiuta essendo stata dimostrata l’effettiva attività commerciale svolta dalle contraenti estere; reputava al tempo stesso non imputabili i costi sostenuti per la spedizione di alcuni beni al periodo d’imposta 2006 poiché in tema di reddito d'impresa, le regole sull'imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dall'art. 109 TUIR, sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la deduzione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza.

L’Amministrazione Finanziaria ricorreva così per Cassazione, lamentando la nullità della sentenza per vizio motivazionale radicale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Resisteva con controricorso la società, che proponeva contestualmente ricorso incidentale affidato a due motivi.

 La Corte di Cassazione rigettava il ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale, accoglieva quest’ultimo per quanto attinente al secondo motivo concernente il mancato pronunciamento sulla richiesta di annullamento delle sanzioni irrogate per assenza di danno erariale ai sensi degli artt. 10, comma 3, della L. 27                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    luglio 2000, n. 212 e 6, comma 5-bis, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Commissione Tributaria Regionale competente in diversa composizione.

  1. Il caposaldo della decisione è da rintracciare nella cristallizzazione giurisprudenziale del principio di diritto per il quale, nell’ambito del complesso e denso sistema sanzionatorio tributario, il discrimen tra le violazioni sostanziali e formali è fondato su di un criterio eminentemente sostanziale con accertamento del medesimo da condurre ex post.

Assodato ciò, la Corte di Cassazione, in linea con un consolidato filone nomofilattico (Cass., nn. 1692/2022, 16450/2021, 28938/2020, 901/2019), ribadisce l’orientamento secondo il quale, nel nostro ordinamento sanzionatorio, esisterebbero tre diverse tipologie di violazioni: le violazioni sostanziali, quelle meramente formali e, da ultimo, le violazioni formali.

Le prime sono da considerarsi pienamente punibili e possono “accedere” soltanto a forme di temperamento rispetto al concorso materiale, quali il cumulo giuridico enucleato per il concorso formale omogeneo o eterogeneo di violazioni e quella della progressione sancita dall’art. 12, comma 2, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472; le seconde, al contrario, non possono essere considerate punibili sulla scorta del fatto che le stesse sarebbero sprovviste tout court di offensività, sia per quanto attiene l’esatta determinazione della base imponibile, dell’imposta e del versamento del tributo, sia per quanto concerne l’attività di controllo demandata all’Amministrazione finanziaria.

Da ultimo, gli Ermellini hanno ritratto dall’intelaiatura legislativa una terza categoria costituita, per l’appunto, dalle violazioni formali, le quali, a differenza di quelle meramente formali, devono essere sanzionate in forza, proprio, dell’art. 12, comma 1, ultima parte, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, seppur soggette ad un attenuato rigore afflittivo in virtù dell’applicazione del cumulo giuridico in luogo del cumulo materiale.

Tra di esse, volendo enucleare i tratti distintivi, possono essere ricomprese tutte le violazioni offensive solo potenzialmente, che, come tali, non incidono in concreto sulla determinazione dell’imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo, bensì sono idonee data comunque la loro contrarietà a precetti posti dal Legislatore fiscale di arrecare un pregiudizio per le attività di controllo demandate agli enti impositori (sul punto cfr. Montanari, Le violazioni di obblighi formali documentali e contabili nelle imposte dirette e nell’IVA, in Aa. Vv. (diretto da Giovannini) Trattato di diritto sanzionatorio, 2016, Tomo II, p. 1730).

Sebbene nel caso in esame il giudice d’appello avesse erroneamente omesso di pronunciarsi sulla doglianza avanzata dalla società in ordine alla mancata integrazione del danno erariale, la pronuncia permette di effettuare alcune considerazioni sul principio di civiltà giuridica rappresentato dal postulato dell’offensività e sul bene giuridico tutelato dal medesimo in ambito fiscale.

Infatti, ciò che permette all’interprete di scremare le diverse fattispecie sanzionatorie ad avviso della Suprema Corte è, proprio, l’accertamento del principio di offensività, ovverosia di quel noto criterio in forza del quale l’irrogazione di una sanzione è tollerata dai consociati e si giustifica sistematicamente solo se e quando il comportamento contra ius leda (o rischi di compromettere in modo tangibile) un bene avente una propria rilevanza corale e istituzionale (e nell’ordinamento repubblicano, di regola, una propria rilevanza costituzionale); di talché, ove suddetta carica lesiva risulti insufficiente nell’analisi della fattispecie positiva, l’irrogazione della sanzione si rivela ingiustificata perché finisce per mascherare l’atavica punizione di un mero atto di disubbidienza (dolosa o colposa) da parte dell’agente (per un maggiore approfondimento sul principio di offensività si veda Melis, Gli interessi tutelati, in Aa. Vv. (diretto da Giovannini) Trattato di diritto sanzionatorio tributario, 2016, Tomo II, p. 1293 ss.).

Taluni arresti giurisprudenziali destano alcune perplessità ma, al di là dell’iter argomentativo non sempre lineare, giungono, poi, a conclusioni nel complesso condivisibili. Orbene, secondo un orientamento della Suprema Corte (sul punto cfr., ex multis, Cass., nn.  14401/2014, 8044/2013), in base al combinato disposto di cui agli artt. 10, comma 3, L. del 27 luglio 2000, n. 212 e 6, comma 5-bis, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, l’accertamento del principio di offensività deve essere condotto in base all’idoneità ex ante della condotta, da apprezzare in termini di pericolosità fiscale, a compromettere le azioni di controllo dell’Amministrazione finanziaria, ciò in virtù della ratio sottesa alla sanzionabilità delle violazioni formali che risiederebbe nell’esigenza di assicurare obblighi atti, nonostante il loro carattere formale, a permettere di conseguire efficacemente gli obiettivi ordinamentali rappresentati dall’esatta riscossione dei tributi, nonché di evitare evasioni d’imposta.

Tale interpretazione giurisprudenziale tende, dunque, ad allineare le disposizioni suddette configurando la norma statutaria come sprovvista di immediata precettività e sovrapponendo alla medesima la disposizione racchiusa nell’art. 6, comma 5-bis, la quale dovrebbe, pertanto, essere interpretata come concreto e diretto manifestarsi della previsione statutaria (cfr., altresì, Cass. n. 27678/2013).

 Appare, tuttavia, che la ricostruzione operata da codesta giurisprudenza presti il fianco a due ordini di censure. In primo luogo, da un punto di vista letterale, la formulazione della norma statutaria sarebbe differente e più ampia di quella contenuta nel D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 non potendo, perciò, costituire attuazione del principio programmatico fissato dalla prima la quale poi si connoterebbe per quella vis privilegiata in termini di orientamento interpretativo. In secondo luogo, da un punto di vista logico sistematico, risulta evidente che mentre l’asserita disposizione attuativa rileva in una dimensione strutturale ed ex ante – andando a definire in astratto una ben tipizzata categoria di violazioni formali che non ledono né l’interesse alla corretta riscossione del tributo né il corretto esercizio dell’attività di controllo – la disposizione statutaria, invece, assumerebbe spessore in una prospettiva ex post sulla base degli effetti scaturenti dal comportamento del trasgressore.

In altri termini, l’art. 10, comma 3 e l’art. 6, comma 5-bis, si porrebbero su binari paralleli e sarebbero intesi a disciplinare fenomeni parzialmente diversi tra loro: il primo escluderebbe la punibilità di violazioni sostanziali che perderebbero la propria offensività in quanto, in concreto, non determinerebbero un minor debito d’imposta; il secondo sancirebbe la non sanzionabilità di violazioni intrinsecamente formali ma che, secondo un giudizio ex post, non intralcerebbero l’attività istruttoria (e di monitoraggio) piuttosto che di accertamento in senso stretto. Quindi, la norma statutaria e l’art. 6, pur mostrando un differente ambito applicativo, sono entrambe finalizzate a escludere la punibilità di comportamenti innocui sotto il profilo degli effetti (in tal senso si veda Stevanato, La non punibilità delle violazioni meramente formali nello Statuto, in Aa. Vv., Consenso, equità e imparzialità dello Statuto del contribuente. Studi in onore del Prof. Gianni Marongiu, 2012, p. 529): la prima, di quelli sostanziali connessi alla determinazione della base imponibile e dell’imposta; la seconda, di quelli procedimentali.

Così intese, le disposizioni considerate consentirebbero di affermare che il sistema sanzionatorio amministrativo tributario è strutturato in guisa da impedire che siano soggette a potestas afflittiva le condotte realmente inoffensive, a prescindere dalla categoria di appartenenza delle violazioni che integrano. E giustamente, non ravvisandosi alcuna ragionevolezza nell’irrogazione di una sanzione a una condotta inoffensiva, quale che sia il tipo di violazione configurabile.

Una soluzione appagante sul piano sistematico potrebbe essere quella di definire gli obblighi come quelli posti a presidio dell’attività di accertamento e controllo (in senso lato), senza che, necessariamente, la violazione di tali obblighi si sostanzi sempre e comunque, in un comportamento privo di offensività. È chiaro che, nella lettura propinata, tanto gli obblighi formali quanto quelli sostanziali, devono essere posti a presidio di principi fondamentali dell’Ordinamento, essendo al contrario inaccettabili regimi sanzionatori connessi a condotte inoffensive.

In buona sostanza, il mancato rispetto di un obbligo formale determina la punibilità della condotta nella misura in cui il comportamento del contribuente ha, in concreto, leso il bene giuridico tutelato, ovvero il corretto esercizio dell’attività istruttoria e di accertamento nel quadro dell’art. 97 della Costituzione.

Ebbene, volgendo lo sguardo su quale sia il bene giuridico tutelato dall’apparato sanzionatorio amministrativo tributario, è d’uopo segnalare che si è assistito a un lungo e acceso dibattito dottrinale (si vedano Boria, L’interesse fiscale, 2002, p. 368; Puri, Illecito fiscale, Dig. IV, disc. priv., sez. comm., p. 479 e Montanari, La dimensione multilivello delle sanzioni tributarie e le diverse declinazioni del principio di offensività-proporzione, in Riv. dir. trib., 2017, p. 471 ss.). Ad ogni modo, si può affermare sinteticamente che l’oggetto di tutela, al cui presidio è approntato l’intero sistema sanzionatorio tributario, sia sostanzialmente poliedrico: ovverosia, da un lato, taluni illeciti amministrativi tributari tendono a offendere la sfera patrimoniale dell’Erario volta alla percezione dei tributi e, dall’altro, talune norme sanzionatorie sono spiccatamente finalizzate a neutralizzare eventuali danni all’esercizio della funzione di controllo e di accertamento, vale a dire a contrastare condotte che si collocano in antitesi alla cosiddetta trasparenza fiscale. Il perimetro del principio di offensività come declinato in materia sanzionatoria tributaria extrapenale può essere individuato all’interno di tali confini; sicché eventuali condotte che risultino in concreto innocue rispetto a entrambi i menzionati beni giuridici costituiscono situazioni carenti di offensività e, come tali, non meritevoli di una reazione punitiva.

  1. Le conclusioni raggiunte dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza qui annotata sono pienamente condivisibili e si pongono in continuità con la prevalente giurisprudenza di legittimità.

Secondo la Suprema Corte, il principio di offensività non può e non deve essere valutato, esclusivamente, nella sua visione statica come mero parametro di garanzia e di tutela: quest’ultimo, invero, costituisce il grimaldello interpretativo che deve orientare gli operatori del settore per la promozione e raggiungimento di obiettivi vitali per la societas e meritevoli di guarentigia, anche volendo considerare una logica utilitaristica – preventiva della sanzione.

Ebbene, la chiave di lettura fondamentale deve essere l’individuazione degli interessi a protezione dei quali è prevista una determinata sanzione, in ragione di esigenze sempre nuove e poliformi, sia sul piano assiologico, sia applicativo.

È un dato di fatto inequivocabile che l’Amministrazione Finanziaria irroga le sanzioni amministrative tributarie in maniera meccanica, metallica, senza alcuna profilatura del contribuente e con il non dichiarato obiettivo di fare gettito, insieme con il tributo.

In tale prospettiva, come confermato dalla Corte di Cassazione, è assolutamente centrale il principio di offensività grazie al quale è possibile, per un verso, verificare se una data sanzione trovi idonea giustificazione già sul piano della individuazione degli interessi tutelati, delle modalità di tutela e della efficacia della misura e, per l’altro verso, interpretare e applicare nel modo corretto la normativa esistente evitando pericolose derive nella direzione di quelli che potremmo plasticamente definire automatismi applicati delle sanzioni, retaggio di una visione della sanzione amministrativa tributaria meramente risarcitoria, oggi non più tollerabili.