Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

21/05/2022 - L’agevolazione “acquisto prima casa giovani under 36”, tra Isee e capacità contributiva, agevolazioni generali e speciali e problemi applicativi

argomento: Agevolazioni - Legislazione e prassi

La disciplina dell’agevolazione “acquisto prima casa under 36” consente di affrontare alcune tematiche generali, tra le quali l’approvazione di norme agevolative con decreti legge, la rilevanza dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente e il rapporto tra norme agevolative generali e speciali.

PAROLE CHIAVE: Agevolazione - prima casa - isee - decreto-legge


di Guido Salanitro

  1. Il cd. decreto legge sostegni bis ha introdotto nel 2021 una nuova agevolazione in tema di imposta di registro, la cui durata è stata prorogata con la recente legge di bilancio per il 2022 (art. 1, comma 62 legge 30 dicembre 2021 n. 234) al 31 dicembre 2022. In particolare, l’art. 64, dal comma 6 al comma 11, del D.L. 25 maggio 2021 n. 73, convertito con la legge n. 123 del 25 maggio 2021, ha disposto una disciplina particolarmente agevolata per gli acquisti a titolo oneroso di abitazioni da parte di soggetti che non hanno ancora compiuto trentasei anni di età nell’anno in cui l’atto è rogitato, prevedendo l’esenzione dall’imposta di registro e dalle imposte ipotecaria e catastale e, per le cessioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, un credito d'imposta di ammontare pari all’Iva corrisposta in relazione all’acquisto.

La norma pone una serie di problemi tecnici e applicativi, ma anche alcuni aspetti di rilevanza generale che vanno al di là della norma e della sua transitorietà.

In primo luogo, l’agevolazione è stata introdotta con un decreto legge.

L’art. 4 dello Statuto del contribuente prevede che non si può disporre con decreto legge l’istituzione di nuovi tributi né prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti. Si ritiene che la norma che sia espressiva di un principio ricavabile dall’art. 23 della Costituzione dal quale si desumerebbe che i decreti legge, essendo approvati dal Governo e non dal Parlamento, non possono incrementare il carico tributario.

La norma in esame non incrementa il carico fiscale, piuttosto lo riduce; si potrebbe quindi ritenere che non rientra nel divieto contemplato dallo Statuto, così come qualsiasi disposizione agevolativa. Quest’assunto lascia però perplessi perché con ogni norma tributaria, comprese quelle agevolative, si ripartiscono tra “Tutti” le spese pubbliche, in conformità all’art. 53 della Costituzione. Se si ritiene che questo riparto vada fatto dal Parlamento, e non dal Governo, e con un procedimento, come quello legislativo ordinario, che garantisca riflessione e ponderazione, anche le agevolazioni vanno riservate alla legge in senso formale. Sul piano pratico, peraltro, l’approvazione attraverso decreti legge facilita norme redatte in modo frettoloso e non coordinate con il preesistente impianto normativo, e rende aleatorie le agevolazioni per il caso della mancata conversione o conversione con modifiche; inoltre, una disciplina frettolosa e lacunosa amplia lo spazio del potere interpretativo dell’Agenzia delle Entrate, come puntualmente è avvenuto anche nel caso in esame. È vero che la norma, come buona parte delle disposizioni dello statuto del contribuente, ha valenza sostanziale di raccomandazione per il futuro legislatore, in quanto il divieto stabilito dall’art, 4 può essere derogato da leggi successive; trattandosi, però, di norme qualificate come di carattere ordinamentale, sarebbe opportuno tenerle in considerazione.

In secondo luogo, la norma è stata criticata in quanto creerebbe una disparità di trattamento basata sull’età con conseguente violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione.

Com’è ampiamente noto, è discusso il rapporto tra le agevolazioni tributarie e l’art. 53. Prevalente sembra l’idea che l’agevolazione sia ammissibile qualora giustificabile con altri principi di rango costituzionale e non determini differenziazioni irragionevoli.

In tale prospettiva, l’unico riferimento ai giovani che si riscontra nella Costituzione è nel secondo comma dell’art. 31 della Costituzione per il quale la Repubblica “Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.

A prima vista, il richiamo alla norma può apparire fuori luogo, in quanto tradizionalmente diretta alla tutela dei minori, nell’ambito delle famiglie, in particolare quelle numerose.

Ma la nozione di “gioventù” è in continua evoluzione e nulla impedisce di inserirvi i minori di anni 36. Né gli istituti necessari, richiamati dalla Costituzione, devono essere esclusivamente di natura educativa o assistenziale.

Peraltro, se il richiamo al secondo comma può apparire fuorviante, sicuramente rileva il primo comma dell’art. 31, laddove prevede che la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia, ed è indubbio che sono i giovani a costituire le famiglie e che, nella comune opinione, la proprietà della casa è un requisito importante, se non indispensabile. Né si può obiettare che la agevolazione è usufruibile anche dal cd. single, perché il legislatore non può che limitarsi a individuare uno strumento per creare le condizioni per la costituzione della famiglia.

Rilevano, inoltre, l’art. 42, secondo comma, della Costituzione, laddove prevede che la legge determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurare la funzione sociale e di rendere la proprietà privata accessibile a tutti; e l’art. 47 comma secondo, dove si dispone di favorire l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione. Non si può considerare irragionevole un legislatore che, preso atto della difficoltà dei giovani di acquistare una casa, li agevoli con un azzeramento dei relativi tributi.

Peraltro, è stata già vigente l’agevolazione per i giovani agricoltori (legge 441/1998), dove a seguito di varie riforme si era arrivati all’età non superiore a 40 anni.

Piuttosto, lascia perplessi il continuo aumento delle agevolazioni in materia tributaria e in particolare nelle imposte indirette. Alcuni anni fa il legislatore aveva provato a ridurre e razionalizzare le agevolazioni nel settore delle imposte di registro, riuscendo a fare quello che ad oggi è solo auspicato nel settore delle imposte sui redditi (vedi l’art. 10 del d.lgs. n. 23 del 14 marzo 2011, in forza della delega approvata con l’art. 2 comma 1 legge 5 maggio 2009 n. 42, che richiedeva razionalità e coerenza dei singoli tributi e del sistema tributario nel suo complesso con applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2014, ed in particolare il comma 4 per il quale sono soppresse tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie, anche se previste in leggi speciali).

Ma l’intervento normativo è durato pochissimo e in breve tempo si è assistito ad una continua introduzione di nuove agevolazioni, spesso, come questa in esame, senza neanche inserirle nella tariffa (tant’è che in dottrina si è richiamata la figura dell’araba fenice: V. MASTROIACOVO, La soppressione delle agevolazioni per i trasferimenti immobiliari nell’imposta di registro e l’araba fenice, in Corr. Trib., 2016, n. 7, 531 ss.). Abbandonando non solo ogni pretesa di razionalizzazione, ma anche quelle esigenze di semplificazione e di certezza che sono indispensabili nella materia tributaria.

 

2.Oltre alla giovane età, la norma richiede l’Isee non superiore a 40.000,00 euro. In tal modo si introduce, credo per la prima volta, una misura di progressività in un‘imposta tradizionalmente proporzionale. Ma la si introduce, e questo è l’aspetto scientificamente più interessante, non con riferimento all’ammontare del corrispettivo, o del valore catastale, o tutt’al più del vetusto valore venale, come avrebbe fatto un qualsiasi buon tributarista, e neppure al reddito, forse qui fuori luogo, ma all’Isee.

È forse la prima agevolazione che in materia tributaria fa riferimento all’Isee, eccezion fatta per qualche rara e introvabile disposizione in tema di riscossione coattiva e tassa sui rifiuti.

Come recita l’art. 2 del d.p.r. n. 153 del 5 dicembre 2013, l'ISEE è lo strumento di valutazione, attraverso criteri unificati, della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate. L'ISEE è calcolato, con riferimento al nucleo familiare di appartenenza del richiedente, in base alla specifica composizione del nucleo familiare. È dato, in linea di massima, dalla somma dell'indicatore della situazione reddituale, e della situazione patrimoniale.

Non è strumento tributario in senso proprio, come risulta chiaramente dalle varie norme del citato dpr, ed infatti non è trattato nei più diffusi manuali di diritto tributario, ed è trascurato nelle più recenti monografie in tema di fiscalità della famiglia, per quanto si è potuto verificare (vedi, però, R. LUPI, Diritto amministrativo dei tributi, per il quale l'Isee è uno strumento di misurazione della condizione economica "Inverso", cioè relativo all'erogazione di sussidi e agevolazioni in presenza di segnali negativi di forza economica, inverso rispetto a chiedere imposte in presenza di segnali positivi di forza economica. In quest’ottica, potrebbe essere strumento di esonero, non elemento di commisurazione del tributo). Forse il richiamo all’Isee è sintomo della difficoltà di rappresentare la ricchezza attraverso la dichiarazione dei redditi, e in particolare della capacità contributiva di una famiglia. Non è questa la sede per discutere se è opportuno o meno, ma pare evidente che si è aperta una breccia che potrebbe trovare applicazioni future nel sistema delle imposte indirette sui trasferimenti e, perché no, delle imposte dirette sui redditi. E con il quale il Notariato, e in generale lo studioso di diritto tributario, dovrà imparare a confrontarsi. Tenendo anche presente che, dando rilevanza agli aspetti patrimoniali oltre che a quelli reddituali, utilizzato ai fini fiscali (e forse anche già adesso ai fini delle prestazioni sociali), incide in modo particolare sui criteri di riparto delle spese in relazione alla capacità contributiva.

 

  1. Procedendo nell’analisi della nuova disciplina, la prima questione interpretativa da affrontare, avente anch’essa una valenza generale, e che è subito sorta nella prassi applicativa, è la natura dell’agevolazione, se autonoma e distinta rispetto a quella tradizionale della prima casa, oppure una species rispetto al più ampio genus, o se si preferisce una fattispecie complessa nella quale entrambe le agevolazioni sono comprese.

Nel senso di un’agevolazione autonoma gioca la ricostruzione tradizionale delle agevolazioni, ciascuna avente una sua disciplina specifica con riguardo ai presupposti e agli effetti, dalla quale discende una deroga alla disciplina generale.

Nel senso di un’agevolazione particolare nell’ambito di una più ampia (o di una fattispecie complessa) opera la parziale corrispondenza fra le due fattispecie, in quanto chi chiede la nuova agevolazione deve avere requisiti della agevolazione generale, oltre a quelli specifici.

Come si è già osservato nelle prime letture, il riferimento alle prima case di abitazione come definite dalla nota II-bis è da intendere come richiamo all’intera disciplina della cd. agevolazione prima casa.

La questione non è puramente teorica perché ne discendono alcune rilevanti conseguenze pratiche.

Se l’agevolazione in esame è solo una particolare declinazione dell’agevolazione prima casa, automaticamente spetta quella generale se successivamente si scopre l’insussistenza dei requisiti per quella speciale. Con la conseguenza che l’imposta di registro andrebbe recuperata, insieme alle sanzioni previste dal comma 10, con l’aliquota del 2 per cento, senza applicazione però dell’aliquota piena del 9 per cento.

In altri termini il contribuente, invocando la agevolazione speciale, implicitamente invoca anche quella generale.

Inoltre, il contribuente sicuramente potrebbe optare per l’agevolazione generale, per es. perché ha incertezze sul proprio Isee, ragioni di urgenza o non vuole subire particolari controlli.

Se, invece, si ritiene che siano due distinte agevolazioni, richiesta l’agevolazione under 36, e verificata l’assenza dei relativi requisiti, si avrebbe decadenza dall’agevolazione prima casa tout court, con applicazione dell’imposta del 9 per cento, senza potere godere di quella più ampia.

Per ovviare a questa problematica, negata l’automatica applicazione dell’agevolazione generale, si potrebbe riconoscere la possibilità di richiedere l’agevolazione prima casa ordinaria in via subordinata. Com’è noto, è da sempre discussa la possibilità di chiedere un’agevolazione in via subordinata al rigetto di quella richiesta in via principale. Nella prassi degli uffici si riscontra una certa ritrosia ad ammetterla (Risoluzione n. 100/E del 17 novembre 2014), mentre in senso favorevole appaiono gli studi del notariato (G. PETTERUTI, Studio Tributario n. 149-2015/T, Atto di trasferimento con richiesta di molteplici trattamenti tributari (clausole subordinate)). Pacifica sembra essere solo per i requisiti oggetto di interpretazione incerta e non per la mancanza degli stessi. Soluzione negativa che qui si rafforza perché il contribuente si avvantaggerebbe di una riduzione di imposta che non gli spetta e che necessita di attività di controllo anche abbastanza significativa da parte delle Agenzia delle entrate.

Il punto è stato affrontato dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate la quale, senza affrontare la questione teorica, ha concluso nel senso dell’applicazione dell’agevolazione ordinaria, in mancanza dei requisiti specifici per quella under 36, in quanto l’atto contiene già tutte le dichiarazioni e le indicazioni necessarie all’applicazione del regime tributario previsto per la prima casa, che costituisce presupposto logico necessario applicazione del regime di favore di cui all’art. 64 (circolare n. 12/E del 14 ottobre 2021).

 

4.Una questione controversa riguarda la necessità della emissione della dichiarazione Isee prima della stipula dell’atto e se, quindi, la stessa, debba essere presentata al notaio.

La tesi della necessaria presenza dell’Isee al momento della stipula è sostenuto dall’Amministrazione finanziaria. Per l’Amministrazione <>.

L’interpretazione dell’Amministrazione è fondata sul solo assunto che <> e, implicitamente, sulla prassi e le norme che nelle varie prestazioni sociali contemplano l’istituto (in tal senso M. MANENTE, Misure a favore degli under 36 per l’acquisto della prima casa: una evidente disparità normativa?, In Fisco, 2021, n. 25, 2413).

In senso contrario, si può obiettare che non prevede la presentazione dell’Isee al notaio né altri requisiti formali, bensì il requisito sostanziale (da esplicitarsi in atto a mezzo di dichiarazione) di avere un valore dell'indicatore della situazione economica equivalente non superiore a 40.000 euro annui. Il riferimento ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, va inteso nel senso della modalità di calcolo e del suo procedimento. Poiché l’ISEE si riferisce alle singole annualità, il contribuente può instaurare il procedimento anche dopo la stipula dell’atto o in sede di controllo. È vero che l’Isee ha validità a decorrere dalla data di presentazione della DSU e fino al 31 dicembre dell’anno cui fa riferimento. Ma è una norma procedimentale che deve essere coordinata con il sistema delle agevolazioni tributarie che non possono non guardare alla sostanza. Anche il DSU presentato successivamente all’atto soddisfa l’esigenza sottesa alla norma fiscale, purché la situazione familiare risulti invariata rispetto alla data di stipula.

Con la precisazione che la dichiarazione Isee va comunque richiesta, proprio per la natura del procedimento, decadendo il contribuente in caso di omissione definitiva. Inoltre, si può contestare che la diversa lettura dell’Amministrazione attribuisce all’Isee una efficacia costitutiva, quasi come l’iscrizione all’Inps per la agevolazione per la piccola proprietà contadina. Soluzione che non convince proprio perché l’Isee ha una funzione meramente dichiarativa e riguarda l’annualità. Più precisamente l’ISEE ordinaria riguarda l’annualità, l’ISEE corrente ha una validità di sei mesi (e in questo spazio temporale andrà richiesta). E il requisito ISEE alla data dell’atto, richiesto dall’Amministrazione, è certamente soddisfatto anche da un ISEE richiesto dopo, nel rispetto della sua validità. Non si possono neanche invocare esigenze di buon andamento dell’Amministrazione, appunto perché se il contribuente non presenta l’ISEE decade dall’agevolazione.

È difficile accogliere in modo sicuro l’una o l’altra interpretazione. O meglio, non vi è dubbio che la seconda tesi sia più conforme al tenore della norma e alla tradizionale interpretazione e applicazione delle agevolazioni tributarie,

Si deve però riconoscere che comunemente, nei vari benefici a cui è collegato, l’Isee o almeno il Dsu è presentato al momento dell’istanza; infatti, nelle varie normative che si è potuto esaminare o si è espressamente fatto riferimento al possesso o si è previsto l’Isee come documento da presentare unitamente alla domanda. Probabilmente il legislatore è andato un po' in confusione, collegando l’Indicatore ad una agevolazione strettamente tributaria collegata alla registrazione di un atto, senza indicare espressamente l’obbligo di produrlo. Lacuna normativa che, se non può giustificare l’emanazione di avvisi di liquidazione nei confronti dei notai che stipulano (e registrano) atti senza previa richiesta dell’Isee, può però essere colmata da una “buona prassi” notarile che preveda la presenza del documento formale al momento della stipula, con un adeguamento fattuale alla Circolare dell’Agenzia. Non bisogna dimenticare che il notaio svolge anche la duplice funzione, da un lato, di consulente del cliente e in particolare dell’acquirente, dall’altro di collaboratore dell’Agenzia dell’entrate, ruolo ad oggi ancora particolarmente forte, in un panorama di “disintermediazione” progressiva relativamente ad altre professioni. È pertanto certamente opportuno, se non proprio obbligatorio, che il notaio stipuli solo dopo la emissione della relativa attestazione, che consente al contribuente di chiedere l’agevolazione con relativa tranquillità, e facilita l’Amministrazione nei suoi compiti di controllo.

 

  1. In base ai commi 2 e 3, dell’art. 10 del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, per i trasferimenti immobiliari, l'imposta di registro non può essere inferiore a 1.000 euro e sono esenti dall'imposta di bollo, dalle imposte ipotecaria e catastale (se non nella minima misura fissa di euro 50 ciascuna), dai tributi speciali catastali e dalle tasse ipotecarie. La norma, però, fa riferimento agli atti assoggettati all'imposta di cui ai commi 1 e 2 e, quindi, alle aliquote del 9 e 2 per cento e all’imposta nella misura minima di euro 1000,00. L’esenzione dell’imposta di registro prevista dalla nuova normativa ha portato con sé il dubbio dell’applicazione dell’imposta di bollo di euro 230, e delle tasse di trascrizione e voltura, di euro 90, per complessivi euro 320,00.

Una lettura restrittiva della norma, suggerita dalle prima letture del notariato e accolta dalla prima prevalente prassi applicativa, ha sostenuto l’applicazione dell’imposta di bollo e delle tasse di conservatoria, in quanto, applicando l’agevolazione in esame, non si hanno né aliquote del 2 o del 9 per cento né imposta minima di euro 1000,00, con conseguente esclusione del relativo principio di assorbimento. La stessa lettera della legge sembra deporre in questo senso, laddove esclude le imposte di registro, ipotecarie e catastali, ma non si pronuncia sui tributi di bollo e di conservatoria.

La natura “speciale” dell’agevolazione, nell’ambito della più ampia agevolazione prima casa, potrebbe invece condurre all’esclusione del bollo e della tassa di trascrizione e voltura, riconoscendosi la potenziale applicabilità dell’aliquota del 2 per cento, di fatto non applicata in virtù dell’esenzione dovuta agli ulteriori requisiti.

Questa seconda lettura è stata accolta dalla circolare dell’Agenzia delle entrate per la quale, dal momento che l’agevolazione under 36 non esclude la teorica riconducibilità degli atti nell’ambito dell’art. 1 della tariffa, parte prima, del TUR, continua ad operare la disciplina ordinaria del citato art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 23 del 2011. Con la conseguenza che non trovano applicazione, per gli atti soggetti a imposta di registro, il bollo e la tassa di trascrizione e voltura, non contemplati peraltro neanche nella relazione tecnica al decreto legge, la quale, nel considerare la perdita di gettito, non ha calcolato detti tributi.

 

  1. In tema di atti soggetti a Iva, è sorto il dubbio sull’applicazione delle imposte fisse di registro, ipotecarie e catastali, in quanto l’esclusione è contenuta solo nel precedente comma 6. Il comma 6, però, non riguarda solo gli atti soggetti a imposta di registro, ma tutti gli atti relativi a prime case, quindi anche quelli soggetti a Iva. Una diversa interpretazione condurrebbe ad un diverso trattamento ingiustificato tra gli atti soggetti a Iva e gli atti soggetti a imposta di registro, che non discenderebbe né dalla norma né dalla diversa natura dei due tributi. Il legislatore avrebbe potuto escludere le sole imposte proporzionali e ammettere le imposte fisse anche per gli atti soggetti a registro; invece ha escluso le suddette imposte pe tutti gli atti e precisamente le imposte sia proporzionali che fisse per gli atti soggetti a registro e le imposte in misura fissa per gli atti soggetti a iva.

La legge è silente anche per gli atti soggetti a Iva sull’imposta di bollo e delle tasse di trascrizione e voltura. Con la complicazione che nella disciplina dell’agevolazione ordinaria l’imposta di bollo e i tributi speciali sono dovuti. Ne discende quindi, come anche sottolineato dalla circolare, che gli atti soggetti a Iva under 36 restano gravati da detti tributi di bollo e speciali. Anche se occorre osservare che in tal modo si crea una disparità di trattamento tra gli atti soggetti a iva e gli atti soggetti a imposta di registro che non trova giustificazione, non operando in quelli a registro l’assorbimento previsto dall’imposta minima di euro 1000.

In tema di Iva, ancora, si prevede un credito di imposta pari all’Iva versata. Soluzione necessaria vista la struttura dell’Iva. Il credito di imposta sarà pari al 4 per cento del prezzo, e quindi proporzionalmente maggiore al vantaggio che si consegue nell’imposta di registro. Paradossalmente quindi in questo caso sembra che gli acquisti iva, fin qui bistrattati (sia per l’aliquota, 4 in luogo di 2, sia per la base imponibile, prezzo in luogo del valore catastale), avranno una disciplina migliore.

Sempre in tema di Iva, si è suggerito che non sia necessario il requisito dell’Isee sulla base della lettera della norma. Opinione da respingersi proprio alla luce del richiamo tra i due commi, il 6 e il 7, e della esigenza di una lettura omogenea, anche se la lettera della norma non brilla certo di chiarezza.

Il parallelismo tra gli atti soggetti a imposta di registro e gli atti soggetti a Iva ci aiuta anche a risolvere il problema dell’applicazione dell’art. 1, comma 4 bis, del d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346 (G. GIRELLI, L'enunciazione della liberalità indiretta nell'atto di compravendita di immobili o aziende, in RTDT, 2017, n.1). La norma fa riferimento espresso all’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale o all’Iva.

Una sua interpretazione letterale comporterebbe una tassazione delle donazioni indirette nei soli atti soggetti ad imposta di registro, mentre l’esenzione continuerebbe paradossalmente ad applicarsi nel caso di atto under 36 soggetto ad Iva. L’Iva infatti si continua ad applicare, salvo il credito di imposta, mentre non abbiamo una applicazione in misura proporzionale dell’imposta di registro.

Si tratta però di una soluzione non giustificabile e pertanto occorre ammettere l’applicabilità in entrambi i casi. Vuoi motivando dalla natura speciale dell’agevolazione, che ricomprende quella generale e quindi la astratta imposizione proporzionale (e qui aiuta un po' la stessa lettera della norma), vuoi limitandosi a sottolineare che la nuova norma va coordinata con il sistema precedente con gli opportuni e razionali adattamenti, garantendo, essendo possibile, uniformità di trattamento tra l’atto soggetto a imposta di registro e l’atto soggetto a Iva. Nello stesso senso la circolare dell’Agenzia, invocando la ratio della disciplina.

Nulla esclude, naturalmente, che l’amministrazione possa ravvisare operazioni elusive. Ma la disciplina dell’abuso del diritto, sotto questo profilo, sembra porre sufficienti paletti ad una contestazione generalizzata di siffatta natura, che non può essere esclusa nei singoli casi.

 

7.L’agevolazione per l’imposta di registro è prevista a favore di soggetti che non hanno ancora compiuto trentasei anni di età nell’anno in cui l’atto è rogitato; quella per l’Iva fa riferimento all’anno in cui l’atto è stipulato.

Il riferimento all’anno in cui l’atto è stipulato o rogitato sembra richiedere che chi stipula nel 2021 non deve compiere i 36 anni entro il 31 dicembre dello stesso anno e chi stipula nel 2022 non deve compiere i 36 anni entro il 31 dicembre dello stesso anno.

Interpretazione letterale difficilmente superabile sul piano interpretativo e attualmente accolta dalla prassi e dalla circolare dell’Agenzia delle entrate; inutile invocare principi di ragionevolezza per concedere l’agevolazione a chi non ha compiuto 36 anni nel giorno dell’atto o chiedersi se questa era la reale intenzione di chi ha scritto la norma, peraltro alternando il termine “rogitare” con quello di “stipulare”.

Piuttosto, occorre chiedersi se il contribuente possa invocare la determinazione della base imponibile in base ai valori catastali. A prima vista la soluzione dovrebbe essere negativa in quanto opzione inutile non essendoci imposta. L’assenza dell’opzione porterebbe però condurre a escludere l’applicazione della riduzione degli onorari notarili prevista in generale dalla disciplina del prezzo valore.  L’opzione avrebbe poi rilevanza per il caso di negazione dell’agevolazione prima casa under 36, andando a determinare l’imponibile, come suggerito anche dalla circolare dell’Agenzia. Né in questo caso si incorre nell’inammissibilità della richiesta di agevolazione subordinata perché non opera sull’aliquota ma sulla base imponibile. Tant’è che anche con la disciplina generale, se l’agevolazione viene negata, si procede al recupero rideterminando il valore catastale con i moltiplicatori della seconda casa.

 

  1. L’agevolazione non è prevista per i preliminari. Questo, verosimilmente, contribuirà a rendere ancor meno frequente la loro registrazione, non essendo poi possibile recuperare dall’atto il relativo credito. Ma non è un problema nuovo, visto che già si verifica con i preliminari degli atti soggetti a Iva. In questo senso anche l’Amministrazione finanziaria con la risposta a interpello n. 650 del 2021, dove si precisa che per le somme che risulteranno versate in eccedenza è concesso il rimborso ai sensi dell’art. 77 Tur. In senso contrario, si invoca il principio dell’unitarietà della tassazione della vicenda preliminare – definitivo essendo unica la manifestazione di capacità contributiva, che si realizza però solo al momento della stipula del definitivo.

La norma fa riferimento all’abitazione e non alle sue pertinenze. Una interpretazione restrittiva condurrebbe a riconoscere l’esenzione solo per l’abitazione, senza riconoscerla per le pertinenze. Una simile interpretazione, però, frusterebbe l’intenzione del legislatore di favorire gli acquisti dei giovani. Si può, quindi, valorizzare il richiamo alla nota II bis e farvi rientrare anche le pertinenze ivi contemplate, come riconosciuto dalla stessa circolare (come già per la prima casa in generale qualche problema sorgerà in caso di acquisto di lastrico solare, ma l’esenzione dovrebbe essere concessa in quanto il lastrico non è necessariamente accatastato in modo autonomo).

 

9.La circolare dell’Agenzia tace sulla eventuale responsabilità del notaio.

Se si segue la tesi che occorre la attestazione ISEE al momento dell’atto, verosimilmente sarà fiscalmente responsabile, e potrà quindi ricevere il relativo avviso di liquidazione, il notaio che abbia stipulato in mancanza di detto attestato.

Fuori da questa controversa ipotesi, non vi è spazio per chiedere al notaio l’imposta eventualmente dovuta con avviso di liquidazione. In particolare, anche se l’ISEE risulti infondato già nei 60 giorni dalla registrazione dell’atto, l’Ufficio dovrà procedere esclusivamente nei confronti della parte acquirente, configurandosi un’ipotesi di imposta complementare, della quale non risponde il pubblico ufficiale.