Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

05/06/2020 - Tassabile la donazione eseguita tramite bonifico, benché nulla per difetto di forma

argomento: Imposte sui trasferimenti e altri tributi - Giurisprudenza

Secondo la sentenza commentata, la donazione di denaro eseguita mediante bonifico bancario, pur risultando nulla per difetto della forma dell’atto pubblico prevista dalla legge, va comunque assoggettata all’imposta sulle successioni e donazioni, in quanto fino a declaratoria giudiziale della nullità e conseguenti restituzioni, l’attribuzione eseguita, ed il conseguente trasferimento di ricchezza, rimangono materialmente in essere, sicché si giustifica una lettura in chiave evidentemente antielusiva della normativa.

PAROLE CHIAVE: donazione - bonifico - imposta sulle successioni e donazioni


di Bartolazzi Menchetti Edgardo

  1. La sentenza in commento si è occupata della tassabilità, nell’ambito del sistema dell’imposta sulle donazioni, dei trasferimenti patrimoniali liberali realizzati mediante bonifico bancario, senza altra formalità.

L’atto come sopra compiuto, con cui una nonna, intendendo contribuire a sostenere gli studi del nipote - si ipotizza, minorenne - trasferiva con bonifico delle somme sul conto corrente del proprio genero, è stato qualificato dalla Commissione tributaria come una donazione, diretta, di somma di denaro, soggetta all’imposta sulle successioni e donazioni secondo il regime generale, e non secondo quello speciale dettato, per le “liberalità indirette”, dall’art. 56-bis del D.Lgs. n. 346/1990, come invece richiedeva l’Agenzia delle Entrate.

La Commissione ha dichiaratamente applicato la recente giurisprudenza delle Sezioni Unite (sent. 27.07.2017, n. 18725, su cui A. Busani, Donazioni “indirette” e donazioni “informali” al cospetto delle Sezioni Unite, in Corr. Trib., 2017, 3538) in cui si è indicato che, nonostante l’intervento dell’istituto di credito, una donazione eseguita tramite bonifico deve considerarsi “diretta”.

Lo stesso orientamento della Suprema Corte era stato invocato dal contribuente per far rilevare come quella in oggetto non potesse essere ritenuta una donazione “indiretta”, quale l’Agenzia delle Entrate l’aveva qualificata facendo applicazione dell’art. 56-bis D.Lgs. n. 546/1992.

Quest’ultima disposizione, come noto, prevede una particolare imposizione per le “liberalità diverse dalle donazioni” (sulle differenze tra donazione “indiretta”, donazione “informale” e “liberalità diverse dalle donazioni”, si veda l’analisi di A. Busani, Donazioni “indirette”, cit., 3538) che emergano da dichiarazioni rese dal soggetto beneficiario nell’ambito di procedimenti di accertamento, le quali vanno soggette ad imposta con aliquota proporzionale del 7% sulla parte eccedente i 350 milioni di lire (tasso che andrebbe invece inteso secondo l’Agenzia delle Entrate quale quello massimo applicabile, e pertanto, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 262/2006, pari all’8% - Circ. 11.08.2015, n. 30/E, ma lo stesso art. 56-bis è stato ritenuto tacitamente abrogato da C.T.P. Modena, sez. II, sent. 16.06.2016, n. 457, secondo cui sarebbero quindi applicabili aliquote e franchigie con riferimento ai rapporti tra donante e donatario).

Le difese del contribuente sono state tuttavia rigettate dai Giudici nella parte in cui, proprio per il carattere diretto della donazione, il supposto beneficiario, eccependo la nullità del negozio per difetto della forma dell’atto pubblico, come noto richiesta ad substantiam dall’art. 782 c.c., chiedeva di escludere l’applicabilità dell’imposta sulle successioni e donazioni, tributo che richiederebbe la necessaria presenza di un atto scritto, quale non può essere considerato l’ordine di bonifico.

La Commissione ha concordato sul fatto che, mancando la forma prescritta dalla legge, la donazione, di natura diretta, andasse considerata nulla. Tuttavia, è giunta alla conclusione di non poter escludere da imposta sulle donazioni il trasferimento di denaro compiuto, in considerazione della assenza di una dichiarazione giudiziale - indicata come riservata al Giudice ordinario - di nullità della donazione da cui esso derivava, considerando quindi preminente la sostanziale permanenza degli effetti di quel negozio, pur giuridicamente nullo. A sostegno della propria tesi, la Commissione ha richiamato l’indirizzo giurisprudenziale (di recente, Cass., sez. VI, ord. 19.06.2017, n. 15144, su cui, A. Mondini, Donazioni “informali” e imposta sulle donazioni, in Foro it., 2018, 3692) secondo il quale, per ragioni di equità in termini di capacità contributiva e antielusive (in questo senso Cass., sez. trib., sent. 18.01.2012, n. 634, su cui S. Ghinassi, Liberalità informali e tributo successorio, in Rass. trib., 2012, 764), l’imposta sulle donazioni risulterebbe applicabile agli atti liberali a prescindere dal rispetto della forma imposta dalla legge.

  1. Che la esecuzione di un bonifico determini una liberalità diretta è principio che, dopo lungo dibattito, risulta ormai chiarito, stante la precisa e nota posizione assunta dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza n. 18725/2017, su cui non è possibile qui dilungarsi (si rinvia al già citato contributo di A. Busani, Donazioni “indirette”, cit., 3538).

Nel caso in esame, pertanto, la Commissione ha correttamente ritenuto che la vicenda dovesse ritenersi riconducibile ad una donazione diretta, quindi tipica, benché “ad esecuzione indiretta”.

Al più, nel caso concreto sarebbe potuto risultare opinabile, data la finalità dichiarata dalla disponente - per cui la donazione al genero era intesa a sostenere gli studi del di lei nipote - che si trattasse di una donazione indirizzata al materiale destinatario del bonifico, anziché di una donazione indiretta, il cui beneficiario doveva essere inteso come il nipote della disponente, cui il denaro veniva trasferito per il tramite del di lui padre. Questo avrebbe avuto effetti sul riconoscimento della franchigia di cui all’art. 2, comma 48, D.L. n. 262/2006, escluso invece dalla Commissione, che ha considerato la (insussistente) parentela tra donante e beneficiario immediato della disposizione.

Il fatto che quella posta in essere costituisse una liberalità, sul cui carattere diretto o indiretto solamente si erano sviluppate la contestazione dell’Ufficio e la difesa della contribuente, appare comunque circostanza non contestata, dato che l’Agenzia, invocando l’applicazione dell’art. 56-bis, D.Lgs.n. 346/1990, doveva necessariamente presupporre l’esistenza di una “delle liberalità diverse dalle donazioni”, per citare il testo dell’ultima disposizione nominata (sulla tassabilità delle liberalità indirette nell’ambito dell’imposta sulle donazioni come reistituita ad opera del D.L. n. 262/2006, si rinvia, per tutti, a S. Ghinassi, Le liberalità indirette nel nuovo tributo successorio, in Rass. Trib., 2010, 394), e che il contribuente dichiarava appunto trattarsi di una donazione a tutti gli effetti, con la sola - ma rilevante - carenza della forma prescritta dalla legge ad substantiam.

  1. L’aspetto più controverso della decisione in commento si rinviene quindi probabilmente nella motivazione con cui, pur a fronte della ritenuta nullità per difetto di forma della donazione tipica individuata, la Commissione ha considerato in ogni caso corretta l’applicazione dell’imposta sulle donazioni, stante la “assenza di dichiarazione giudiziale di nullità e di ordine di restituzione di quanto percepito in violazione dell’art. 782 cpc [recte: c.c.]”.

Per giungere a tale conclusione, la Commissione ha in primo luogo rilevato che la sua giurisdizione non poteva estendersi all’accertamento giudiziale della nullità della donazione individuata, né quindi ad una conseguente pronuncia restitutoria, con l’effetto per cui, anche in esito al suo giudizio, la ricchezza trasferita sarebbe in ogni caso rimasta nella disponibilità del destinatario del bonifico.

La prima parte dell’affermazione deve essere opportunamente interpretata. Come noto, infatti, il Giudice tributario, ai fini del proprio giudizio, può compiere incidentalmente tutti gli accertamenti di natura civilistica sui negozi che si trovi a dover valutare, come testualmente previsto dall’art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992 (sulla giurisdizione tributaria in generale, F. Tesauro, Manuale del Processo Tributario, Torino, 2017, 16).

I Giudici, pertanto, hanno con ogni probabilità inteso rilevare di non avere il potere di espellere dall’ordinamento giuridico, con effetti erga omnes, il negozio nullo per difetto di forma, né di ordinare la restituzione della ricchezza suo tramite materialmente trasferita, sicché, ai fini del giudizio di cui erano investiti, hanno dovuto considerare che la “attribuzione patrimoniale a titolo gratuito” realizzata sarebbe rimasta inalterata nel patrimonio del beneficiario, meritando quindi essere sottoposta a tassazione.

  1. A supporto di tale argomentazione è stata quindi richiamata quella giurisprudenza di legittimità che, secondo intenti dichiaratamente antielusivi, ha ritenuto che, ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle donazioni, data la previsione dell’art. 1, D.Lgs. n. 346/1990, rileverebbe unicamente il fatto che si dia causa ad un “trasferimento per scopo di liberalità di un diritto o della titolarità di un bene, senza che abbia rilevanza alcuna l’inosservanza della forma dell’atto pubblico, richiesta a pena di nullità dall’art. 782 c.c., per l’atto di donazione e la sua accettazione” (Cass., sez. VI, ord. 19.06.2017, n. 15144, principio già espresso in Cass., sez. V, sent. n. 634/2012, cit.).

Ebbene, si ricorderà che la posizione richiamata era fin dall’inizio risultata in contrasto con quanto ritenuto dalla Dottrina (lo evidenzia S. Ghinassi, Liberalità informali, cit., 764, cui si rinvia anche per gli ampi riferimenti bibliografici), ma anche dalla stessa Amministrazione finanziaria (Relazione annuale del SECIT all’attività svolta dal servizio nel 1993), nonché con il significato che poteva attribuirsi agli interventi con cui, tramite la legge n. 342/2000, il legislatore aveva introdotto nel D.Lgs. n. 346/1990 le previsioni di cui al comma 4-bis dell’art. 1 ed all’art. 56-bis, appunto volte ad includere, solo a determinate condizioni (rappresentazione in un atto sottoposto a registrazione o in una dichiarazione resa dal contribuente in occasione di un accertamento), le liberalità “informali” o atipiche nell’ambito di applicazione del tributo, indirettamente confermandone, altrimenti, l’esclusione.

Per finalità dichiaratamente antielusive, il predetto orientamento era giunto a valorizzare la formula testuale dell’art. 1, D.Lgs. n. 346/1990, poi ripresa nell’art. 2, comma 47, D.L. n, 262/2006, secondo cui oggetto dell’imposta sarebbero i trasferimenti che avvengano “per donazione”, ossia, nell’interpretazione in discussione, che si determinino comunque a seguito di donazione, a prescindere dalla validità civilistica del negozio-mezzo, e dunque in esito ad ogni tipo di liberalità.

In quel modo, tuttavia, come la Dottrina ha sottolineato (S. Ghinassi, Liberalità informali, cit.; A. Busani, Donazioni “indirette”, cit.), oltre ad incorrere in criticità applicative in merito ad un tributo dichiaratamente fondato sull’esistenza di un atto da sottoporre a registrazione (cfr. art. 55, D.Lgs. n. 546/1992, di cui l’art. 1, comma 4 bis e l’art. 56-bis dello stesso Decreto possono considerarsi specifica deroga) si è esteso, in via probabilmente contraria alla Costituzione, il presupposto dell’imposta sulle successioni e donazioni oltre quello risultante dalle disposizioni testualmente dettate dal legislatore.

  1. La lettura proposta dalla Commissione introduce quindi, in via che andrebbe perlomeno giustificata e motivata, una impropria assimilazione del sistema dell’imposta sulle successioni e donazioni a quello dell’imposta di registro. Nell’ambito di quest’ultimo tributo, infatti, pur sempre con riferimento ad atti scritti giunti alla registrazione, l’art. 38, D.P.R. n. 131/1986 prevede espressamente l’obbligo di corrispondere l’imposta anche per gli atti nulli o annullabili, salva la sua restituzione per l’importo eccedente la misura fissa, ove intervenga sentenza che ne dichiari la nullità o ne pronunci l’annullamento per causa non imputabile alle parti e purché l’atto sia insuscettibile di ratifica, convalida o conferma.

Il sistema dell’imposta di registro privilegia quindi gli effetti attribuibili all’atto sulla base del contenuto che ne risulta, benché ineffettivi. Tale medesimo sistema, con questa interpretazione, viene ad essere applicato, nonostante la già rilevata assenza di un vero e proprio atto, la cui presenza sarebbe invece richiesta secondo l’art. 55, D.Lgs. n. 346/1990, anche nell’imposta sulle successioni e donazioni, tributo in cui rileva un “unico indice di capacità contributiva dato dall'attualità ed effettività dell'incremento patrimoniale” (Cass., sez. trib., ord. 17.01.2019, n. 1131, concorde A. Fedele, “Vincoli di destinazione” e imposte sui trasferimenti della ricchezza; una infelice scelta legislativa: problemi interpretativi e di legittimità costituzionale, in Riv. Dir. Trib., 2019, I, 18), e che pertanto richiede necessariamente un accertamento in concreto della effettiva sussistenza di un trasferimento patrimoniale da cui derivi un reale arricchimento del beneficiario.

Deve quindi essere evidenziato che quello posto in essere nel caso concreto risulta, in definitiva, un trasferimento di ricchezza precario, che ove non riconducibile all’ambito dell’art. 56-bis D.Lgs. n. 346/1990, mal si presta ad essere valutato nel sistema dell’imposta sulle successioni e donazioni.

La trasmissione di ricchezza che si determina per effetto della donazione informale, nulla, è infatti precaria e non definitiva, in quanto suscettibile di essere inficiata, sine die e potenzialmente ad opera di chiunque vi abbia interesse, secondo la disciplina prevista, per l’azione di nullità, dagli artt. 1421 e 1422 c.c. Risulta pertanto quantomeno opinabile che da tale operazione, pur se ricondotta dai Giudici alla donazione, ossia ad un fatto-indice per i quali l’imposta sulle successioni e donazioni, ai sensi del D.Lgs. n. 346/1990 e del D.L. n. 262/2006, trova applicazione, possa discendere quell’effetto definitivo di produzione di una attribuzione patrimoniale dal donante al donatario, con giuridico stabile arricchimento di quest’ultimo, di cui la stessa giurisprudenza di legittimità invocata richiede il concreto accertamento per la soggezione a tributo.

Il sistema resterebbe peraltro indefinito, posto che la Commissione non fornisce alcuna indicazione per il caso in cui, esperita positivamente l’azione di nullità, la ricchezza trasferita dovesse tornare nel patrimonio della donante. In quel caso, si aprirebbero scenari incerti, potendosi tuttavia ipotizzare una soluzione nell’applicazione della stessa disciplina prevista dall’art. 38, D.P.R. n. 131/1986 per l’imposta di registro, considerando tale disposizione richiamata nel rinvio compiuto dall’art. 60, D.Lgs. n. 346/1990, dovendosi quindi procedere alla restituzione dell’imposta corrisposta, eccedente la somma di € 200,00.

Sembra pertanto di trovarsi al cospetto di un ennesimo caso in cui le preoccupazioni antielusive paiono essere state considerate idonee a superare la sistematicità del tributo e la ragionevolezza della sua applicazione.