Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

12/02/2019 - Cinque anni ai Comuni per rimborsare le somme illegittimamente acquisite dai comuni a titolo di maggiorazione dell’imposta comunale sulla pubblicità

argomento: IRAP e tributi locali - Legislazione e prassi

La legge 30 dicembre 2018 n. 145 prevede, per i Comuni che a seguito dell’abrogazione dell’art. 11, co. 10, L. 27 dicembre 1997 n. 449 hanno applicato o mantenuto le maggiorazioni delle tariffe dell’imposta sulla pubblicità, la possibilità di rimborsare le somme illegittimamente acquisite  in forma rateale entro cinque anni dalla data in cui la richiesta del contribuente è divenuta definitiva. A tal fine il contribuente deve presentare apposita istanza di rimborso.

PAROLE CHIAVE: imposta comunale sulla pubblicità - rimborso - tariffa - tributi locali


di Francesca Miconi

La legge 30 dicembre 2018 n. 145 (Legge di Bilancio 2019), al comma 197, prevede che “in deroga alle norme vigenti e alle disposizioni regolamentari deliberate da ciascun comune a norma dell'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i rimborsi delle somme acquisite dai comuni a titolo di maggiorazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni per gli anni dal 2013 al 2018 possono essere effettuati in forma rateale entro cinque anni dalla data in cui la richiesta del contribuente è diventata definitiva”.

La norma interviene a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 30 gennaio 2018 n. 15 e della Risoluzione del Ministero dell'Economia e delle Finanze del 14 maggio 2018, n.2/D, che si sono espresse sulla legittimità delle maggiorazioni delle tariffe dell’imposta comunale sulla pubblicità adottate, esplicitamente o tacitamente, dai Comuni dopo l’abrogazione dell’art. 11, co. 10 della legge n. 449 del 1997 (norma che autorizzava l’aumento delle tariffe), avvenuta ad opera dell’articolo 23, comma 7, del decreto legge 22 giugno 2012 n. 83.

In particolare, il problema ha riguardato la possibilità di confermare o prorogare, di anno in anno, successivamente al 2012, le tariffe maggiorate prima del 26 giugno 2012, data di entrata in vigore del d.l. n. 83/2012.

Sulla questione, prima della sopra citata sentenza della Corte Costituzionale, si era espresso il Consiglio di Stato, sezione quinta, il quale, con sentenza del 22 dicembre 2014, n. 6201, aveva sostenuto che, “atteso il mutamento della disciplina nazionale di riferimento, anche la mera conferma rappresenterebbe una modificazione delle tariffe, effettuata in base ad una disposizione non più vigente”.

 A diversa conclusione erano, invece, giunti il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana con parere del 13 gennaio 2015, n. 368, il TAR Veneto, sezione terza, Venezia, con sentenza 7 novembre 2015, n. 1001 e il TAR Abruzzo, sezione prima, Pescara, con sentenza 15 luglio 2016, n. 269, secondo i quali l’abrogazione dell’art. 11, co. 10 della legge n. 449 del 1997 aveva comportato “solamente l’illegittimità di nuovi aumenti, disposti in data successiva all’entrata in vigore del d.l. n. 83 del 2012”, mentre gli aumenti già disposti dovevano ritenersi applicabili anche successivamente al 2012.

Al fine di dirimere il contrasto giurisprudenziale, con l’art. 1, comma 739, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, il legislatore ha disposto che “l’articolo 23, comma 7, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, nella parte in cui abroga l’articolo 11, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, relativo alla facoltà dei comuni di aumentare le tariffe dell’imposta comunale sulla pubblicità, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1 della legge 27 luglio 2000, n. 212, si interpreta nel senso che l’abrogazione non ha effetto per i comuni che si erano già avvalsi di tale facoltà prima della data di entrata in vigore del predetto articolo 23, comma 7, del decreto-legge n. 83 del 2012”.

Questa norma, però, a sua volta, è stata oggetto di discussione, tanto che la CTP Pescara, con ordinanza del 1° febbraio 2017, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del comma 739, art. 1, L. n. 208/2015, nella parte in cui non estende a tutti i Comuni l’efficacia dell’abrogazione della facoltà di aumento delle “tariffe base” dell’imposta comunale di pubblicità (ICP), disciplinata dall’art. 11, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 15/2018 citata, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale posta al suo vaglio, sostenendo che la norma si limiterebbe a precisare la salvezza degli aumenti deliberati al 26 giugno 2012 e non legittimerebbe la conferma di anno in anno degli aumenti già deliberati. Richiamando la tesi espressa dal Consiglio di Stato nella sentenza  n. 6201/2014 citata, la Corte ha ritenuto che alla data di entrata in vigore del D. L. n. 83 del 2012 devono considerarsi illegittimi tutti gli atti di proroga, anche tacita, delle maggiorazioni, non potendo essere prorogata una maggiorazione non più esistente.

Con Risoluzione n. 2/2018, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha fornito un parere in ordine a quanto sancito dalla Corte Costituzionale, al fine di chiarire gli effetti dell’abrogazione della norma legittimamente gli aumenti tariffari.

Nella risoluzione si chiarisce che è da ritenersi legittima una delibera comunale esplicita, approvativa o confermativa delle maggiorazioni delle tariffe relative all’imposta comunale, adottata entro il 26 giugno 2012, data di entrata in vigore del D.l. 83/2012; al contrario una delibera esplicita, approvativa o confermativa, emessa in data successiva al 26 giugno 2012 non può che ritenersi illegittima, essendo venuta meno - a seguito dell’intervento abrogativo disposto dall’art. 23, comma 7 del D. L. n. 83 del 2012 - la norma di cui all’art. 11, comma 10 della legge n. 449 del 1997, attributiva del potere di disporre gli aumenti tariffari.

Nella risoluzione è previsto, inoltre, che le “stesse considerazioni devono estendersi anche al caso di proroga tacita delle tariffe, posto che per l’anno 2012 il termine ultimo di approvazione del bilancio di previsione era stato prorogato al 31 ottobre 2012, per cui solo se il bilancio fosse stato approvato entro il 26 giugno 2012, il Comune poteva legittimamente richiedere il pagamento delle maggiorazioni” (in merito al termine previsto per i comuni per le delibere relative alle tariffe e alle aliquote relative ai tributi di loro competenza, v. art. 1, comma 169, Legge 27.12.2006, n. 296).

Ad ogni modo, secondo il Ministero delle Finanze, “a partire dall’anno di imposta 2013 i Comuni non sono più legittimati a introdurre o confermare, anche tacitamente, le maggiorazioni in questione”, dovendo, invece, tornare ad applicare le tariffe base di cui al D.Lgs.507/93.

Recependo quanto sostenuto dalla Corte Costituzionale e dalla Risoluzione ministeriale, il comma 917 della legge di bilancio 2019 riconosce, ai Comuni che hanno adottato o confermato tacitamente o espressamente le maggiorazioni delle tariffe dell’imposta sulla pubblicità, la possibilità di rimborsare, in forma rateale ed entro cinque anni dalla data in cui la richiesta del contribuente diviene definitiva, le somme illegittimamente acquisite.

Al fine di ottenere il rimborso, sarà, quindi, onere del contribuente presentare, entro cinque anni dalla data del versamento ovvero da quello in cui è stato accertato il diritto alla restituzione (art. 1, comma 164, legge 27 dicembre 2006, n. 296), la richiesta di rimborso dell’imposta comunale sulla pubblicità illegittimamente pagata.

Qualora, a seguito dell’istanza di rimborso, il Comune dovesse riconoscere il diritto del contribuente, la richiesta potrà considerarsi definitiva e il Comune provvederà ad effettuare il rimborso entro centottanta giorni, ai sensi del comma 164 della legge 296/2006, ovvero in forma rateale entro 5 anni, come previsto dal comma 917 dell’art. 1 della legge n. 145 del 2018.

Qualora, invece, il Comune dovesse rigettare l’istanza di rimborso,  è necessario distinguere l’ipotesi in cui l’Ente rifiuti espressamente il rimborso, da quello in cui si formi un silenzio rifiuto. Nel primo caso il contribuente potrà impugnare tale atto entro sessanta giorni (art. 19, co. 1, lett. g) del D. Lgs. n. 546/1992); in caso di rifiuto tacito, invece, il contribuente potrà procedere all’impugnativa decorsi novanta giorni dalla presentazione dell’istanza, ma entro i termini di prescrizione (art. 21 D. Lgs. n. 546/1992). In entrambi i casi, la richiesta del contribuente diventerà definitiva con il passaggio in giudicato della sentenza.